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Il Progetto Tecnologico Ambientale dell'Abitare: evoluzione dell'approccio e innovazione dei requisiti
Fabrizio Tucci *

1. Approccio ecosistemico

La prima questione da affrontare per impostare correttamente la trattazione del complesso - e costantemente in evoluzione - quadro dei princìpi sui quali incardinare un approccio metodologico volto ad incarnare i requisiti di ecosostenibilità e di efficienza ecologica ed energetica che ormai la questione ambientale impone come imprescindibili e inderogabili alla progettazione contemporanea dell’architettura, del quartiere e della città, e alla sua necessaria cultura tecnologica, è la centralità della visione sistemica per gestire in maniera efficace ed efficiente le strategie e gli strumenti del progetto ambientale nel contesto di una qualsiasi sperimentazione, dal livello propriamente edilizio-architettonico fino a quello del quartiere urbano, che oggi sta cominciando a conoscere una stagione interessante nel moltiplicarsi delle esperienze-pilota di città solari e di piccoli insediamenti ecologici virtuosi dove la qualità ambientale è elevatissima, il consumo delle risorse estremamente ridotto e il fabbisogno energetico quasi annullato.
Fondamento per un'impostazione che voglia procedere nella lettura sistemica dell'architettura e della città come luogo dei processi di interazione dove la dimensione ambientale abbia un ruolo focale, è il chiarimento critico che può essere operato rivisitando le profonde implicazioni che stanno dietro la nozione di "sistema" e di "ecosistema".
In particolare, propedeutiche al concetto di ecosistema sono, tra tante definizioni di “sistema”, quella di Hall e Fagan, i quali sostenevano che “un sistema è un complesso di elementi e condizioni in relazione tra loro, per cui è necessario studiare non solo i singoli elementi dell’insieme, ma anche le relazioni”; e quella, più articolata e relativa alla processualità naturale, enunciata da Miller: “un sistema naturale è un insieme non casuale di materia-energia collocato in una regione spazio-temporale, e organizzato non casualmente in sub-sistemi o componenti, correlati ed interagenti”.
I concetti di ciclizzazione e di oscillazione dei rapporti tra materiali viventi e non viventi, contenuti nella famosa definizione di "Ecosistema" di Odum, spingono ad una focalizzazione dell’interesse sul nodo-chiave della relazione tra elementi parziali ed intero, ricordando che un principio di fondo del pensiero sistemico, e forse il più generale, è proprio quello dello spostamento d’ottica dalle parti al tutto. “I sistemi viventi - scrive Fritjof Capra, grande fisico sistemico e sistematizzatore del pensiero fisico contemporaneo - sono totalità integrate le cui proprietà non possono essere ricondotte a quelle di parti più piccole”, e ciò vale, si può aggiungere, anche per la città o per qualsiasi altra forma del sistema insediativo umano.
Un altro principio fondamentale del pensiero sistemico è dato dalla capacità di spostare l'attenzione tra i vari livelli di sistema. In tutto il mondo vivente troviamo sistemi inseriti dentro altri sistemi, e applicando gli stessi concetti ai diversi livelli di una città o di una sua parte - per esempio il concetto di stress ad un organismo urbano - spesso si sono riuscite a raggiungere, sul piano metodologico, importanti intuizioni.
D'altra parte occorre anche rendersi conto del fatto che, in generale, livelli differenti di sistema rappresentano gradi di complessità variabile. A ciascun livello i fenomeni osservati mostrano proprietà che non esistono a quelli inferiori, e non a caso le proprietà sistemiche di un certo livello sono proprietà "emergenti", dato che emergono tra le tante potenzialmente presenti a quel particolare livello.
