Xtreme Makeover: Toronto Edition a cura di Sliwka Ryszard

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L’eredità di Michael Hough, Massimo Angrilli

Incontrai Michael Hough il 3 luglio del 1998, nella sua casa in Cornish Road, Moore Park, Toronto, che riconobbi subito essendo l’unica a non avere sul front yard un prato all’inglese, al suo posto un orto ed un albero di mele. Stabilii con lui un contatto email prima di partire per un soggiorno di studio, durante il dottorato, nel Campus di Waterloo, e durante la nostra conversazione, in cui accettò di fare da tutor esterno della mia tesi (Reti verdi urbane), ebbi modo di comprendere meglio la sua visione del rapporto natura-città. Un rapporto simbiotico, in cui l’una non esclude l’altra, come esprime con chiarezza in una frase pronunciata durante una intervista: “ecology is urbanization and urbanization is ecology”. Hough introdusse in Canada i principi della pianificazione di area vasta (regional planning) e dell’integrità dei bacini idrografici, oltre a sostenere la necessità di considerare le città come paesaggi urbani. Considerato da molti come un pioniere dell’architettura del paesaggio canadese, Hough fondò nel 1965 il programma di studi in Landscape Architecture nella Università di Toronto, dove insegnò dai primi anni Sessanta. Il suo principale interesse di paesaggista era rivolto, all’epoca in controtendenza, alla città e al superamento dell’approccio estetizzante dell’urban design, incorporando nel progetto importanti principi di ecologia urbana e di biologia, uniti a concetti di pianificazione strategica. Nell’ormai lontano 1984 scrisse: “Il prato all’inglese è il prodotto di una pervasiva cultura estetica che sfida il buon senso, richiedendo elevati costi in termini di cure ed energia e producendo la minore diversità per il massimo sforzo”(1). La sua produzione letteraria è entrata a far parte delle letture indispensabili in molti programmi universitari, sia per gli studenti dei corsi di Architettura del paesaggio sia per quelli di Pianificazione. Libri quali “The Urban Landscape” (1971), “City Form and Natural Process” (1984); “Out of Place” (1990) e poi “Cities and Natural Process”(2) (1995) hanno contribuito a gettare le basi di un nuovo approccio che fa della mutua dipendenza tra città e natura il principio base del progetto urbano. In questi libri si rinvengono molti concetti oggi divenuti di larga condivisione, uno per tutti l’interesse per le dinamiche spontanee della natura che negli spazi industriali dismessi ed a lungo abbandonati hanno condotto alla formazione di isole di biodiversità, o, usando la definizione di Gilles Clement (di molti anni successiva alle ricerche di Hough), di un terzo paesaggio. Si può senza dubbio attribuire a Michael Hough, insieme ad altri, il ruolo di precursore di teorie come quelle del Landscape Urbanism e dell’Ecological Urbanism. Proprio nel volume di Charles Waldheim(3) il saggio di Elizabeth Mossop “Landscapes of Infrastructures” cita Michael Hough come uno tra i primi a tentare di sviluppare il confronto tra ecologia e città: “Michael Hough’s City form and natural process [...] attempted the development of theories and methods applying the understanding of ecology and natural process to a more sophisticated conceptualization of cities and urban process, and Hough’s ongoing work has continued to develop strategies for the application of ecological ideas in urban design(4).
L’eredità di Michael Hough va ricercata in quei principi di progettazione che mirano a coniugare lo sviluppo urbano con la conservazione dei processi naturali: un primo principio ha a che fare con la necessità di tornare a comprendere, soprattutto da parte di chi progetta nelle città, i processi della natura, come il ciclo dell’acqua, il comportamento dei fiumi, l’evoluzione della vegetazione, il clima urbano, e tradurre questa comprensione in elementi generatori del progetto. Un altro principio riguarda la necessità di incrementare la biodiversità in città, che M. H. aveva compreso e teorizzato con molto anticipo, promuovendo la diversificazione delle specie da introdurre negli spazi aperti urbani, prendendo ad esempio quei paesaggi spontanei, fatti di luoghi abbandonati e colonizzati dalla vegetazione, dove la natura è riuscita a svilupparsi secondo i propri cicli vitali e dove l’evoluzione delle forme è molto meno vincolata agli interventi dell’uomo. Connesso a questo Michael Hough sosteneva anche il principio della visibilità dei processi che sostengono la vita, processi spesso obliterati dall’intervento antropico, come nel caso delle acque di pioggia che scorrendo sulle superfici stradali sono recapitate, con i loro carichi inquinanti, ai corpi idrici, producendo il peggioramento della qualità delle acque dei fiumi. Una visibilità che si concretizza attraverso una maggiore interazione del progetto urbano con i processi naturali, del tutto ignorati a partire da un certo momento della nostra storia in poi, a seguito delle semplificazioni introdotte dalla tecnologia. Per Hough i condizionamenti ambientali non erano limiti da superare – imbrigliando torrenti, abbattendo boscaglie e sbancando colline – ma riferimenti progettuali in grado di arricchire il progetto stesso. Hough era consapevole della necessità di riformare i modelli di sviluppo urbano, non certo per inseguire utopie bucoliche, quanto per agire sul corpo della città esistente e renderla compatibile con i processi naturali che in essa si svolgono. La ricerca del superamento dell’approccio di Ian McHarg, basato sulla destinazione dei suoli in funzione delle compatibilità con le vocazioni ambientali dei luoghi, portò Hough a sostenere il ruolo delle green infrastructures, corridoi e aree naturali intesi come strutture multifunzionali  sulle quali fondare lo sviluppo futuro e la riqualificazione ecologica degli insediamenti, una innovazione concettuale questa che consente di passare da una concezione decorativa del verde urbano ad una sostanzialmente funzionale, che attribuisce a spazi aperti e spazi verdi nuovi ruoli e funzioni destinati a garantire il corretto funzionamento dei processi naturali in città.
Parallelamente alla sua attività di ricercatore e docente Hough conduce una intensa attività professionale, lavorando a lungo come consulente per diversi soggetti istituzionali, soprattutto nel corso dell’amministrazione di David Edward Crombie (sindaco di Toronto tra il 1972 e il 1978). Crombie lo coinvolgerà nella Royal Commission on the Future of the Toronto Waterfront e in seguito lo nomina Chair dell’Environment Work Group per pianificare il futuro del fiume Don, una esperienza documentata nel libro “Bringing back the Don”, che gli valse il premio Planning Excellence attribuitogli dal Canadian Institute of Planners.

