Call for Paper - Traiettorie di ricerca interdisciplinari e progetto urbano

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Attrezzature emergenti per lo spazio urbano
Processi di upcycling per filiere circolari
Erminia Attaianese, Chiara Castellano, Maria Fabrizia Clemente, Federica Paragliola, Marina Rigillo PDF




Parole chiave: Emergent dwelling, Co-design, Circular economy, Tecnocycles, Upcycle
Keywords: Emergent dwelling, Co-design, Circular economy, Tecnocycles, Upcycle

 

Abstract:    
           
IT) Il contributo presenta alcuni degli esiti della ricerca dell’U.O. di Napoli Federico II nel PRIN 2017 – Tech-Start, declinando i concetti di “emergent dwelling” e “convergent innovation” nell’ambito degli obiettivi di Terza Missione della ricerca stessa. In particolare, il contributo descrive il processo metodologico, legato all’esperienza di co-design realizzata con la società Metellia, che ha condotto alla definizione di un progetto di un “Hub Urbano” inteso come nuova attrezzatura pubblica, non specialistica, volta ad estendere il ciclo di vita di particolari tipologie di prodotti (oggetti di arredo in legno e tessuti) e contestualmente ad innescare comportamenti virtuosi finalizzati alla sostenibilità ambientale, economico e sociale.
EN) The paper presents some of the outcomes of the O.U. of Naples Federico II in the PRIN 2017 - Tech-Start research, declining the concept of “emergent dwelling” and “convergent innovation” within the Third Mission objectives of the research. Notably, the paper describes the the co-design experience carried out with Metellia company, which led to the definition of a project for an “Urban Hub”, intended as a new, non – specialist, public equipment aimed at extending the life cycle of specific type of products (wooden furniture and textile) and at the same time triggering virtuous behaviours aimed at environmental, economic, and social sustainability.