Avanza così con forza il requisito della a-scalarità della progettazione ecosistemica, che non solo non pregiudica la presa in considerazione dei caratteri e delle proprietà dei vari livelli ma, come abbiamo appena visto, ne avvalora il principio di diversificazione contro quello ben noto dell’omologazione.
E’ in questo senso che va intesa l’indagine analitico-cognitiva da condurre su caratteri e proprietà dei diversi livelli di lettura dell’area di intervento: dove ogni parte non è analizzata solo nelle sue intrinseche proprietà, ma soprattutto in relazione alla sua capacità di rapportarsi col tutto contestuale.
Le proprietà delle parti non sono dunque proprietà intrinseche, ma si possono comprendere solo nel contesto di un insieme più ampio. "Il pensiero sistemico è pensiero contestuale; e poichè spiegare le cose nei termini del loro contesto significa spiegarle nei termini del loro ambiente, possiamo anche affermare che tutto il pensiero sistemico è pensiero ambientale".
Infine si può notare - come ha mostrato in maniera così lampante la fisica quantistica - che non esistono, di fatto, delle "parti" da intendersi in senso isolato e a sé stante. Ciò che chiamiamo una parte non è altro che uno schema in una trama inscindibile di interazioni.
Possiamo quindi considerare lo spostamento dalle parti al tutto come uno spostamento dagli oggetti alle interazioni.
"In un certo senso, questo è uno spostamento figura/sfondo", ha notato icasticamente James Lovelock. Il che ci riporta alla mente le parole di disperata critica di Hugo Häring quando nel 1926, contestando la linea “vincente” del Moderno nelle posizioni di Hilberseimer e Le Corbusier, rimarcava quanto il dialogo con le parti del progetto urbano rappresentate dagli aspetti naturali e ambientali fosse carente e, comunque, spostato su una posizione di sfondo rispetto - per usare una sua espressione - alla “idea chiusa e olistica di città-per-sè”.
Nella visione meccanicistica, il mondo è un insieme di oggetti: edifici, strade, piazze, giardini, servizi, etc. che, ovviamente, interagiscono l'uno con l'altro, ma per i quali esistono relazioni di tipo eminentemente deterministico.
Nella visione sistemica invece le relazioni all'interno dei singoli oggetti hanno un'importanza secondaria, dal momento che essi stessi sono reti di relazioni, inserite all'interno di reti più grandi. I sistemici ci insegnano che le relazioni hanno un'importanza primaria, mentre i confini di quelli che essi chiamano “schemi visibili” (oggetti) diventano secondari.
E' allora in quest’ottica che assume significato la procedura adottata a supporto degli sviluppi progettuali delle sperimentazioni che corredano con immagini e didascalie il presente contributo: l'analisi e la riflessione sulle reti di relazioni stabilite attraverso elementi/parti della scena urbana - quali ad esempio pelle degli edifici, involucro, spazio intermedio, rete impiantistico-informatica presente implicitamente in essi, ambiente urbano stesso come elemento “mediatore” - sono da leggere inseriti nella rete più grande del sistema insediativo, che a sua volta è un elemento/parte della rete più grande del sistema ambientale.
Ed è in tale ottica che assume valore l’attenta valutazione delle possibilità applicative dei criteri bioclimatici e di efficienza energetica con cui l’architettura e la parte di città oggetto dell’intervento interagiscono e che vanno a costituire la fondamentale base informativa dalla quale compiere, chiariti i requisiti da raggiungere e costruito il quadro delle linee strategiche da perseguire, il “salto” sintetico-intuitivo del momento progettuale.

