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Il muro e la siepe
Aimaro Isola
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Parole chiave:          architettura, paesaggio;
                              architecture, landscape




Abstract:

Mura, siepi, i confini, quelli tra dentro e fuori, tra soggetto e oggetto, tra io e mondo, tra persone e natura, tra organico e inorganico, sono sempre più insicuri, difficili da osservare e quindi da raccontare e da disegnare. Oggi ci siamo accorti di non essere solo spettatori in contemplazione di una natura a noi esterna, o sue vittime, ma di essere attori in una unica "messa in scena": la natura, i paesaggi, non sono solo il contesto - di là delle mura e delle siepi - il fuori con il quale dobbiamo confrontarci. In qualche modo, mura e siepi non sono cose, oggetti staccati dall io, ma si prolungano in continuità di fili che ci attraversano, si intrecciano in noi, disegnano geometrie, si annodano per diventare tessuto, architetture, paesaggi e, quindi, stili di vita.




Il Capitano, appena "arrivato da fuori" subito vuol misurare la zona, disegna la mappa, ispeziona i muri di confine che fino allora erano ignoti: "tutto fu messo in bella e colorato". Al Capitano subentrerà l’Ingegnere, poi l’Architetto che, scandalizzati dal lavoro del militare ridisegneranno la mappa. Il Capitano, nelle Affinità Elettive - Goethe - anche nel giardino, resta pur sempre un militare.
La geometria dei giardini ha un precedente nel disegno delle fortificazioni. "La recinzione del giardino [..] l’ha-ha che nasconde da lontano i confini, ha la stessa forma del fossato di tipo militare posto davanti alla fortezza" (Dubini). Nell’Encyclopédie la voce fortifications e le relative planches occupano molte pagine e rappresentano un vero trattato di geometria descrittiva, meccanica razionale, balistica scritto in onore degli ingegneri militari e, soprattutto, di Vauban. La guerra è esorcizzata dalle matematiche. Negli stessi anni nei quali esce l’Encyclopédie, Rousseau scrive la Nouvelle Heloise (1761- 1768)Vauban farà, in fine, abbattere le mura di molte delle 300 e più fortezze che aveva progettato. Julie - l’infelice protagonista del romanzo di Rousseau - assisterà impotente e sarà travolta dall’alterità che, distrutto il muro e la siepe, irrompe nel suo esclusivo, ecologicissimo verzier.
Alle soglie dell’illuminismo sembra avvenire una torsione nella storia: si elaborano e si sperimentano coraggiosamente - entro e a cavallo dei recinti dei giardini, e sulle mura urbane - nuovi modelli di vita, coraggiose ipotesi di come abitare la terra. La storia delle mura può essere quella della loro secolarizzazione e, quindi, della relativa violazione.
I muri, le mura appartenevano al Sacro, quindi alla Violenza. Apollo con il coltello in mano disegna, spartendo le carni della vittima, la nuova forma urbis (fig. 1). Troia, dalle possenti mura consacrate a Pallade Atena, è violata da un ridicolo cavallo di legno. Il sacro solco Romano è, fin dal suo nascere, insanguinato da un brutto fratricidio. Le eroiche mura Aureliane, si stanno oggi, come già più volte allora, disfacendo nell’abbandono e nell’incuria.

Lavorare e pensare a cavalcioni di un muro è molto pericoloso, difficile e soprattutto scomodo (fig. 2). Per pensare il limite dovremmo abitare contemporaneamente, le due parti (Bodei, Wittgenstein).

