ISSN 2039-2656
I 2014
Nomadismi della sostenibilità | Escalando vida – scalando la vita | Innovazione sostenibile e integrazione conflittuale a Città del Messico | Trasformare, interpretando. Il disegno di territorio: pensieri ecologici a partire dal caso colombiano | Infrastrutture ambientali. Patrimonio e grande opera pubblica della contemporaneità. | Medellín una ciudad en trasformacion | La responsabilidad de la ciudad en la educación ambiental | Opus ecológico. Una reflexión entorno al diseño de arquitectura | Algunas ideas sobre la sustentabilidad y las dinámicas del territorio urbano-rural en Colombia | Sondaggi | Progetti di rigenerazione urbana | Un concorso per una nuova cultura urbana | New Urban Metabolism | Eco_case | Selezione dei progetti vincitori del concorso Eco_Luoghi 2013 | Letture | La questione meridionale e le smart cities | Philippe Rahm Architectes. Atmosfere costruite. L’architettura come design meteorologico | Eventi e concorsi | World Urban Forum | Imparando dalle Favelas | Absorbing Modernity. Annotazioni al margine della 14° Mostra Internazionale di Architettura di Venezia | “Paulo Mendes da Rocha”. Una mostra alla Triennale di Milano |
Uno dei temi affrontati nell’ultima Conferenza Nazionale della Società Italiana degli Urbanisti, organizzata quest’anno a Milano, riguardava l’esistenza di concetti nomadi in urbanistica, e la loro trasmigrazione in altri territori. Una dislocazione che ne mette alla prova l’efficacia, ma che in alcuni casi può anche condurre a una riformulazione innovativa. Sicché può accadere che un concetto nato in uno specifico contesto, per rispondere alle condizioni d’intervento locali, emigri altrove scoprendo lì inedite potenzialità di applicazione, che inducono talvolta a riformulare il concetto originario, in una circolarità di ipotesi ed esperienze che alimentano l’avanzamento cognitivo e la sperimentazione progettuale.
Un caso sintomatico ne è ad esempio l’idea di modernità esplorata nelle architetture dei primi anni del dopoguerra da Ferdinand Pouillon, un architetto francese forse non apprezzato adeguatamente dalla critica, eppure uno dei più significativi protagonisti di quel tempo. Si tratta di una concezione inizialmente fedele alla cultura archiettonica del tempo, messa a punto nelle prime esperienze di Marsiglia, e in particolare nella ricostruzione del porto antico, disegnata nelle forme rigorose ma non troppo espressive che delimitano il nuovo waterfront. Quest’idea si arricchisce poi nel successivo incontro con l’ambiente insediativo algerino, la sua luce intensa, i suoi colori vivaci, le sue tradizioni abitative, le sue atmosfere venate di mediterraneità. Ne viene fuori lo straordinario quartiere Climat de France, del 1954-57, che da molti è visto come il precursore di un’architettura ormai emancipata dalla prima modernità, in grado di aprirsi alle sperimentazioni neorazionaliste di Aldo Rossi, cariche di suggestioni e di reminiscenze che evocano il sentire più profondo di una città.....
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Un “doppio sguardo”, tra l’Italia e la Colombia, attraverso alcuni anni di esperienze di confronto e ricerca comuni, ci permette di cogliere l’emergere di alcuni temi e modalità utili a individuare possibili innovazioni da introdurre nei procedimenti e negli strumenti di un progetto urbano attento alle ragioni più inclusive di una concezione complessa di trasformazione della città, in grado di coniugare le diverse dimensioni della ecologia urbana. Si tratta di temi riconducibili a due grandi campi problematici: 1-l’antica ricorrente questione del ruolo del progetto urbano, anche con l’utilizzazione di tecnologie innovative, nel promuovere il superamento delle disuguaglianze sociali; in Colombia con indici tra i più alti al mondo e che si misura con l’enorme possibilità e, nello stesso tempo, fame di sviluppo; 2- la pervasiva percezione della vulnerabilità degli insediamenti di fronte a rischi originati da più fattori: clima, terremoti, società, in un quadro in cui un diverso rapporto tra abitare e natura, con un rilevante salto dimensionale degli spazi e dei fenomeni rispetto alle condizioni italiane ed europee, fornisce significativi elementi di valutazione e di indirizzo per le diverse strategie di intervento.
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I devastanti fenomeni di carattere ambientale che inondano le cronache dei media di mezzo mondo sembrano allontanare il pericolo di interpretare le previsioni succedutesi nell’ultimo mezzo secolo -dal limits to Growth fino alle ultime dichiarazioni degli oltre 200 scienziati commissionato dall’ONU - come un inquietante rosario d’anatemi dalle derive millenaristiche.
