Editoriale

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Nomadismi della sostenibilità. Alberto Clementi PDF

Uno dei temi affrontati nell’ultima Conferenza Nazionale della Società Italiana degli Urbanisti, organizzata quest’anno a Milano, riguardava l’esistenza di concetti nomadi in urbanistica, e la loro trasmigrazione in altri territori. Una dislocazione che ne mette alla prova l’efficacia, ma che in alcuni casi può anche condurre a una riformulazione innovativa. Sicché può accadere che un concetto nato in uno specifico contesto, per rispondere alle condizioni d’intervento locali, emigri altrove scoprendo lì inedite potenzialità di applicazione, che inducono talvolta a riformulare il concetto originario, in una circolarità di ipotesi ed esperienze che alimentano l’avanzamento cognitivo e la sperimentazione progettuale.
Un caso sintomatico ne è ad esempio l’idea di modernità esplorata nelle architetture dei primi anni del dopoguerra da Ferdinand Pouillon, un architetto francese forse non apprezzato adeguatamente dalla critica, eppure uno dei più significativi protagonisti di quel tempo. Si tratta di una concezione inizialmente fedele alla cultura archiettonica del tempo, messa a punto nelle prime esperienze di Marsiglia, e in particolare nella ricostruzione del porto antico, disegnata nelle forme rigorose ma non troppo espressive che delimitano il nuovo waterfront. Quest’idea si  arricchisce poi nel successivo incontro con l’ambiente insediativo algerino, la sua luce intensa, i suoi colori vivaci, le sue tradizioni abitative, le sue atmosfere venate di mediterraneità. Ne viene fuori lo straordinario quartiere Climat de France, del 1954-57, che da molti è visto come il precursore di un’architettura ormai emancipata dalla prima modernità, in grado di aprirsi alle sperimentazioni neorazionaliste di Aldo Rossi, cariche di suggestioni e di reminiscenze che evocano il sentire più profondo di una città.