Introduzione

La frequenza e la magnitudo di eventi climatici estremi, insieme all’esperienza della pandemia da Covid-19, hanno determinato una diffusa consapevolezza della vulnerabilità degli habitat antropizzati e della condizione di incertezza che investe la società contemporanea.  Nuove e più complesse sfide definiscono lo scenario dell’agire tecnico e dell’iniziativa politica, sfide prevalentemente orientate al contrasto dei cambiamenti climatici, che anche includono la messa in essere di una diversa prospettiva di sviluppo organizzata su modelli economici green e circolari, volano un’idea di progresso più “avanzata” e strategicamente proattiva (Gausa et al., 2001).
In tale scenario, un ruolo centrale viene attribuito alla qualità dello spazio pubblico, aperto e urbano. Si assiste, invero, ad una richiesta “dal basso” che spinge per adeguare rapidamente i luoghi della vita urbana ai mutamenti in corso, in una prospettiva di rinnovamento in cui l’intervento sullo spazio fisico si salda indissolubilmente con l’introduzione di modelli insediativi adatti a rappresentare una domanda di usi più inclusivi, sostenibili e intelligenti dello spazio stesso (Battisti et al. 2019).
La domanda How will we live toghether?, posta da Hashim Sarkis per la 17° Biennale di Architettura di Venezia nel 2021, esprime con esattezza il perimetro culturale e scientifico dell’azione progettuale che ci viene richiesta: la qualità dello spazio di cui disponiamo, la sua tutela e la sua riproducibilità sono infatti elementi cruciali di un ragionamento non più eludibile sulle possibilità di sviluppo delle comunità (Sarkis, 2021). E non possiamo non interrogarci sulle forme di socialità che il progetto andrà a determinare, né quali competenze dobbiamo introdurre per immaginare, produrre e poi gestire i nuovi ambienti urbani. La sfida che abbiamo davanti è quella di un futuro sostenibile, adattivo ed equo (Antonelli, 2019; Coccia, 2021), un orizzonte etico, oltre che operativo, per riportare in condizioni di equilibrio la relazione tra habitat e habitus (Attaianese, 2019), e che diventa imprescindibile azione adattiva per rispondere a richieste “emergenti” di abitare.
Su questi temi si articola il progetto PRIN 2017 progetto TECH-START - “key enabling TECHnologies and Smart environmenT in the Age of gReen economy Convergent innovations in the open space/building system for climaTe mitigation” (P.I. Mario Losasso). La domanda di ricerca verte sulla qualità e la natura dell’innovazione tecnologica già oggi disponibile e sempre più necessaria per affrontare con efficacia e responsabilità le sfide dell’abitare contemporaneo. Il focus è diretto sulla trasferibilità dell’innovazione stessa e sulle possibilità di prefigurare condizioni di co-evoluzione per i dominii tecnologici esistenti (Arthur, 2009) in vista di una maggiore aderenza alle istanze della green economy, dello smart environnement e della mitigazione climatica. Tra le azioni prioritarie del progetto c’è, infatti, la definizione di dispositivi tecnologici funzionali a sviluppare soluzioni progettuali organizzate intorno ad un nuovo set di requisiti di abitabilità, requisiti “emergenti” nella misura in cui corrispondono ad una richiesta di adattamento sempre più sofisticata, che vede continuamente interagire la dimensione fisica, digitale e sociale nell’organizzazione dello spazio indoor, outdoor e in-between.
A partire da tali assunti, la ricerca TECH-START sviluppa i concetti di “emergent dwelling” e “convergent innovation” quale approccio strategico al progetto contemporaneo, declinando questi stessi attraverso un corredo di esigenze e requisiti desunti da esperienze recenti di abitare, una sorta di abaco provvisorio di combinazioni possibili di uso e percezione dello spazio abitato (e abitabile) alla luce delle sfide ineludibili della contemporaneità (Attaianese et al., 2022).
Nel quadro degli avanzamenti prodotti dalla ricerca, il presente contributo presenta la proposta di una nuova infrastruttura urbana per incrementare modelli di economia circolare. Tale infrastruttura si realizza attraverso un sistema di piccoli hub urbani per iniziative di educazione sociale finalizzate al riuso, alla riparazione e all’upcycling di oggetti di arredo in legno, nonché di scarti di abbigliamento e tessuti in generale.  Gli Hub sono pensati come un dispositivo fisico, che lavora sulla standardizzazione delle funzioni tipo (riuso, riparazione e re-design dei prodotti conferiti) rispetto ad un modulo di base, ripetibile e adattabile alla diversità dei contesti urbani.  In termini funzionali, l’hub è un’infrastruttura per implementare i tecnocicli descritti da Ellen McArtur in una prospettiva di estensione del concetto di circolarità ad ambienti eco-socio-tecnici pronti ad accogliere nuove forme di recupero e di re-introduzione dello scarto nei cicli commerciali. Sul piano realizzativo, il progetto dell’hub risponde alle esigenze di adattabilità, trasferibilità e modularità degli elementi tecnici mediante l’impiego di tecnologie low-cost e low-tech.
Il contributo è stato sviluppato nell’ambito degli obiettivi di Terza Missione della ricerca PRIN 2017 progetto TECH-START, ed è l’esito di un processo di co-design con la società Metellia srl, società in house del Comune di Cava de’ Tirreni per la gestione dei rifiuti urbani. La sperimentazione progettuale è stata condotta nell’ambito dell’Accordo di Programma siglato tra Metellia e il Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II, finalizzato ad attivare nuovi processi di scambio, formazione ed educazione sociale per l’economia circolare. Il progetto dell’hub è stato dunque inteso quale dimostratore della fattibilità tecnico-economica di filiere produttive e sociali “emergenti”, motore di comportamenti virtuosi finalizzati al vantaggio ambientale, economico e sociale, ma anche come nuovo prodotto tecnico per lo spazio urbano, in grado di esprimere i nuovi requisiti tecnologici e di uso connessi alla nuova significazione dei valori di sostenibilità.