In tal senso, le gravissime alluvioni registrate in Colombia nel biennio 2010-2011, che hanno coinvolto vaste regioni del paese e in particolare la zone della depessione momposina, sono state l’occasione per stimolare una gamma ben più ampia di contributi e di considerazioni, nella consapevolezza dell’enorme complessità del problema, troppo spesso o frettolosamente liquidato attraverso strumenti limitati, siano essi di carattere normativo, tecnico o progettuale.
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Doña Juana a Bogotà, con un’estensione di circa 600 ha, è una delle discariche più grandi del mondo. E’ anche il simbolo delle contraddizioni della capitale colombiana. Non solo la discarica produce inquinamento delle acque, dei terreni, dell’atmosfera, ma condiziona la vita di intere favelas che circondano l’impianto. La popolazione delle favelas, soprattutto donne e bambini, vive setacciando la discarica alla ricerca di scarti da riciclare. La discarica rivela le contraddizioni di una metropoli in parte legale e pianificata, ma in grande misura costituita da una sterminata periferia di favelas spontanee e abusive. A Bogotà convivono processi riqualificazione urbana e processi di degrado sociale e ambientale, ricchezza e miseria.
Accanto al conferimento dei rifiuti nella discarica di Doña Juana, gestita fino a ieri da operatori privati e ora da una società pubblica, esiste una diffusa raccolta dei rifiuti da parte di una moltitudine di riciclatori che si guadagnano da vivere rivendendo i materiali selezionati in una rete di centri di raccolta. Recentemente gran parte di questi raccoglitori informali (grazie all’azione dell’associazione ARB guidata da Nora Padilla) ha avuto un riconoscimento pubblico del proprio lavoro, ottenendo dall’amministrazione un regolare salario. Si tratta di una condizione del tutto nuova, osservata con attenzione da altre grandi città del Sud America. L’amministrazione di Bogotà, dopo aver sottratto ai privati il monopolio della raccolta dei rifiuti, intende avviare ora un processo efficiente ed ecologicamente sostenibile: raccolta differenziata dei rifiuti, riciclo, valorizzazione energetica, riduzione delle discariche, contenimento dei consumi.
Asentada linealmente a lo largo del rio Aburrá, entre montañas, a 1.600 metros sobre el nivel del mar, en un valle andino caracterizado por una gran riqueza en recursos hídricos, en flora y fauna, y un clima subtropical que le asegura unas temperaturas primaverales durante todo el año, Medellín y su aglomeración metropolitana, con una población de 3.5 miliones de habitantes, representan el segundo polo urbano de Colombia.
<p>La ciudad, con un aporte del 11% al PIB nacional, es hoy un importante centro económico y financiero del país, segundo después de Bogotá, y se ha consolidado como tal desde el siglo pasado gracias a una ubicación estratégica y a las capacidades emprendedoras de su población.
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La educación ambiental, cuyo objetivo es generar actitudes de valoración, responsabilidad y respeto por el ambiente se ha centrado en concientizar a las personas a través de clases, conferencias, charlas que se basan en la teoría de lo que sucede “afuera”, dejando a un lado la experimentación y el contacto con la naturaleza. En este contexto es importante entender las relaciones entre hombre y entorno, los lazos y vínculos indisolubles que hay entre ellos y cómo el hombre genera aprehensión por medio del contacto físico y afectivo.
El Paisaje nace de la relación entre hombre y lugar, es la interacción entre aspectos físico-espaciales, ecológicos y, primordialmente, culturales; entonces, como resultado de esta serie de relaciones, el paisaje no es estático, por el contrario es dinámico y está en una constante transformación, tanto en su conformación propia como en su significado mismo.
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¿Cómo entra el componente ecológico en el diseño de arquitectura, a las distintas escalas? En un país como Colombia, rico de materia ecológica, es un tema cada vez más importante, aunque todo para explorar. La forma del ambiente, los componentes técnicos de ellos en sus materiales, la articulación de forma arquitectónica con componentes como el agua, la luz, los colores en la arquitectura. Desde las sugestiones de Salmona, pasando para la generación de los arquitectos de la generación mediana, y la nueva, se puede trazar un balance, de cómo poco a poco se insinúa una reflexión más profunda, en donde la globalización desafía la arquitectura del contexto, para aclarar sus particularidades como también a recibir contribuciones del debate mundial.