Oggi molto di quanto Hough ha sostenuto nel corso della sua lunga carriera sta guadagnando ampia condivisione in molte città, inclusa Toronto. Qui sempre più spesso ci si imbatte in front yard coltivati a fiori di campo, mentre negli uffici municipali concetti come “ecosistema urbano” sono diventati frequenti. Toronto ha investito molto nella rinaturalizzazione di vaste aree di parco, avviando il ripristino delle comunità vegetali autoctone e creando una vasta zona umida (grande quanto sette campi di calcio) a sud del viadotto della Bloor Street, con lo scopo di mitigare l'inquinamento nella bassa valle del Don.

Michael Hough ha elaborato idee e teorie che nel corso di cinquanta anni di attività professionale e di insegnamento (da Toronto ad Harvard) hanno contribuito a cambiare il profilo dell’architetto del paesaggio in Canada, più interessato ai processi naturali che si svolgono in città e disposto a cambiare i propri paradigmi progettuali a favore di una maggiore assunzione di responsabilità, un paesaggista meno concentrato sui canoni estetici dell’urban design e più attento ai temi ecologici e sociali. Una figura che Hough ha ben incarnato, al riparo dalle tendenze e dalle mode, forte di una solida idea dell’architettura del paesaggio che ha contribuito a formare e che rappresenta la sua eredità culturale.


NOTE E CITAZIONI

[1] “As a high-cost, high-energy floor covering, the lawn produces the least diversity for the most effort. As a product of a pervasive cultural aesthetic, it defies logic” in Michael Hough, Cities and natural process, Routledge, New York, 1995.

[2] Sebbene “Cities and natural process” sia la riedizione di “City form and natural process” il lavoro che Michael Hough ha svolto nell’aggiornamento, con la riscrittura di molte parti, l’aggiunta di nuovi casi di studio e l’eliminazione di quanto ritenuto sorpassato, ha conferito al volume maggiore chiarezza comunicativa, facendone la sua opera più diffusa.

[3] The Landscape Urbanism Reader, a cura di Charles Waldheim

[4] Fin da City form and natural process [...] Hough sviluppa teorie e metodi che orientano la comprensione dei processi ecologici e naturali ad una più sofisticata concettualizzazione delle città e delle dinamiche urbane, continuando con i successivi lavori a sviluppare strategie per l'applicazione del pensiero ecologico al progetto urbano.

 

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