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Recensione al saggio di Carlo Donolo e Toni Federico “La questione meridionale e le smart cities”, Rassegna Economica del Mezzogiorno.
Attilio Belli
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Carlo Donolo e Toni Federico ci propongono una riflessione di grande interesse sulla prospettiva della smartness e della sua utilizzabilità nelle e per le città meridionali. Una prospettiva che si pone tra attuale e possibile. L’attuale è la città meridionale, il possibile è la smart city. Ma oggi l’attuale è anche l’Agenda Urbana all’ordine del giorno in Italia e in Europa e il possibile è «una governance capace di sviluppare  una visione chiara e condivisa del benessere, della qualità della vita e della sostenibilità». Impresa non facile. Sia sul versante della città meridionale che dell’Agenda Urbana. E infatti  sul Mezzogiorno la conclusione degli autori è tutt’altro che ottimistica: «Troppe sagre, troppi eventi, troppi momenti, mentre l’infrastruttura resta fatiscente, tutta in un’ottica di breve periodo». E sul versante delle politiche urbane il discorso è altrettanto delicato perché nei documenti ministeriali non compare ancora una strategia di fondo per le città imperniata intorno a pochi elementi dirimenti, solidamente ancorati a una conoscenza specifica delle diverse realtà e a una logica di respiro europeo.
Il saggio di Donolo e Federico (dell’anno scorso)  ha il merito di ricostruire con la dovuta ampiezza  le possibilità e gli intralci di un percorso sulla smartness, offrendo una rassegna puntuale dell’insieme di problemi, teorici e pratici, molto oltre la retorica che ha imperversato sul tema. Si tratta di un contributo che è utile tenere presente e discutere proprio in questi mesi perché il nostro Governo, se vuole realmente “rottamare” vecchie incrostazioni nell’azione pubblica, deve riconoscere anzitutto che in Italia un vero governo del territorio non è mai esistito, e deve, con le decisioni da prendere, mostrare piena consapevolezza delle distorsioni presenti nel Sud. Gli autori muovono dalla constatazione che al carattere più che pervasivo, addirittura diluviale, del concetto di smart city nella scena politica e sui media, non abbia corrisposto affatto una strategia ben definita da parte degli amministratori pubblici. Pertanto, dopo averne richiamato la primitiva provenienza del tema nel 2005  intorno alle prospettive industriali per una concentrazione nelle città di interventi  potenzialmente innovativi nell’informatica e nelle reti intelligenti, ne seguono i progressivi arricchimenti verso una maggiore attenzione per lo sviluppo degli investimenti in capitale umano e sociale, in  infrastrutture moderne capaci di alimentare una crescita economica sostenibile, una elevata qualità della vita, una saggia gestione delle risorse naturali sorretta da una governance aperta e partecipativa.
Nella ricostruzione storica dei nostri autori, la smartness acquisisce la sua più completa significatività assumendo su di sé le esigenze della ecosostenibilità e il fine più rilevante del governo urbano, quello del benessere dei cittadini, individuando,  in questo tragitto, il contributo più innovativo nel Rapporto Stiglitz del 2009, che ha introdotto criteri originali per la misura del benessere, della qualità della vita e dello sviluppo sostenibile. Ed è questa prospettiva ampia e complessa che Donolo e Federico adottano nelle loro considerazioni. Una prospettiva che senza rinviare a una visione olistica, vede un progetto di smart city orientato anche a migliorare l’efficienza energetica, a rafforzare la produzione di energie rinnovabili, a promuovere una politica attiva sul cambiamento climatico; e che si misura con la realtà concreta del Mezzogiorno.
Tutto questo patrimonio di temi che la smartness porta con sé oggi è messo alla prova dall’incrocio tra gestione dell’Agenda Urbana e avvio delle Città metropolitane (ben quattro nel Mezzogiorno). In questa direzione, l’Agenda Urbana e la Città metropolitana richiedono un’azione che sia innestata pienamente nello sforzo che l’Europa deve affrontare per definire il suo ruolo di fronte alle complesse trasformazioni che impone la globalizzazione, tesaurizzando il percorso avviato sulla sostenibilità e nella lotta ai cambiamenti climatici.