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Unas de las dimensiones más relevantes en la que se ha entendido el desarrollo sostenible tiene que ver con las consecuencias generadas por la productividad creciente con una perspectiva puramente económica, olvidando algunos aspectos que permiten el desarrollo de las personas de manera armónica con el territorio y con otros grupos humanos. En contraposición con esta visión economicista del desarrollo, Manfred MaxNeef subraya, con respecto a la sostenibilidad del territorio, que sólo cuando se empieza a sugerir que la visión social es importante en el desarrollo, la economía ha echado mano de la ecología como un salvavidas a sus planteamientos limitados macroeconómicos teniendo en cuenta aspectos que hasta el momento, eran invisibles en la contabilidad de la producción.
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Nel 2011 abbiamo dato avvio alla prima edizione di Eco_Luoghi segnalando che Società, Ambiente e Paesaggio rappresentavano allo stesso tempo i grandi temi del dibattito pubblico nel perdurare della crisi e le sfide con cui avrebbe dovuto fare i conti la cultura del progetto architettonico, incalzata dai profondi mutamenti sociali e dai nuovi bisogni (dal risparmio energetico al consumo dei suoli, dall’agricoltura biologica alla raccolta differenziata, dalle case bioclimatiche alle auto a emissioni zero). Con la seconda edizione “la prateria si è allargata”.
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Assai raramente dei risultati di un concorso di urbanistica si può dire che offrano contributi significativi alla costruzione di una nuova cultura urbana. Costruzione che è necessaria, e ce lo dicono le condizioni, che tutti noi possiamo verificare quotidianamente, delle nostre città, dei territori e in generale del paesaggio italiano. Infatti, credo si possa affermare senza esagerazione che nel corso degli ultimi settanta anni sia avvenuta in Italia, ma non solo, una catastrofe urbana e paesaggistica di dimensioni enormi: quartieri carenti o privi di qualità per un buon abitare (vale a dire carenti di servizi pubblici, di spazi pubblici, di bellezza) e che si può valutare costituiscano almeno il 60-70% delle aree urbane, territori disseminati di edificazioni sgranate o di piccoli nuclei, paesaggi urbani e agricoli brutti a volte irrimediabilmente.
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Le città ecologiche e resilienti del futuro chiedono un nuovo sguardo e una rinnovata ecosofia che ne riveli le preziose “riserve di resilienza”, per troppo tempo invisibili agli occhi di chi le ha guardate solo come concentrato della rendita fondiaria o come generatrici di plusvalenze finanziarie. Le cellule resilienti al mutamento (frammenti di paesaggio, lacerti infrastrutturali, quartieri un riciclo funzionale, etc.) permettono alla città di assumere forme più elastiche, meno resistenti all'innovazione e più adattative, le consentono di attivare processi capaci di gestire un numero maggiore di problemi interagenti, di coinvolgere la pluralità degli attori e i variegati arcipelaghi sociali nelle decisioni, e di attuare forme di governance in grado di equilibrare la competizione tra le città entro i sistemi metropolitani e di temperare un sempre più ampio e aspro conflitto tra visioni, soggetti, priorità e risorse. E le riserve di resilienza da cui riattivare un metabolismo urbano più creativo, intelligente ed ecologico si concentrano soprattutto nelle aree sottratte alle tensioni della rendita: le periferie in transizione, i quartieri industriali in ristrutturazione, le aree portuali e ferroviarie in fase di riciclo infrastrutturale, etc..
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Guardando i prototipi dei progetti premiati nel consulto Eco_case, poggiati negli spazi dell’ex Mattatoio a Roma, non posso evitare di pensare a quella evocativa e mitopoietica immagine del Filarete, in cui Adamo scacciato unisce a tetto le mani sopra la testa per proteggersi dalle intemperie del mutevole mondo in cui è precipitato e fa così del suo corpo la prima casa: una casa/corpo. Infatti. Anche queste case in qualche modo sono case/corpo, modellate ( si potrebbe dire “di nuovo”) per interpretare ed intercettare, con la loro stessa forma e con la scelta di “materiali intelligenti” (mescolando antico e nuovo, artificio e natura) le cicliche e mobili condizioni del tempo e delle stagioni.É così che una consapevolezza della questione ambientale non si risolve semplicisticamente o soltanto con l’applicazione di un dispositivo tecnologico, ma facendo della concezione stessa della casa - della sua stessa forma – il dispositivo ecologico per un abitare nella natura.