2. Mètacriteri progettuali

Le ultime riflessioni rappresentano a questo punto un importante picchetto di riferimento per cominciare ad operare un restringimento del campo di concezione e azione nel processo di definizione ed applicazione della sperimentazione rispetto ad un insieme strategico di requisiti che si vanno costituendo e definendo, quale base per gli obiettivi strutturali di uno sviluppo sostenibile, proprio in ragione dei caratteri di una visione sistemica in virtù della quale il processo cognitivo dei progettisti deve poter spaziare in modo totalmente a-scalare su vari livelli:
a)      il rilevamento delle caratteristiche comportamentali in senso interazionale degli elementi di base della “parte” dell’organismo urbano di studio, quali:
1.    i singoli spazi “confinati” dagli “elementi-involucro”, che regolano le transizioni in senso selettivo e polivalente nei modi, ruoli, prestazioni e configurazioni osservati;
2.    gli spazi aperti “intermedi tra quelli involucrati”, che governano i processi d’interazione e di adattività;
b)      la comprensione del complessivo comportamento della “parte” di sistema urbano analizzato, in termini di:
1.    rilevamento dell’equilibrio dinamico dei continui flussi di interazioni interne che caratterizzano la processualità micro della “parte urbana” studiata;
2.    rilevamento dell’equilibrio dinamico dei flussi di interazioni che la “parte urbana” studiata stabilisce con il suo immediato macro intorno esterno ecosistemico;
3.    rilevamento dell’equilibrio dinamico dei continui flussi di interazioni che la “parte urbana” studiata stabilisce con la macrosfera più ampia dei fattori climatici e ambientali nel loro complesso.

Compiamo ora, alla luce di quanto detto, un ulteriore passo.
Per poter mettere in condizione il ricercatore o il progettista di operare correttamente ed efficacemente i passaggi sopradescritti, è opportuno offrire un sistema "adattivo" di parametrizzazione ecologica delle qualità intrinseche di luoghi esistenti o di progetto, onde pervenire a corrette logiche di approccio per risolvere una questione complessa quale è quella della valutazione e organizzazione delle interazioni in atto negli ecosistemi insediativi.
Logiche, queste, fondate su una visione altrettanto complessa delle dinamiche e delle variabili locali, socio-economico-culturali, geografico-climatiche, in una parola: ambientali, ma allo stesso tempo consapevoli di dover fornire risposte a questioni paradigmatiche; logiche differenziate nell'articolazione delle scelte di azioni specifiche e nel rispetto di spazi diversi per configurazioni, funzioni e prestazioni, ma confrontabili in rapporto ai comuni criteri di giudizio messi in atto.

La questione dell’individuazione dei criteri di giudizio, da porre in essere nella scelta delle specifiche azioni progettuali - e che per questo forse sarebbe più corretto chiamare "metacriteri di giudizio" -  costituisce un passaggio importante e imprescindibile.
In ognuna delle linee strategiche adottate in un progetto infatti, dovrà sempre essere riscontrabile, in senso trasversale e interrelato, e in ogni momento e livello della loro applicazione sullo spazio-ambiente, la presenza e l'impronta dei 9 mètacriteri progettuali, che un nostro sforzo di messa a sistema della stessa letteratura scientifica, nei suoi diversi e a volte settoriali contributi, ci consegna a controllo e riferimento di una corretta condotta progettuale nella direzione e nella ricerca di un'efficienza ecologica e ambientale, e che possono essere sintetizzato come segue:
1.      liminalità delle condizioni di sviluppo;
2.      ambivalenza delle condizioni di confine/frontiera;
3.      potenziabilità della capacità di replica, ovvero di autoconservazione (replica nel tempo, rinnovamento) e di riproduzione (replica nello spazio, moltiplicazione) del sistema;
4.      applicabilità del principio di stocasticità, ovvero aumento della capacità di combinazione di una componente casuale con un processo selettivo, in modo che solo certi risultati del casuale possano perdurare nel sistema;
5.      controllabilità e corregibilità delle azioni di progetto, in coerenza con la concezione dell'"error friendliness";
6.      flessibilità di gestione;
7.      adattabilità dei processi di sviluppo;
8.      interattività biunivoca, non distruttiva, con le risorse del sistema ambientale;
9.      impiegabilità di sistemi e tecnologie, tradizionali e innovative, in grado di promuovere e supportare un elevato livello di efficienza ecologica del complessivo comportamento dell'organismo urbano.

