BRASILE. Dall'architettura sostenibile, una nuova dignità urbana a cura di Carlo Pozzi con Claudia Di Girolamo

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Trasformazioni urbane, per nuove architetture sociali Domenico Potenza PDF

Da un pò di anni ormai il tema dell’architettura informale ha aperto nuovi ambiti di discussione intorno alle modalità di trasformazione con le quali si modificano le città ed in particolar modo le grandi megalopoli (con particolare riferimento a quelle dei paesi in via di sviluppo) sudamericane, asiatiche oppure africane. Ne sono una significativa testimonianza alcune ultime edizioni delle Mostre Internazionali di Architettura alla Biennale di Venezia.
Risalendo dalla XI Biennale dal titolo ‘Out here: Architecture Beyond Building’, il Leone d’Argento veniva assegnato ad Alejandro Aravena, architetto cileno, con il gruppo Elemental, per un progetto di edilizia sociale in un quartiere di Santiago del Cile, per offrire una qualità della vita alle fasce sociali più povere, un progetto che prevedeva una casa minima di 36 mq e la possibilità di incrementare i suoi spazi, fino al raddoppio della sua supericie, attraverso un processo di autocostruzione (Elemental proponeva sistemi aperti contrapposti a composizioni chiuse).
E’ ancora la Biennale di Venezia a conferire nel 2010 una menzione speciale della giuria all’istallazione Warld-Place dello Studio Mumbai. Lo studio indiano rispondeva al tema ‘People meet in architecture’ della XII edizione con un allestimento fatto di elementi costruttivi in legno, campioni di piastrelle ma anche strumenti, attrezzi da lavoro rigorosamente allineati su grandi tavoli. Uno spazio che mostrava una architettura più simile al lavoro artigianale che elude qualsiasi forma di gratuita innovazione. Anche in questo caso l’istallazione poneva spunti di riflessione sul pensare e sul fare architettura nel nuovo millennio. Studio Mumbai è oggi un gruppo di abili artigiani e architetti che progettano e realizzano direttamente le loro opere dimostrando che l’architettura è il risultato di un processo fondato sul dialogo collettivo e sulla condivisione diretta della conoscenza.
Segnali di cambiamento della ricerca in architettura che abbiamo avuto la possibilità di apprezzare anche nell’ultima edizione della Biennale, luogo deputato, solo fino a qualche anno fa, alle esclusive passerelle delle archistar.
Come ci racconta Luigi Coccia proprio in uno scritto della presentazione di didattica_formazione_progetto (recensito in questo numero di EWT).
“Attraversando la lunga sala delle Corderie nella XIII Biennale di Architettura di Venezia occupata prevalentemente da immagini, disegni e modelli che tracciano scenari futuri, si raggiunge uno spazio insolito, estraneo alla virtualità ricorrente nelle altre istallazioni, uno spazio incredibilmente reale che riproduce un bar funzionante con tanto di musica e specialità venezuelane. E’ questa la risposta fornita dal gruppo Urban-Think Tank, vincitore del Leone d’Oro, al tema
‘Common Ground’. L’allestimento Gran Horizonte è un luogo di incontro e di relazioni sociali definito da un recinto murario in laterizio che ingloba due colonne delle antiche corderie dell’arsenale di Venezia, un microcosmo nella dimensione smisurata della vecchia fabbrica. Una installazione che sembra richiamare una pratica ricorrente in alcune realtà disagiate del mondo, come quella di Caracas, in cui le istanze sociali si manifestano attraverso forme di occupazione extra-legale che agiscono entro spazialità preesistenti. Un fenomeno su cui Urban-Think Tank intende porre l’attenzione assumendo come caso emblematico la Torre David nel centro di Caracas, un grattacielo di 45 piani, opera mai giunta a completamento, occupata da 750 famiglie. Le immagini emozionanti del fotografo olandese Iwan Baanaisse sulle pareti in mattoni descrivono luoghi e abitanti, restituiscono un modello potenziale per comunità informali, un esempio di organizzazione e sviluppo dal basso dimostrando che il futuro dello sviluppo urbano richiede una stretta collaborazione tra architetti, imprese e popolazione. Facendo una breve sosta nel bar, si prende atto di un problema attuale e si riflette sul ruolo degli insediamenti informali nel mondo riconoscendo in essi un potenziale di innovazione e sperimentazione, uno stimolante impulso nella progettazione architettonica e urbana”.
Un tema di grande interesse, dunque, anche a partire dall’aver ormai definitivamente conclamato il sorpasso tra gli abitanti che vivono nelle metropoli e quelli che vivono fuori da queste. Molte delle Metropoli contemporanee tuttavia, vivono spesso “paesaggi paralleli” tra la grande concentrazione della città formale e la contigua sovrapposizione di trame senza forma, agglomerati spontanei che non rispondono ad alcuna norma, ma che pure alimentano al proprio interno regole che ne definiscono un possibile funzionamento, che contengono al proprio interno parti di popolazione considerevole e, comunque, organizzata. Le favelas brasiliane, le baraccopoli africane, alcuni suburbs americani  le bidonville asiatiche etc.. crescono con il progressivo aumentare dell’attrattività prodotta dalla grande metropoli.
Ed allora la domanda è, quale ruolo ha l’architettura in contesti come questi, ruolo inteso come capacità del progetto di incidere sui meccanismi della modificazione urbana e delle sue modalità di attuazione. L’idea di cosa si possa fare con l’Architettura (risolvere problemi, stimolare relazioni inedite, dare forma agli insediamenti) si accompagna all’idea che si debba reinventare la professione dell’architetto. La scelta di immaginare una condizione estrema della trasformazione al limite della “resistenza” a qualsiasi forma di concessione alla gestualità autobiografica,  alla quale spesso l’architettura contemporanea ci ha abituati. Una sorta di Architettura della Resistenza, che in questi ultimi anni trova sempre più spazio anche nelle riviste più patinate che si pubblicano in Italia ed all’estero.
“Un viaggio di speranza, non è necessariamente cercare nuove terre ma avere nuovi occhi” (come diceva PAZ), bisogna pertanto iniziare ad avere un punto di osservazione diversa.
Questi luoghi meritano attenzione per quello che possono darci, a prescindere da quello che noi possiamo fare per loro. Bisogna provare a cambiare prospettiva, “la città informale potrebbe essere finalmente vista non necessariamente come una condizione da correggere, ma piuttosto come un fenomeno contagioso capace di riformare ed umanizzare la città e le sue trasformazioni” (Rahul Mehrotra).