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Carlo Donolo e Toni Federico ci propongono una riflessione di grande interesse sulla prospettiva della smartness e della sua utilizzabilità nelle e per le città meridionali. Una prospettiva che si pone tra attuale e possibile. L’attuale è la città meridionale, il possibile è la smart city. Ma oggi l’attuale è anche l’Agenda Urbana all’ordine del giorno in Italia e in Europa e il possibile è «una governance capace di sviluppare una visione chiara e condivisa del benessere, della qualità della vita e della sostenibilità». Impresa non facile. Sia sul versante della città meridionale che dell’Agenda Urbana. E infatti sul Mezzogiorno la conclusione degli autori è tutt’altro che ottimistica: «Troppe sagre, troppi eventi, troppi momenti, mentre l’infrastruttura resta fatiscente, tutta in un’ottica di breve periodo».
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I temi dello sviluppo sostenibile hanno assunto, negli ultimi anni, un’interessante declinazione, rispetto ai mutamenti climatici in corso, perché lo scenario in cui siamo proiettati, sempre più preoccupante secondo gli esperti, mette profondamente sotto accusa le modalità attraverso cui abbiamo progettato e realizzato le città, e artificializzato il territorio. Si è aperto così un campo di ricerca vastissimo, che taglia trasversalmente tutte le scale di indagine e di intervento. Le discipline dall’architettura e dell’urbanistica, nonché tutti i saperi coinvolti nelle dinamiche territoriali, sono chiamate a rivedere i propri quadri cognitivi e a dare risposte nuove. Stanno profondamente cambiando le esigenze, in particolare dell’abitare, a favore di flessibilità e adattamento, per rispondere all’incertezza di contesti ambientali sempre più provvisori.
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Si è concluso il 7° World Urban Forum di UN Habitat, dal titolo “Equità urbana nello sviluppo. Città per la vita”. Numeri da record: 20.000 presenze da tutto il mondo, e oltre 600 attività parallele tra seminario, workshop, conferenze e mostre.
La città di Medellin dal 5 all’11 aprile 2014, ne è stata uno scenario appropriato, per le drammatiche cifre che ancora la condannano come una delle metropoli latinoamericane in cui le differenze sociali sono più marcate e profonde, e al tempo stesso la propongono come modello per le suggestive soluzioni sperimentate.
Il Forum, tra le affermazioni entusiastiche del sindaco di Medellin e le immagini di Joan Clos, presidente di UN-HABITAT immortalato mentre spalma calcestruzzo e mattoni per una casetta tra le borgate informali di Medellin, lascia grandi interrogativi più che certezze.
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Si è tenuta a Pescara il 31 luglio scorso una manifestazione organizzata dal Dipartimento di Architettura in collaborazione con Missione Africa per l’inaugurazione del Laboratorio Città Informale all’interno della quale l’evento centrale è stato l’incontro con padre Vilson Groh un sacerdote che vive ed opera tra gli abitanti delle favelas di Florianopolis (Brasile) nel segno del dialogo e dell’intercultura. Il suo testo “INVESTIRE SUI POVERI. Padre Vilson Groh e il Progetto Aquilone” analizza e fa riflettere il lettore sul problema della povertà nel mondo, a partire dall’analisi dei tratti salienti della società globale contemporanea e dell’esperienza diretta del lavoro nelle favelas.
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Una prima nota di merito da consegnare alla organizzazione di questa 14° edizione della Mostra Internazionale di Architettura è senza dubbio il nuovo ruolo assegnato ai padiglioni dei paesi partecipanti, invitati a dare il proprio contributo ad uno dei tre temi principali che hanno caratterizzato la rassegna di questa Biennale. Contrariamente a quanto ciascuno dei paesi ospiti faceva autonomamente (seppur stimolati dall’indirizzo del curatore) nelle edizioni precedenti, in questa occasione a ciascun padiglione è stato affidato il compito di raccontare, nei modi e nelle forme propri di ognuno dei curatori nazionali, il secolo della modernità assorbito negli anni tra il 1914 ed il 2014.
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Paulo Mendes da Rocha è nato nel 1928. Ha alle spalle sessant’anni di carriera ed è tutt’ora quanto mai attivo nel suo studio situato nel centro della grande metropoli brasiliana, Sao Paulo. L’opera di Mendes da Rocha attraversa un lasso di tempo non privo di risvolti drammatici, come il ventennio di dittatura militare che ha pesantemente condizionato la sua carriera. Eppure la sua produzione è fortemente unitaria, accomunata, piuttosto che da un determinato partito formale, dalla preoccupazione per alcuni temi.
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