I caratteri metaprogettuali e i relativi criteri di giudizio che sono andati delineandosi, prefigurando per le sperimentazioni un percorso evolutivo che tenda ad una sempre maggiore complessità, concernono l’approccio progettuale all’architettura e alla città in termini epistemologici (come intendere l’intervento trasformativo) e metodologico-strumentali (come strutturare l’intervento trasformativo). Ma non perdiamo di vista l’obiettivo di tale processo: quello di indirizzare in termini morfologici e fisionomici i contenuti dell’innovazione in senso ecosistemico e ambientale affinchè proprio le sue ricadute formali, vero strumento nelle mani dell’architetto, rappresentino e garantiscano l’inversione di tendenza verso qualità ed ecoefficienza.
James Gleik ci ricorda a questo proposito che “le forme semplici sono disumane. Non sono in risonanza col modo in cui la Natura organizza sé stessa o col modo in cui la percezione umana vede il mondo”.
Teniamo presente che, in termini di valori formali, anche nuove espressioni della matematica - ad esempio quella della geometria dei frattali, o quella dei sistemi adattivi di tipo predittivo, appena nata ma già dirompente nelle sue implicazioni trans-disciplinari - hanno condotto le scienze fisiche in sintonia col sentimento contemporaneo di una Natura libera di manifestarsi e di organizzarsi.
Una Natura verso la quale negli ultimi due decenni si è ribaltata la visione e concezione del cittadino e dell’architetto: entità non più da ignorare e tantomeno da sottomettere e “violentare”, ma piuttosto da osservare con rispetto, studiare, e dalla quale ricavare insegnamenti e direttive come una vera e propria Baumeister, "maestra del costruire".
Afferma significativamente il fisico tedesco Gert Eilenberger, a proposito delle forme artificiali: “Perché il profilo di un albero spoglio piegato dal vento impietoso contro un cielo serale viene percepito come bello, mentre il profilo di un edificio residenziale pubblico non viene percepito come tale, malgrado tutti gli sforzi dell’architetto? La risposta, anche se è un po’ speculativa, mi sembra venire dalla nuova comprensione dei sistemi dinamici. Il nostro senso della bellezza è ispirato dalla combinazione armonica di ordine e disordine quale si presenta in oggetti naturali: in nuvole, alberi, catene di montagne o cristalli di neve. Le forme di tutti questi oggetti sono processi dinamici consolidati in forme fisiche, e particolari combinazioni di ordine e disordine sono tipiche di tali forme”.
In ogni caso, al di là delle suggestioni che le nuove forme della fisica e della matematica possono alimentare, resta comunque la necessità di “fare della città una grande casa come si vorrebbe che la propria casa fosse una piccola città”, e quello fondamentale di attribuire un ruolo alla progettazione non solo in termini di aumentata consapevolezza ambientale e di partecipazione ai cicli naturali, ma anche in termini di individuazione e applicazione dei possibili requisiti e linee strategiche per le azioni di costruzione e costituzione dei corretti processi di sviluppo sostenibile delle interazioni presenti nella realtà ecosistemica dell’Ambiente Costruito.

3. Requisiti prestazionali

Tracciare i requisiti prestazionali per la corretta individuazione delle linee strategiche che sottendano la trasformazione delle processualità illustrate nei precedenti paragrafi del contributo, implica l’avvenuto propedeutico compimento di una serie di passaggi logico-cognitivi che si possono riassumere come segue:
1.    un’indagine sui concetti e princìpi-chiave che si pongono alla base dei presupposti teorici, con una riflessione critica sui più recenti sviluppi delle posizioni della letteratura scientifica internazionale di riferimento disciplinare ed extra-disciplinare;
2.    un’analisi trasversale focalizzata sul comportamento dei vari fattori ambientali di tipo antropico, biofisico e bioclimatico e dei diversi elementi interagenti nell’ecosistema architettonico e/o insediativo, dalla visione ravvicinata di ruoli, caratteristiche e potenzialità prestazionali di elementi-base quali l’involucro-pelle, a quella delle peculiarità comportamentali e configurazionali di tipo adattivo dello spazio confinato “indoor” e dello spazio aperto “intermedio”, a quella del ruolo strutturante dei cosiddetti “spazi aperti” ed in genere degli spazi ecosistemici urbani esterni [1];
3.    un approccio logico e metodologico che, a partire da una visione di tipo ecosistemico, faccia sua l’acquisizione delle tre dimensioni che caratterizzano l’attuale procedere della scienza contemporanea: la a-scalarità della visione, l’interdisciplinarietà del progetto e della ricerca, e la trasversalità dell’azione, verticale ai vari livelli e orizzontale nell’integrazione dei vari settori;
4.    una riacquisizione delle informazioni interpretate su un livello più “alto”, per una ricomposizione a-scalare del quadro di ruoli, prestazioni, configurazioni, relativo da una parte all’architettura ecosostenibile come elemento-filtro del più ampio ecosistema-quartiere, dall’altra all’intero processo ecosistemico di Architettura quale sistema “aperto”, “dissipativo”, ma in costante equilibrio dinamico omeostatico tra l’enorme rete di interazioni in atto al suo interno e quella che lo pone in costante dialogo, anzi parte integrante, con l’Ambiente costruito nel suo complesso.