Varcare il confine della polis era, un tempo, viaggio, odissea verso una natura perturbante, in parte ignota. Leopardi, "mira", oltre la siepe lo spazio tempo dove poter "dolcemente naufragare” oggi, anche ciò che sta al di là della siepe, gli "interminati spazi" si sono avvicinati a noi, ci stanno a guardare e ci interpellano.
La calotta cranica, gli organi dei sensi e la pelle sono, così dicono oggi i neurobiologi, i recinti, le mura che uniscono e separano l’io dal mondo esterno, cioè da quelle cose che, sovente, chiamiamo "natura" e mondo. Le mappe disegnano il cervello come un paesaggio complesso, spettacolare, solcato da tortuosi labirinti, nei quali è anche facile perdersi, spazi di incontri e di sosta, bosco e tessuto urbano.
Così oggi il lungo percorso della secolarizzazione sembrerebbe compiuto: dalla cupola del Pantheon spazio sacro del potere di Adriano e di tutti gli dei, alla calotta cranica che riproduce e contiene il nostro umano mondo.
Mura, siepi, i confini, quelli tra dentro e fuori, tra soggetto e oggetto, tra io e mondo, tra persone e natura, tra organico e inorganico, sono sempre più insicuri, difficili da osservare e quindi da raccontare e da disegnare. Oggi ci siamo accorti di non essere solo spettatori in contemplazione di una natura a noi esterna, o sue vittime, ma di essere attori in una unica "messa in scena" (Böme): la natura, i paesaggi, non sono solo il contesto - di là delle mura e delle siepi - il fuori con il quale dobbiamo confrontarci. In qualche modo, mura e siepi non sono cose, oggetti staccati dall’io, ma si prolungano in continuità di fili che ci attraversano, ci costituiscono, si intrecciano in noi, (Ingold, Semper), disegnano geometrie, si annodano per diventare tessuto, architetture, atmosfere, paesaggi e, quindi, stili e modi di vita.
Separando l’Arte dalla Natura, l’albero dalla tela dipinta, la siepe dal muro - il mercato, la cultura l’"estetica", hanno, dal seicento a ieri, allontanato l’Arte - e quindi anche l’Architettura - dalla vita. Nell’aisthesis, nelle sensazioni, nei linguaggi che attraversano in uno, la natura ed i nostri corpi, tra somiglianze e differenze, possiamo seguire le tracce, le impronte di quella "bellezza" che sempre perseguiamo, ma che sempre ci sfugge. Nodi irrisolti sui quali proprio oggi un "virus architetto", con durezza, ci fa riflettere.

Ho provato anche io, architetto, qualche volta, la vertigine di stare e combattere, con il progetto, in equilibrio sulle mura, di giocare nel fossato che le circondano, di passeggiare e ripulire, far abitare il fuori mura, cioè il pomerium. A cavallo di mura esistenti, ma, così come Don Chisciotte, anche a cavallo di quelle mura più pericolose e ingannatrici perché inesistenti o, da tempo, abbattute.
Il viandante che da tramontana entrava in Torino, fino a qualche anno fa incontrava un grande spiazzo in discesa verso la Dora: terra e asfalto, ricettacolo del rifiuto urbano mal tollerato per troppi anni: carri e carretti del vicino mercato, pattumiere, staccionate parcheggi. I bombardamenti degli anni quaranta avevano operato un "diradamento" cancellando muri ed edifici vecchi e più recenti. Su questo spazio si affacciano la Torre Palatina, il Duomo, il Teatro Romano, il palazzo Reale, i resti del centro storico, eccetera.
Oggi, qui abbiamo lavorato, lo spiazzo cementizio si è fatto parco - prato, bosco di carpini siepi, spazio di sosta - sul quale posano la Porta Palatina, il muro e le vestigia romane, il decumano. Colonne in mattoni delimitano gli spazi e terminano in bizzarri e, alla sera, scenografici lampioni, che dialogano con la recinzione stramucciana del Teatro (fig. 3). Spazio riportato alla giusta quota sopra mura e disegnato da nuovi-antichi bastioni innalzati là, dove tracce sul terreno e credibili documenti ne testimoniavano la presenza, le forme, le dimensioni (fig. 4). Tessitura e dimensione del mattone paramano svelano l’inganno, edera e rossa vite vergine stanno risalendo e uniscono il muro al prato. Dietro al bastione e nel volume così generato è lo spazio per accogliere possibili e varie funzioni: dai carretti del mercato a, perché no, esposizioni colte!
Il nuovo bastione continua e si annoda a quelli veri, cinquecenteschi, riconsegna alla città e ricompone la smarrita, catafratta forma urbis, nascosta, ma ben presente su questo fronte urbano, mentre qua e là ancora ne compaiono e scompaiono tracce nei retrostanti regolari tessuti urbani (fig. 5).  