Ma non c’è molto da girare intorno ai problemi, il vero fatto straordinario che il governo dovrebbe produrre è quello di dare al nostro Paese - al quale tutti hanno sempre attribuito come suo asset fondamentale il territorio e la città- un vero e appropriato governo dell’urbano. Per le città meridionali i nostri autori considerano prioritario prendere le mosse dai loro deficit, che si materializzano nelle varie forme di degrado. In merito, riprendendo le analisi di Casavola e Trigilia, la debolezza è individuata, non dalla consistenza tutt’altro che trascurabile delle dotazioni materiali e virtuali delle città, ma dalla loro frammentazione e occasionalità. E qui s’impone il tema della connettività, come «cifra della necessaria rimodulazione della coesistenza dei soggetti sociali» (Censis), che nel Mezzogiorno incontra molte resistenze, tra tutte il forte individualismo. Per batterle, serve un vero riconoscimento delle capacità che emergono, al fine di orientarle e accompagnarle a diventare sistema, sperimentando connessioni innovative, e virando a novanta gradi rispetto alla logica dei Grandi Eventi. Questo va fatto, tenendo presente che sono necessarie grandi risorse e un’azione di lunga durata, e che bisogna  fare leva sugli elementi dinamici, indubbiamente pur presenti anche nel Mezzogiorno, come competenze, creatività, capacità innovativa e organizzativa.
Nella prospettiva della smart city l’individuazione di queste risorse rappresenta il punto di partenza indispensabile, per risorse che non basta catalogare, ma che devono essere considerate proprio  nella prospettiva della connettività, valutandone appieno i processi di apprendimento organizzativo e l’avvicinamento a migliori criteri di qualità e di assunzione delle regole comunitarie. La debolezza in atto e la forza potenziale vanno collegate alle capacità (modeste) delle macchine amministrative locali. Un’operazione mirata a condurre la capacità della macchina amministrativa pubblica locale a livelli di eccellenza è uno dei punti su cui Donolo e Federico  pongono l’accento, anticipando così le critiche mosse dalla Commissione europea al programma operativo nazionale 2014-2020 (PON Metro), e al Dossier di co-progettazione predisposto a sostegno, impostato  nei primi mesi di quest’anno dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica. In esso infatti è stata riscontrata l’assoluta mancanza di attenzione alla capacità amministrativa, al contrario indispensabile per sostenere  l’approccio integrato. Si tratta di una critica pertinente ancor più per le nuove Città metropolitane, alle quali servirà una forte capacità amministrativa, molto oltre le vigenti modalità di governo del territorio, superando il modello di tipo autoritativo e conformativo, per uno capace di creare le condizioni di ricomposizione e cooperazione tra i diversi soggetti urbani. E va fatto, non dimenticando che le città meridionali hanno mostrato grande difficoltà a portare avanti programmi complessi e politiche integrate, a usare produttivamente i fondi europei e a privilegiare condotte strategiche a medio raggio. La sintesi di questo passaggio, su cui non si può non essere d’accordo, è che la Questione meridionale, prima ancora di essere una questione sociale, è una questione istituzionale.
Certo, è evidente, Smart city, Agenda urbana, governo del territorio, dovrebbero essere collegate a una lotta nazionale senza quartiere, incondizionata, alla malavita organizzata e a un grande progetto di ospitalità attiva per i migranti che arrivano nel nostro Pese. Un progetto che parli al Mediterraneo e mostri il volto di un’Europa consapevole di dover trovare gli strumenti adatti per combattere la terza guerra mondiale nel territorio decisivo del Mare Monstrum; facendo giocare le differenze sociali, etniche e religiose in una lotta inusitata all’indifferente - per usare la formulazione lefebvriana - contro l’indifferenza dei popoli e degli Stati europei, e rigenerando l’indifferenziato urbano, operando insieme per innestare processi del tutto nuovi nelle città mediterranee, che negli ultimi decenni hanno perduto le tracce nobili di un antico passato.  Una prospettiva di lungo periodo per uscire dalla crisi.