Inoltre, assumere a riferimento ed uso un sistema metodologico-strumentale che si pone a supporto delle fasi analitico-valutative e di guida all’impostazione progettuale, deve necessariamente implicare una presa di coscienza che condizioni necessarie (ma non sufficienti) per l'applicabilità del sistema sono la rilevabilità dei dati e delle informazioni e la precisa conoscenza dei caratteri ambientali dell'area di intervento.

Per concludere, ma al contempo per aprire alla costante evoluzione degli sviluppi futuri, possiamo affermare che l'attribuzione del requisito di sufficienza in aggiunta a quello della necessarietà delle condizioni, può avvenire solo nel rispetto, da parte dell'operatore e progettista, delle nove intrinseche caratteristiche del sistema di Requisiti Prestazionali1 che ormai il Progetto Tecnologico Ambientale contemporaneo dovrà osservare e perseguire:
1)      la consapevolezza che tentare di leggere un contesto complesso, definito da un insieme fitto e interrelato di azioni e relazioni improntate alla continuità degli scambi, alla stretta interferenza di domìni fisico-spaziali e degli ambiti di trasformazione, implica l'ammissione di una fragilità intrinseca a logiche di approccio basate sull'inevitabile riduzione di tale complessità; in altre parole, la convinzione che qualsiasi tentativo, seppur in sé stesso complesso, di riduzione parametrica della complessità degli scambi, delle relazioni e delle interazioni presenti in una realtà (o in un progetto di realtà) insediativa, rischia, se non accompagnato sempre da un forte controllo critico dell'elaborazione dei dati, di rendere vacuo tale processo cognitivo;
2)      la negazione della possibilità di rapportare la lettura dei fenomeni delle interazioni urbane a meccanismi di causa-effetto univocamente determinati, nella consapevolezza che ogni operazione afferente a processi di scomposizione e ricomposizione della realtà ispirati alla messa in essere di strutture gerarchizzate in un modo stabile e definitivo, renderebbe di fatto sterile e meramente strumentale, oltreché privo di fondamento realmente scientifico, il tentativo di comprensione della realtà ecosistemica urbana;
3)      l'affermazione della necessità di un continuo equilibrio tra empirismo e questioni noumenologiche di riferimento, nella convinzione che per una parametrizzazione ecologica del comportamento e delle qualità intrinseche dei luoghi urbani in interazione, occorra mettere in gioco logiche di approccio al tema della valutazione dei sistemi insediativi fondate sulla differenziazione della scelta delle azioni specifiche (o della focalizzazione dei dati in rapporto alla peculiarità degli spazi da cui sono tratte le informazioni), ma anche - come già affermato - sulla confrontabilità di tali dati in rapporto a comuni critéri di giudizio messi in atto;