Anni prima avevo, con Roberto, giocato - da architetti - sotto questi bastioni, quelli veri, nel grande prato sotto i Giardini reali. Qui, per non funestare con nuovi volumi il grande prato e le mura - Bellotto ce ne ha consegnato una splendida attualissima immagine abbiamo progettato e costruito il nuovo Museo Archeologico, completamente ipogeo (fig. 6). Il prato si distende sul grande salone, una rampa conduce il visitatore tra reperti e vestigia in strati ctoni sempre più profondi, così come avviene nello scavo archeologico. La luce scende dall’alto da lucernari filo erba. Questo padiglione è una treccia che inanella le ottocentesche Aranciere con il polo museale di Palazzo Reale in continuità di linee e flussi. Proprio in questi giorni abbiamo presentato i progetti per l’integrazione nel verde, il riassetto e la rifunzionalizzazione di tutti questi spazi museali.

E sopra i nuovi bastioni, attorno alle torri Palatine e al nuovo parco archeologico, che cosa è capitato di nuovo? È dunque, vero che il progetto e lo studio del paesaggio urbano può innescare processi virtuosi?
Ero ancora studente - lontanissimi, primi anni cinquanta - quando, con architetti allora autorevoli, ho partecipato ad un concorso, presto dimenticato, per la ricostruzione di isolati, distrutti dai bombardamenti, intorno alla Porta Palatina. Trascorso più di mezzo secolo ho lavorato qualche anno fa, alla ricostruzione dell’Isolato Santo Stefano - ne restavano pochi frammenti e nessun documento. L’isolato conclude il centro storico, si attesta su questi spazi ritrovati e definisce la piazza del Duomo, la Porta Palatina, il Parco archeologico, i "Palazzi del Comando". Dall’atrio cavo dell’albergo il pubblico può percorrere una rampa perimetrale in legno, e dal loggiato sopra ii tetti, riconoscere luoghi e memorie (fig. 7).
Dopo molti anni, le mura sotto le quali è stata combattuta nel settecento la Battaglia di Torino, non sono più solo simbolo della guerra e forma del potere, ma ridisegnando gli spazi e il profilo della città, hanno consegnato alla città musei, giardini, spazi lieti, attraenti.

Abitare le Mura, mirare al di là della siepe.
Le Mura Medicee di Livorno appaiono nelle antiche incisioni avvolte dagli alberi e vele di vascelli e galeoni. Dall’ottocento a ieri i Cantieri Orlando qui costruivano le grandi navi da guerra.
Abbiamo riportato in luce le antiche Mura, il potente bastione mediceo. Ritrovato e ridisegnato, tra i "due mari", come una treccia, il canale navigabile, scoperto le vestigia, echi della presenza storica di una città fortificata. Nuovi moderni cantieri e darsene sul mare per barche da diporto (fig. 8).

Le antiche mura, e i lacerti dei bastioni sono ritornati attori protagonisti del paesaggio, estensione della città: "Porta a mare" di Livorno. Il segno e le forme dei a bastioni a poligono e delle mura qui si ricompongono, proseguono e si sfrangiano nel sistema delle nuove quinte murarie che articolano i nuovi percorsi e le piazze, spazi pubblici dehors, distesi lungo il canale. Nella pancia dei nuovi spazi, affacciati sui porticati, negozi, uffici, i locali pubblici, al di sopra i muri di mattoni ocra e rossi, tra giardini, siepi e alberelli si nascondono leggere residenze in ferro e legno.
Mi piace immaginare una giovane ragazza che di lassù, da una loggia osserva la gente che passeggia lungo il canale, osserva all’orizzonte, un veliero che arriva, e gode la leggera brezza della sera.
Ma le notizie che giungono dai messaggeri sulle sorti dell’avventura - la dura battaglia che abbiamo combattuta per anni su queste mura e che aveva visto committenti soprintendenti, amministratori imprenditori illuminati, nella costruzione dei fossati, Muri, porticati case e giardini - sembrano nefaste. I generali, già nostri alleati ai quali avevamo dato fiducia, sembrano aver tradito o esser stati sconfitti. Aveva ragione Kvafis: le strade si sono fatte vuote, arrivano i barbari, sono già tra noi dentro le mura? Vedremo.