 

Processi innovativi per il progetto di nuove attrezzature urbane per l’economia circolare

La necessità di ideare e proporre iniziative incentrate sull’economia circolare al fine di ridurre il consumo di risorse naturali ha ormai acquisito un ruolo centrale nelle politiche tecniche e operative dell’Unione Europea. In particolare, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR 2021-206), nel recepire le strategie europee per la transizione ecologica e digitale della sua Comunità (COM/2019/640 final; COM(2020) 98 final), promuove la sperimentazione di processi socialmente condivisi per l’economia circolare e la mitigazione climatica nelle aree urbane. Si definisce, così, un contesto politico e finanziario assolutamente inedito, che offre margini di azione per la ricerca di nuovi approcci al progetto dello spazio pubblico con un focus sull’innovazione intesa come convergenza di saperi, capacità del fare, consapevolezza di ruoli e responsabilità istituzionali. In particolare, il Nuovo Piano d’Azione per l’Economia Circolare dell’Unione Europea nel 2020 definisce quest’ultima quale “presupposto per la neutralità climatica”, sottolineandone il ruolo centrale in un processo di “transizione all'economia circolare che sia sistemica, profonda e trasformativa, dentro e fuori dai confini dell'UE” (COM(2020) 98 final). Su scala nazionale la MISSIONE 2 del PNRR 2021-2026, ha l’obiettivo di promuovere cultura e consapevolezza sociale sui temi dell’economia circolare migliorando la capacità di gestire in modo efficiente e sostenibile i rifiuti, anche attraverso il supporto tecnico alle autorità locali e la realizzazione di progetti “faro” altamente innovativi. 
In questo framework, il principale riferimento dello studio è la gerarchia dei rifiuti proposta dalla Direttiva n. 98 del 2008 e dal Nuovo Piano di Azione per l’Economia Circolare (COM(2020) 98 final), come implementato dalla strategia Zero Waste Europe (ZWE) nel 2019 (Simon, 2019). Il contenuto di innovazione di questo strumento normativo risiede nel concetto di conservazione del valore delle risorse che viene proposto come primo obiettivo da perseguire per l’estensione del fine vita di prodotti e materiali in una prospettiva di Life Cycle Design.
Lo studio si pone quindi in linea con il modello ZWE, guardando specificamente alla progettazione dei cicli tecnologici, come teorizzati dalla Ellen MacArthur Foundation, ovvero ai processi che prodotti e materiali subiscono, al fine di mantenere il valore d’uso nel loro ciclo di vita. Si fa riferimento a quelle categorie di prodotti tecnici che non possono essere reintrodotti nel sistema naturale e che, viceversa, possono essere re-immessi nel sistema urbano per un approccio circolare (EMF, 2015). In particolare, si porta l’attenzione ai processi di riuso e di upcycling che sottendono rispettivamente ad azioni di conservazione e di trasformazione dei materiali post-consumo in nuovi prodotti di maggiore valore, spingendo verso creatività e innovazione nel recupero e nella rigenerazione delle risorse. 
In tal senso, favorire la designazione di nuove filiere circolari del rifiuto alla scala locale, volte alla preservazione e all’upcycling della catena del valore offerta, consente di intervenire sulla riduzione degli impatti prodotti e sulla generazione di opportunità di sviluppo economico e di innovazione sociale. Si tratta, in definitiva, di intervenire attraverso l’attivazione di specifiche forme d’uso, la creazione di nuove condizioni di mercato e di posti di lavoro, indirizzando la comunità verso azioni di autogestione e di sussidiarietà. Tali interventi intercettano sia il piano dei flussi materiali – produzione di energia, di cibo, prodotti e servizi essenziali, adattamento e mitigazione climatica – che quello delle relazioni sociali, lavorando su una dimensione di scala che, grazie all’uso della rete e delle tecnologie abilitanti, intercetta parimenti la dimensione di vicinato e quella globale. 
Lo studio si propone dunque di sperimentare un diverso approccio ai modelli di produzione e consumo tipicamente legati ai processi take-make-dispose, stressando la convergenza di sapere tecnico e obiettivi sociali, attraverso la generazione di un nuovo modello emergente di infrastruttura urbana, basato su una rete di tipo eco-socio-tecnico funzionale all’ingaggio e al sostegno di comunità urbane attraverso pratiche di co-operazione e condivisione responsabile, che possano contribuire alla creazione di una diversa etica dello scarto, riducendo, peraltro, la pressione antropica sull’ambiente naturale.