Non troppo diversamente, viene fatto di pensare al tema della trasmigrazione dei concetti e alla imprevedibilità dei suoi effetti quando si riflette sull’esperienza della Colombia, al centro di questo numero di EcoWebTown.
Un paese che fino agli anni Ottanta veniva ancora considerato in via di modernizzazione, e al quale si tendeva ad applicare una varietà di idee e di strumenti per lo sviluppo codificati nella tradizione occidentale, in particolare con le teorie della modernizzazione provenienti dagli U.S.A., percepiti allora come un controverso modello di riferimento per le classi dirigenti della Colombia. Ancora, un Paese segnato dalla criticità delle condizioni sociali, attanagliato da esasperate disuguaglianze tra i (pochi) ricchi e i (molti) poveri, per di più condizionato pesantemente dalla dilagante economia del narcotraffico che aveva finito per creare un proprio sistema di welfare, alternativo a quello offerto dallo Stato. E infine un Paese che, nonostante fosse tra i più ricchi di biodiversità del pianeta, non sembrava mostrare alcun interesse al proprio ambiente, sacrificandolo anzi sull’altare di uno sviluppo senza freni, tutt’al più essendo costretto a misurarsi con gli elevati rischi di calamità naturali devastanti che ne avevano tormentato da sempre la storia.
Così Medellin, la seconda città del Paese e a quel tempo capitale internazionale della droga, era diventato lo specchio drammatico di queste dure contraddizioni, con un’economia fiorente ma distorta dal peso eccessivo della criminalità, e con una società attraversata da tensioni laceranti e conflitti tangibili anche nell’uso dello spazio. Proprio il dilagare di barrios marginales, o piratas come allora venivano definiti ( Wolff Isaza, 1985), era la testimonianza più eloquente del livello esplosivo raggiunto dai processi d’ineguaglianza sociale, e dalle condizioni di deprivazione a cui erano costrette ampie fasce della popolazione locale.
Trent’anni dopo, tutto sta cambiando, e la rinascita delle periferie popolari in Colombia, in particolare di Medellin, fa scuola nel mondo. Il concetto della sostenibilità, nato altrove, viene ora applicato in una versione innovativa anche a questo Paese. Non troppo diversamente dal Brasile, la sostenibilità si colora di connotazioni marcatamente sociali, come del resto abbiamo già visto nei precedenti numeri di EcoWebTown dedicati ai Paesi latino americani. Ma qui anche l’ambiente comincia finalmente a entrare nell’agenda politica, e la sostenibilità tende ad acquistare un significato più pieno, sia d’impegno a favore dell’inclusione sociale che al tempo stesso di maggior attenzione ai rischi ecologici e ambientali. 
Più complessivamente, tende ad affermarsi un’idea di sostenibilità che appare “inseparabile dal futuro e dalla ricostruzione del buen vivir, contraria all’idea della produttività economica che accentua l’asimmetria e l’iniquità delle strutture sociali e ambientali, generando situazioni di rischio tanto per l’intorno naturale e costruito, quanto per l’uomo stesso. Pertanto la sostenibilità va riferita alla popolazione, al territorio, allo sviluppo bilanciato ed equitativo, con una visione prospettica e armonica, da cui emana l’idea di uno Sviluppo Umano Integrale e Sostenibile  (Liliana Giraldo Aires, in questo stesso numero di EWT).
L’interpretazione colombiana della sostenibilità conduce a esperimenti di grande interesse. Non è soltanto la realizzazione di intelligenti infrastrutture soft che rendono finalmente accessibili i barrios, abbattendo i muri della segregazione fisica e dell’isolamento umano. Più ancora, è l’idea di affidarsi alla cultura per ridurre le distanze e reintegrare alla città gli abitanti più diseredati, attribuendo un ruolo cruciale alla formazione civile, incardinata nelle biblioteche, nelle scuole e nelle piazze, tutte ripensate come luoghi di aggregazione laica per nuove forme di socialità; e come occasioni per sperimentare un’architettura sobria e per quanto possibile partecipata, consapevole delle proprie responsabilità sociali.
Inverando un concetto di sostenibilità che lo sottrae agli specialismi dei saperi disciplinari e delle tecnologie ambientali, la Colombia ci fa scoprire la validità dei principi che avevamo enunciato in precedenza, in occasione del numero dedicato alla Francia. Considerare cioè lo sviluppo sostenibile come un valore che si costruisce socialmente, con la responsabilizzazione e la capacitazione dei singoli individui, delle società locali e delle loro istituzioni. “Un modo di pensare e di agire adatto a immaginare collettivamente il mondo di domani. Un movimento di idee, comparabile all’Illuminismo del XVIII secolo, al quale ciascuno può apportare la sua firma”, (Bidou, 2011).
Per questo motivo il caso della Colombia appare così interessante e così ricco d’insegnamenti, al punto di meritare che proprio lì, a Medellin, si svolgesse quest’anno il VII World Urban Forum di UN Habitat, “Equità urbana nello sviluppo. Città per la vita”. Il Forum, recensito da Mario Tancredi, si è concluso con una carta d’intenti largamente condivisa ( La Carta di Medellin), che generalizza l’esperienza locale riproponendone come punti di forza “l’innovazione, la cultura, l’inclusione e il benessere, in un’accezione dell’urbanistica come strategia d’intervento partecipativa, pedagogica, sociale”.
Insomma, l’esperienza colombiana testimonia l’efficacia di un concetto nomade, la sostenibilità, nato con differenti presupposti ma positivamente fertile nella sua ambiguità, tanto da aprirsi a significative forme d’innovazione, dimostrando l’efficacia degli schemi interpretativi desunti dalla   “Boundary Object Theory” di Susan Leight Star, (S.Star, J.Griesemer,1989), come suggerito da Sandro Balducci nella XVII Conferenza SIU di Milano citata in precedenza. E’ un concetto trasmigrante capace d’incrociare fattivamente anche la smartness, altra categoria poliedrica e tuttora sostanzialmente indefinita, che sta monopolizzando ambiguamente l’interesse della politica delle città in Italia come in Europa.
Attilio Belli, nel recensire il saggio di Donolo e Federico, La questione meridionale e le smart cities, già richiamato nel precedente numero di EWT ( Donolo, Federico, 2013), mette in evidenza l’opportunità di far convergere sustainable e smart all’interno di un rinnovato governo urbano, finalizzato al benessere dei cittadini. E conferma di conseguenza l’attenzione prioritaria suggerita da Donolo nei confronti degli “investimenti in capitale umano e sociale, in infrastrutture moderne capaci di alimentare una crescita economica sostenibile, un’elevata qualità della vita, una saggia gestione delle risorse naturali sorretta da una governance aperta e partecipativa”. In questa prospettiva rilancia la centralità la questione dell’Agenda Urbana, insieme a quella della recente istituzione delle Città metropolitane, per cercare di fare sistema tra gli esasperati individualismi che segnano il nostro Mezzogiorno, oggi irriducibili a un disegno comune. E insiste sulla strategia della connettività, intesa in modo differente rispetto al collegamento urbano dei barrios colombiani, eppure percepita in modo analogo come “ cifra della necessaria rimodulazione della coesistenza dei soggetti sociali” (Censis). In questo senso, il miglioramento della connettività tra le diverse individualità in gioco dovrebbe consentire di orientare la capacità sociali disponibili e accompagnarle a diventare sistema, valorizzando appieno i processi di apprendimento organizzativo e di controllo della qualità, con ricadute positive anche sul funzionamento delle precarie macchine amministrative locali.