Ma per fuoriuscire dalla crisi e avviare un nuovo percorso di sviluppo, una forte, rinnovata politica nazionale per le aree urbane occupa un posto centrale. Il governo Renzi ha mosso alcuni primi passi in questa direzione: la costituzione delle Città metropolitane, l’Agenzia per la coesione che ha promosso interventi sostitutivi e selettivi a carico delle regioni meridionali in ritardo nell’uso dei fondi Ue, e l’avvio della riforma urbanistica con la bozza del disegno di legge Lupi, che deve sostenere l’obiettivo di superare il ritardo della legislazione nazionale rispetto alla molteplicità delle discipline regionali.
Nel frattempo però bisogna mettere in campo un’iniziativa capace di misurarsi subito e in modo innovativo con la complessità dei processi urbani, con la loro natura spesso caotica, difficilmente prevedibile, con la loro struttura frammentata e reticolare, per valorizzare a pieno quelle concentrazioni preziose di economia della conoscenza e dell’innovazione indispensabili per lo sviluppo del Paese. Tema questo ancora più marcato di quanto espresso da quel “modello europeo di città” costitutivo del “progetto europeo”, perché l’Italia è il paese dell’Ue in cui le diseguaglianze sociali si sono maggiormente ampliate nella lunga fase di declino economico iniziata negli anni Novanta.  E l’Agenda Urbana è l’occasione imperdibile per tentare di inserire un diverso modo di considerare le città e i territori. Come segnalava Donolo al seminario “Un’Agenda Urbana per l’Italia” dell’Aquila del 28-29 maggio, questo dovrebbe avvenire inserendo nella tematizzazione della città e del territorio due criteri di solito trascurati: uno sguardo lungo capace di porre le scelte in riferimento ai cicli medio-lunghi di trasformazione urbana e territoriale, affrontando così adeguatamente la questione della sostenibilità dei processi in tutta la sua tridimensionale complessità (tra tutti standard per il consumo di suolo); la multidimensionalità delle materie in gioco. In sostanza, un’impostazione dell’Agenda strategica multidimensionale, centrata sulla sostenibilità e la giustizia territoriale.
Questa iniziativa non potrà evitare di essere accompagnata, prima o poi,  anche dalla  riforma dell’assetto regionale  per un raccordo efficace con i territori (le macroregioni). La questione delle macroregioni rappresenta una delle prospettive di riforma per la modernizzazione istituzionale del nostro Paese più volte ripresa e accantonata.  Su di essa si sono accumulate nel tempo più ipotesi, dalle 15 macroregioni in raccordo con aree metropolitane forti, provenienti dallo studio spesso richiamato della Fondazione Agnelli degli anni novanta;  alla proposta della Regione Lombardia delle  tre  o nove o quindici macroaree;  a quella infine avanzata dal governatore campano Caldoro di 5 aree (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole), e criticata  da Vendola per il  timore di effetti secessionisti, contrapponendovi l’idea di una geometria variabile definita su temi e progetti specifici. Si tratta in tutta evidenza di una riforma di grandissima complessità, che potrebbe fornire un quadro di riferimento istituzionale proiettato in maniera lungimirante verso i tempi medio-lunghi.
C’è molto da lavorare. È una battaglia anche culturale che deve impegnare pienamente tutte le discipline direttamente coinvolte da questi temi. Come dire? Urbanisti e territorialisti di tutta Italia … unitevi. Serve una straordinaria mobilitazione delle forze della cultura, così ampiamente coinvolte dallo spessore di una politica della smartness, capace di promuovere un’azione il più possibile unitaria, anche nel  nostro Mezzogiorno. In questa prospettiva assume concretezza l’auspicio che Donolo avanzava nel saggio “Verso ordinamenti spaziali virtuali”, pubblicato sulla rivista CRIOS. L’auspicio che la smartness post-urbana possa condurre il nuovo urbano a produrre urbanitas e intelligenza da città politica, anche nel Mezzogiorno d’Italia.