 

Sperimentazioni progettuali: l’esperienza di co-design per la proposta di un hub per l’upcycling

Muovendo da tali premesse, l’esperienza di co-design ha l’obiettivo di immaginare una infrastruttura urbana per il riuso e l’upcycling di tipologie di prodotti scarto che non sono ancora tecnicamente rifiuto. Un’infrastruttura a rete, composta da un insieme di dispositivi spaziali caratterizzati funzionalmente e percettivamente in modo da cancellare lo stigma sociale che normalmente si associa al concetto di rifiuto, per infondere fiducia e una nuova dimestichezza con le pratiche di economia circolare. L’idea è quella di associare l’attività di raccolta e gestione dello scarto con pratiche socialmente condivise e accettate, in grado di supportare attivamente la cultura della transizione ecologica e digitale, grazie alla diffusione capillare sul territorio e al contatto diretto con i cittadini: «[…] the future is not […] infrastructure and software as a service, but […] a lot of loosely connected mini-services [that] can be easily assembled like Lego blocks and on top of which you can build agile and resilient applications» (https://pierrelevyblog.com, accessed August 21, 2018).
L’attenzione si è focalizzata sulle filiere per il riuso, la redistribuzione, la riparazione e l’upcycling di scarti di arredo in legno e di prodotti del tessile, immaginando un’infrastruttura urbana realizzata da un insieme di elementi modulari, a grandezza variabile, diversi nell’aspetto e uguali negli usi. Si tratta infatti di piccole attrezzature coerenti con un sistema di requisiti progettato ex ante, attrezzature organizzate attraverso un set aperto e implementabile di layout funzionali, realizzati con tecnologie low-cost e low-tech, ripetibili, funzionalmente riconoscibili, adattabili alla diversità dei contesti e rispondenti ad un immaginario collettivo sufficientemente collaudato. La conformità a questi criteri è funzionale alla scalabilità dell'intervento, un elemento imprescindibile per l'innovazione e il successo, che trova nelle caratteristiche tecniche di modularità, integrazione e adattabilità. Ogni intervento rappresenta infatti uno spazio unico, progettato attraverso un processo creativo che si basa su informazioni oggettivamente validate e utilizza un sistema di elementi tecnici che lo rendono riconoscibile come parte di un insieme funzionale. Gli hub devono essere facili da montare e smontare, a basso costo e devono seguire un iter autorizzativo flessibile, che permetta di ridurre il divario tra l'ideazione e la realizzazione.
Il sistema di requisiti e prestazioni, tecnologiche e di processo, trova nell’ upcycling dei container marittimi dismessi una risorsa efficiente, efficace e sostenibile per la costruzione dell’hub. Il riutilizzo di questi sistemi prefabbricati a secco offre vantaggi rilevanti per la riduzione dei tempi e dei costi di realizzazione, per la flessibilità compositiva dei layout funzionali nonché per la riduzione degli impatti ambientali connessa all’estensione del valore del container stesso. Il ciclo di vita di un container è, infatti, pari a circa 30 anni ma la media internazionale della sua vita utile è inferiore a 20 anni, inoltre, considerando che il costo della tratta di rientro non è più correlato al valore delle merci di trasporto, non è difficile immaginare l’ingente numero di unità abbandonate nei porti (Scalisi e Sposito, 2021). L’insieme di queste unità dismesse rappresenta dunque un ampio stock di prodotti disponibili, che trova nel processo dell’upcycling la possibilità di acquisire un nuovo valore di tipo funzionale, prestazionale, estetico, sociale e di sostenibilità (Hoffmann et al., 2020). È stato infatti stimato che, in riferimento ad altri sistemi di costruzione a secco, come l’acciaio vergine e l’X-LAM, il riutilizzo di un container marittimo dismesso consente, per circa 200 mq di costruzione, una riduzione potenziale di 20-25 tonnellate di CO2 equivalente (Bertolini e Guardigli, 2020). Questa soluzione si sta dimostrando sempre più diffusa in diversi settori in linea con le esigenze di spazio e costruzione contemporanee grazie alle potenzialità offerte dalla resistenza strutturale, dalla facilità di trasporto nonché di assemblaggio e disassemblaggio delle geometrie1. In figura è schematizzato il processo della sperimentazione progettuale (fig. 1).