Per tornare a un’accezione della sostenibilità più limitata e per noi più familiare, questo numero di EWT ospita anche i risultati del II Concorso Ecoluoghi, promosso in Italia dal ministero dell’Ambiente con Mecenate 90. Quest’anno il tema era duplice: la rigenerazione urbana sostenibile, e ancora il progetto di unità abitative da realizzare nell’occasione come prototipi dell’abitare sostenibile. Ledo Prato per Mecenate 90, insieme a Pepe Barbieri, Maurizio Carta e Paolo Colarossi a nome delle due Giurie che hanno valutato i progetti, descriveranno in modo più puntuale la posta in gioco del concorso e le risultanze più significative che ne sono emerse.
A me preme rilevare come i progetti vincitori siano da considerare espressioni convincenti di quella nuova cultura del Sustainability Sensitive Urban Design cui è ispirata la nostra rivista EcoWebTown. E che trova campi d’applicazione estremamente diversificati, dalla rivitalizzazione di un centro storico alla rigenerazione di aree industriali dismesse, anche con la introduzione di un ciclo integrale di trattamento dei rifiuti, che dà origine a un nuovo paesaggio rurale mescolato con quello delle fabbriche.
Sorprende osservare come le proposte più innovative siano state elaborate da giovani architetti under 35, piuttosto che dai professionisti più maturi. E come inoltre la maggior parte delle soluzioni premiate provenga dalle città del Mezzogiorno, ribaltando la convinzione diffusa che la green economy e l’architettura della sostenibilità abbia attecchito in Italia soprattutto nelle regioni settentrionali, più avanzate economicamente e più consapevoli ambientalmente.
Che ci si trovi anche in questo caso di fronte alla migrazione fertile di un concetto nomade, in questo caso trapiantato nel Sud dell’Italia?



Riferimenti bibliografici

D.Bidou, 2011, Le développement durable, l’intelligence du XXI siècle”, Editions PC, Paris
C.Donolo,T.Federico, 2013, La questione meridionale e le smart cities, in “Rassegna Economica del Mezzogiorno”, a.XXVII, pp.117-138
S.Star, J.Griesemer,1989, Institutional Ecology, 'Translations' and Boundary Objects: Amateurs and Professionals in Berkeley's Museum of Vertebrate Zoology, 1907-39", Social Studies of Science, 19
H.Wolff Isaza, 1985, Tassonomia degli insediamenti non controllati in Colombia, in A.Clementi, L.Ramirez, a cura di, “Abitazione e periferie urbane nei Paesi in via di sviluppo”, F.Angeli, Milano.