4)      lo spostamento dell'attenzione logico-cognitiva sui processi di relazione e di interazione materiale e immateriale che costituiscono l'essenza del metabolismo urbano e che caratterizzano il comportamento dell'organismo-città, in luogo della canonica attenzione rivolta alle analisi-valutazioni degli aspetti univocamente funzionali, o univocamente formali-spaziali, dell'insediamento. La convinzione è che la lettura dell’architettura e della scena urbana per relazioni e interazioni assuma un carattere di estrema rilevanza laddove l'individuazione di tali "legami", materiali e immateriali, non solo diventi elemento fondamentale di comprensione del sistema insediativo, ma contenga anche in sé gli elementi capaci di caratterizzare e orientare l'intero processo di trasformazione;
5)      la vitalità del sistema, sempre pronto a rimettersi in discussione, sempre aperto allo sviluppo, in grado di dimostrarsi sensibile alla considerazione delle specifiche caratteristiche socio-economico-culturali-geografiche dell'oggetto urbano dell'applicazione;
6)      la flessibilità del sistema, in grado di mutare coerentemente con l'evolversi degli spazi e della maniera di vita dei fruitori di tali spazi e degli attori di tali interazioni;
7)      la tollerabilità dei margini di errore nel processo valutativo, quella che la biologa tedesca Christine von Weisaecker ha chiamato Fehlerfreundlickeit, "la serena consapevolezza ed accettazione della possibilità dell'errore o del malfunzionamento", che ha peraltro la sua controparte nella legge dell'evoluzione e nell'esistenza della natura stessa;
8)      la a-scalarità dell'approccio valutativo, nella negazione della possibilità di individuare una esatta e privilegiata scala di applicazione del sistema, coerentemente con la convinzione che il vero compito della ricerca di una definizione operativa - come affermano Ceruti, Tiezzi e Futowicz - stia nello studiare le interazioni tra i diversi possibili livelli di lettura, "piuttosto che sforzarsi di scoprire la vera e corretta scala temporale e spaziale per lo sviluppo sostenibile". Ciò nella consapevolezza che "l'unica vera e corretta scala, determinabile una volta e per tutte, non esiste";
9)      la adattività del sistema, che per sua natura non richiede (anzi, implica la negazione) della possibilità di una presa di posizione "assoluta" e "univoca" circa la struttura generatrice dei dati, e indirizza la concentrazione di tutto lo sforzo di specificazione della ricerca sulla costruzione di un'"architettura di sistema", la cui efficacia predittiva - come afferma Massimo Buscema nel suo "Special issue on artificial neural network and complex systems" - si basa sulla "Teoria dei giudici indipendenti" secondo la quale un determinato task predittivo può essere svolto sotto opportune condizioni, molto più efficacemente ricorrendo a un sistema di predittori indipendenti che forniscono le proprie inferenze a un meta-predittore il cui compito è quello di filtrare efficacemente la ricchezza informativa generata dal "primo livello" di predittori, e su di essa di costruire, per l'appunto, l'architettura di sistema.

 

* Fabrizio Tucci è Professore Associato di "Progettazione Tecnologica", Coordinatore del Dottorato in "Pianificazione, Design, Tecnologia dell'Architettura", e Direttore del Master di II livello in "Architettura Bioecologica e Tecnologie Sostenibili per l'Ambiente", presso il Dipartimento PDTA, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Roma "La Sapienza".