 

La proposta di C.I.R.O.

Il nuovo sistema di attrezzature viene dunque progettato attraverso la combinazione di container marittimi dismessi sottoposti a processi di riconfigurazione prestazionale, estetica e funzionale per accogliere nuovi usi e generare nuovi spazi per l’economia circolare a scala urbana. In termini normativi, l’hub si inquadra nella specificità della Legge Regionale 14/2016 della Campania che nell’ambito della creazione dei Piani d’Ambito prevede la creazione di centri per il recupero di beni durevoli, quali appunto gli arredi oppure lo scarto del settore tessile.
Ribattezzato con il nome di “CIRO” (Centro Integrato Riutilizzo Ottimale dei beni durevoli), l’hub si caratterizza come un’attrezzatura non specialistica per l’estensione del valore d’uso e il ciclo di vita delle succitate tipologie di prodotti (fig. 2; fig. 3) ed allo stesso tempo, come spazio urbano funzionale per usi ricettivi e di tipo educativo (fig. 4).

L’obiettivo del progetto è dunque quello di risolvere un problema nella gestione dei “rifiuti” ingombranti e dell’abbigliamento, instaurare una filiera di economia circolare a scala locale, ma anche offrirsi come spazio per attività di divulgazione e sensibilizzazione sul tema dei rifiuti, realizzando un esempio virtuoso di cura e di responsabilità tra utenti, istituzioni e altri stakeholders. A partire dalla definizione degli obiettivi di progetto, sono definite le funzioni, la selezione del cluster di utenza e del target di riferimento, per la proposta dei diversi layouts funzionali-spaziali e dei flussi (fig. 5).

Il progetto prevede l’utilizzo di un numero limitato di containers, da 2 a 4, di 6,096 m (20 feet), in modo da consentire la facilità di movimentazione e trasporto su gomma, e diverse combinazioni secondo differenti tipologie di layout, così da favorire una maggiore flessibilità e adattabilità all’uso dello spazio indoor e outdoor in relazione ai potenziali contesti. Lo spazio indoor è definito indentificando funzioni e target di utenza, e alle attrezzature e agli arredi interni necessari a consentire i processi di upcycling (fig. 6).
Come anticipato, la sperimentazione si focalizza sulla convergenza degli obiettivi connessi alla filiera dello scarto e la volontà di attivare processi di innovazione sociale. La scelta dei moduli e delle funzioni è contestuale alla selezione di cluster di utenza, selezionata attraverso i metodi dell’human-centred design, in base ai quali è stata anche progettata una app digitale che sostiene e veicola la comunicazione delle attività dell’hub.
Questo approccio si fonda sull’analisi dell'interazione utente-compito-sistema in una chiave system oriented, funzionale a definire, dall'osservazione del contesto, inteso come persone, attività, ambiente, gli elementi attraverso cui delineare i requisiti di usabilità del sistema da progettare (Ritter et al. 2014). Nel caso specifico, la profilazione dell’utenza è stata sviluppata attraverso il metodo User-Personas (Chang et al. 2008), che ha consentito di definire diversi gruppi di utenti target, a cui sono stati riferiti i requisiti dell’esperienza d’uso per le diverse configurazioni e funzionalità di CIRO. La definizione dei profili di utenza è fondamentale per una efficace progettazione di sistemi human-centred, perché consente di focalizzare l’attenzione su capacità, aspettative e comportamenti, specificità e differenze, dei soggetti che costituiscono i target cui il sistema è prevalentemente rivolto.