I sei bastioni della Cittadella di Alessandria portano i nomi di Santi Sabaudi: San Michele, San Carlo, il beato Amedeo, Santa Cristina... La fortezza è stata disegnata dall’ingegnere Bertola nella prima metà del settecento. È esterna al centro della città, aldilà del Tanaro. Da lontano, incassata nel terreno, nella pianura era quasi invisibile. Anche oggi tra campi e nuovi insediamenti l’incontro è una sorpresa: così doveva essere per il nemico, nemico mai arrivato. Non ha subito assedi, ma di lì sono partiti per la Russia gli Alpini della Cuneense. Quasi nessuno ha fatto ritorno. Sono morti sul Don.
La forma stellare irraggiava nel paesaggio della pianura (fig. 9). Sono ancora visibili oggi le tracce nei frazionamenti agricoli. Circondata da ampi poderosi fossati è, forse, la fortezza meglio conservata di tutta Europa. Ora, addormentata, abbandonata dai militari, la si vuole risvegliare a nuova vita. Per questo luogo abbiamo fatto diversi progetti: Museo nel palazzo del Governatore. Un grande Parco con percorsi pedonali e ciclabili nel lunghissimo - più di tre chilometri - profondo, largo, avventuroso, tortuoso fossato: laghi ponti, campi sportivi, prati e anche, perché no, siepi fiorite sopra le mura. Restauri attenti. Consolidamenti. Attendiamo.

Abbandonata Troia in fiamme Greci e Troiani, Ulisse e Enea guardano con nostalgia le mura violate, si disperdano nel Mediterraneo e dintorni, popolano nuovi territori fondano le nuove polis. Sfondate le nostre inutili mura le nostre città, le case gli uffici, i capannoni, esondano e allagano le campagne.
Tra Alba e il Tanaro - ancora questo fiume caro a Pavese - al di là del viale un terreno vago scarico per anni di macerie aveva fermato, su questo fronte, l’espansione urbana, quasi che esistessero ancora le mura a far diga alla città. Qui, tra città e fiume, era previsto il nuovo Palazzo di Giustizia e altri edifici pubblici. Nel piano d’area abbiamo suggerito che questo spazio evocasse la spianata "fuori mura", parco urbano, giardino e che gli eventuali edifici lì fossero giardini pure loro. Abbiano disegnato e costruito il Tribunale all’interno di terrapieni formati da lunghi articolati muretti di pietra di Luserna - le topure. Edere e rampicanti e al di sopra dei terrazzamenti, folte e continue siepi, cespugli di carpini (fig. 10). Oggi il tribunale è vuoto. Il tempo farà di queste mura Macerie della modernità o Rovine di un passato mai esistito? Maria Zambrano - come già Chateaubriand - "non c’è Rovina senza vegetale [..] senza edera e muschio c’è qualche cosa di mostruoso".

Abitare è lasciare impronte, diceva Benjamin. Nel paesaggio, come nel linguaggio e nei nostri mestieri si depositano le nostre memorie; quando sono distrutte qualche cosa di noi se ne va (Ossola). Ma nei luoghi dove si è svolta la violenza, nelle mura come nei campi di battaglia, alle volte, si incorporano segni e significati che la memoria e il nostro progetto le nostre architetture possono resuscitare e tradurre in segni non di morte, ma di vita1 .




Note

1. Riprendo qui alcuni temi dal mio Ai confini del giardino, Aion, Firenze 2019.
Opere citate:
Parco Archeologico della Porta Palatina, Torino, 2003-2006. Regia: A. Isola, G. Durbiano e L. Reinerio; Progetto e direzione lavori: Comune di Torino (E. Cupolillo, P. Giordano); Committente: Città di Torino;
Museo di Antichità, Torino, 1982-94. Gabetti e Isola con G. Drocco e con E. Moncalvo.
Isolato Santo Stefano, Torino, 2000-2006. Gabetti e Isola, Isolarchitetti, F. Fusari; Interior design: Serapioni; Direzione lavori: F. Fusari; Direzione artistica: A. Isola, F. Fusari; Committente e impresa: De.Ga. Spa, Torino;
Porta a Mare, Livorno, 2003- Piano particolareggiato e progetto definitivo: Isolarchitetti, EET Cobolli Gigli e Monico s.r.l.; Committente: Porta a mare Spa, Livorno;
Cittadella di Alessandria, Convenzione di ricerca tra la Provincia di Alessandria e il Politecnico di Torino, 1998. Gruppo di ricerca: V. Comoli, P. Ferraris, R. Gambino, G. Durbiano, R. Gabetti, A. Isola, L. Reinerio.
Uffici Giudiziari, Alba, 1982-87. Gabetti e Isola con G. Varaldo, coll. G. Drocco, E. Moncalvo, R. Fassino.

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