Note

[1] Per questo si rimanda a miei precedente contributi, quali in particolare i libri: “Qualità ed ecoefficienza delle trasformazioni urbane”, 2002; “Involucro ben temperato”, 2006; "Tecnologia e Natura", 2008; "Efficienza ecologica ed energetica in architettura", 2011; “Ecoefficienza dell’involucro architettonico”, 2012; "Atlante dei Sistemi tecnologici per l'Architettura bioclimatica. Ventilazione naturale negli edifici", 2012.
[2] Nel cammino verso l’individuazione di un corpus, per così dire, di dimensioni prestazionali-ambientali a cui una progettazione ecosostenibile dovrebbe rispondere (con i dovuti margini di “libertà” propri della fase di formulazione delle soluzioni progettuali alle quali, invece, un corpus di dati e “direzioni di cammino” non può e non deve dare risposte univoche o indicazioni rigide e semplicistiche), misure a cui, quanto meno, una progettazione che si voglia definire ambientalmente consapevole dovrebbe ispirarsi; in questo cammino di ricerca, dicevo, può essere utile l’enunciazione di nove obiettivi principali da perseguire nelle sperimentazioni progettuali; restitutivi in termini propositivo-operativi della presa in considerazione dei più recenti sviluppi della sperimentazione internazionale tanto sul piano teorico-metodologico quanto su quello applicativo-strumentale.
Tali sviluppi si sono infatti rivelati fortemente significativi per l’individuazione di regole progettuali di fondo e di strategie d’impostazione e sviluppo dei problemi che, come sottolineato fin dall’inizio del presente contributo, lungi dal volersi proporre in modo “assoluto” e “definitivo”, si offrono piuttosto come elementi di supporto alla progettazione e come “picchetti” di riferimento per operare il necessario confronto sulle questioni-chiave di una progettazione ambientale fondata sui macro-obiettivi di ecoefficienza e qualità ecologica, energetica ed ambientale.
Vediamo allora di esplicitare, rispetto a quanto detto, il possibile “Sistema di Obiettivi" che sottende alla individuazione delle linee strategiche progettuali chiamate ad operare nel rispetto dei requisiti Prestazionali illustrati nel contributo:
1.    Qualità ambientale
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il livello di qualità ecologica ed ecosistemica dell’ambiente urbano allo stesso tempo in senso globale, diffuso e locale.
2.    Ecoefficienza
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il grado di efficienza dell’ecosistema architettonico e urbano, ovvero la quantità e rapidità degli scambi trofici (tra il livello autotrofo-vegetazionale, il livello fagotrofo-animale, il livello sapotrofo degli organismi batterici e microscopici, ecc.) e tra essi e gli elementi del sistema.
3.    Plasticità
       Obiettivo: promuovere la capacità degli elementi dell’ecosistema di sostenere, adattarsi ed interagire, come un vero e proprio organismo vivente, con le variazioni dei fattori ambientali “esterni”; oltrechè aumentare la necessità-indispensabilità del sistema rappresentato dalla parte di città progettata, nei confronti degli altri sistemi.
4.    Sicurezza
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il grado di sicurezza e protezione dell’ecosistema artificiale, il che comporta bassa vulnerabilità (ovvero un basso grado di danneggiabilità del sistema da parte di un evento esterno) ed alta resilienza (ovvero un’alta capacità del sistema di riprendersi dall’eventuale danno inflitto e di ripristinare gli equilibri ambientale ed ecologici).
5.    Stabilità
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il grado di stabilità - o meglio, la capacità di costruire continuamente nuove stabilità - nei processi dinamici dell’ecosistema artificiale.
6.    Produttività ecologica
       Obiettivo: ottimizzare la produttività ecologica del sistema architettonico e urbano, ovvero la capacità di produrre e trasformare materia, energia e informazioni non solo in input, ma anche in output.
7.    Consonanza
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il grado di consonanza e di accordo tra ambiente e requisiti umani relativi agli equilibri di temperatura interna, ritmo biologico, stimolazioni sensorie e, in generale, delle funzioni del corpo fisiche e psicologico-mentali.
8.    Coerenza
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il grado di coerenza per cui la forma e la disponibilità di spazio, di mezzi di comunicazione e di attrezzature di un insediamento rispondono in senso ergonomico, antropometrico e prossemico all’intreccio e alla qualità di azioni che le persone normalmente compiono o desiderano intraprendere; ovvero l’adeguatezza e l’adattabilità degli ambienti ai comportamenti e alle attività presenti e future.
9.    Giustizia
       Obiettivo: promuovere e/o aumentare il grado di giustizia, ovvero il modo in cui benefici e costi ambientali vengono distribuiti fra tutti i componenti dell’ecosistema artificiale e il modo in cui viceversa tutte le componenti possono accedere ed usufruire dei beni e dei servizi prodotti.

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