Un ruolo centrale è stato quindi attribuito al progetto di una app, il cui scopo non è solo quello di consentire agli utenti di conoscere le attività e fruire dei servizi legati all’hub ma, anche e soprattutto, quello di costituire una infrastruttura digitale di supporto allo sviluppo di una comunità che attraverso, il gaming e la condivisione di conoscenze ed esperienze, coinvolga le persone in un processo virtuoso di consapevolezza ambientale e comportamenti sostenibili (fig. 7).

Conclusioni

Il contributo propone una sperimentazione progettuale coerente con l’obiettivo della ricerca PRIN 2017 TECH-START di rafforzare l’accesso all’innovazione attraverso processi attivi di trasferimento delle conoscenze a quelli nuovi del co-design e co-produzione per favorire l’emergere di nuove e più efficaci condizioni di transizione ecologica e climate neutral. Questo tipo di azioni e politiche spingono verso un nuovo concetto di Smart Environment definito dall'unione di diverse infrastrutture e attrezzature tecniche che consentono di realizzare le condizioni per nuovi habitat sociali, sostenibili e inclusivi.
L’idea di un’infrastruttura per l’economia circolare alla scala urbana trova nel progetto degli hub l’occasione per mettere a sistema approcci teorico-metodologici della ricerca con pratiche operative consolidate, che hanno nell’upcycling di container marittimi dismessi l’elemento cardine di innovazione. Le caratteristiche di modularità, integrabilità, adattabilità e facilità d’uso fanno sì che ogni singolo intervento possa rappresentare uno spazio unico, progettato attraverso un processo ideativo che, pur nella sua autonomia, riferisce ad un corredo informativo scientificamente validato ed utilizza un sistema di elementi tecnici che lo rendono riconoscibile come parte di un insieme funzionale. Hub facili da montare e smontare, poco costosi e caratterizzati da un iter autorizzativo piuttosto agile che consente di avvicinare il tempo dell’ideazione con quello dell’appalto e della realizzazione, in una logica coerente con la richiesta sociale e le aspettative della politica. Il requisito dell’integrabilità, in particolare, è declinato sia in termini costruttivi che funzionali, facendo del prototipo progettato un’attrezzatura fisica e virtuale, anche grazie al progetto dell’app appositamente sviluppata. 
Coerentemente con gli obiettivi della ricerca PRIN 2017 TECH-START, il progetto dell’hub porta il focus sulla definizione del contesto di esperti, istituzioni e stakeholders coinvolti nel processo, ma soprattutto sulle esigenze degli utenti, sui comportamenti in essere e sui modelli di cambiamento che si vuole attivare, analizzando bisogni, richieste, vincoli culturali e normativi, fattibilità tecnica e sostenibilità economica.  Un’attenzione che fortemente informa il modello di progettazione e il suo trasferimento con l’obiettivo di dare risposta alla transitorietà dell’abitare, e quelle forme emergenti di socialità urbana che si caratterizza per l’inedita convergenza di sapere tecnico e cultura sociale tipicamente radicata nel nuovo regime climatico. Una condizione, questa, che reclama una progettualità attiva dello spazio pubblico in cui il progetto di habitat sostenibili è obiettivo imprescindibile, socialmente condiviso ed economicamente realizzabile (Corsini & Moultrie, 2021).

 

Riconoscimenti
Le Autrici ringraziano il Prof. Mario Losasso, Principal Investigator del progetto PRIN Tech-Start e tutti i ricercatori coinvolti nel progetto stesso per il supporto fornito. Si ringrazia inoltre la Metellia srl e in particolare il Presidente dott. Giovanni Muoio e l’ingegnere Giuseppe Milite. Si ringrazia inoltre il dott. Fabrizio Canonico del CNR per il prezioso contributo fornito al progetto dell’hub.

 

 

Riferimenti bibliografici
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Note

1 Un riferimento essenziale è l’esperienza dello studio LOT-EK, che attraverso operazioni di addizione, sottrazione e sovrapposizione ha fatto della reinterpretazione creativa e innovativa del container una vera e propria grammatica compositiva in grado di rispondere alle esigenze dei luoghi e alle richieste della committenza (https://lot-ek.com).

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