 

Significativa èl’attenzione che i media in generale, e quelli di architettura ed urbanistica in particolare, stanno alimentando su questi temi, su cui di seguito si riportano alcuni esemplificativi  esempi pubblicati in questi ultimi anni:

2013_”Non abbiamo sempre bisogno di costruire.” in Domus n° 971 editoriale Domus, Rozzano (MI)
2013_”Convivio in cantiere” una scuola di edilizia ad Haiti. in ArtApp n°12 - edizioni  Archos, Brescia
2013_”Informal Community” numero monografico di AREA n° 128 – ed. Il Sole 24H Business Media, Milano
2013_” Capability in Architecture” in Lotus International n° 152, Editoriale Lotus, Milano
2013_”Comunità” in Abitare n° 532 – editrice Segesta Milano
2012_”Sao Paulo Calling” allegato monografico in Domus n°963 editoriale Domus, Rozzano (MI)
2011_”Sao Paulo” numero monografico di AREA n° 114 – ed. Il Sole 24H Business Media, Milano
2011_”Sei nuovi progetti in Africa.” in Domus n°949 editoriale Domus, Rozzano (MI)
2011_”Activism in Architecture” in Lotus International n° 145, Editoriale Lotus, Milano
2010_” Favelas, Learning from” in Lotus International n° 143, Editoriale Lotus, Milano

DIDATTICA_FORMAZIONE_PROGETTO
per nuove architetture sociali,
a cura di: gruppo studentesco: diverse_menti_abili PESCARA
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