BRASILE. Dall'architettura sostenibile, una nuova dignità urbana a cura di Carlo Pozzi con Claudia Di Girolamo

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Architettura e contesto nella Escola da Cidade di San Paolo
Intervista a Ciro Pirondi* a cura di Carlo Pozzi PDF

Vorrei partire da uno dei vostri maestri, Vilanova Artigas. Questa storia di “far cantare il punto d’appoggio” quanto conta nei vostri progetti? Per esempio nelle case di Milton Braga, che rapporto c’è tra la struttura dei pochi appoggi al suolo e la forma architettonica?
Penso che questo sia direttamente relazionato alla formazione dell’architetto a San Paolo, che parte da un concetto di scuola di Ingegneria e Tecnologia. La Scuola cosiddetta Paulista ha origine da una educazione politecnica; gli architetti di Rio de Janeiro sono stati invece formati da una scuola di Belle Arti.
Antigas era un ingegnere-architetto; per questo l’idea di struttura, della tecnica, dell’appoggio era per lui un punto fondamentale del progetto. Per questo usava citare la frase di Auguste Perret “Far cantare il punto d’appoggio”, intendendo che nel progetto occorreva partire dalla struttura fisica
Parliamo in termini più generali: si può sostenere che il Post-Moderno non abbia affatto influenzato l’architettura brasiliana? Questo ha garantito la continuità che osserviamo tra architettura moderna e architettura contemporanea in Brasile, mentre in Europa abbiamo assistito a varie rotture, come quella storicista o quella high-tech?
Negli anni ’80 e in parte degli anni ’90 il Post-Moderno ha avuto una influenza forte sull’architettura brasiliana, principalmente a Rio de Janeiro e Minas Gerais, meno a San Paolo. Questo perché Vilanova Artigas aveva formato una Scuola di Architettura, non solo in senso fisico, ma nella direzione di riformare un pensiero in maniera forte, con una base ideologica costituita dalla lotta e dalla resistenza contro la dittatura.
Associata alla questione estetica e del pensiero costruttivo, c’era una riflessione politica che ha formato tutti noi in modo forte e che tuttora ci appartiene.
Quando arriva l’”onda post-moderna” a San Paolo, trova una qualche risonanza in alcuni architetti che hanno prodotto abbastanza e che successivamente hanno cambiato di nuovo linguaggio: non hanno alcun problema a cambiare continuamente.
Ma alcuni della mia generazione, di Alvaro Puntoni, di Milton Braga, quelli che oggi fanno architettura in Brasile, sono rimasti legati al pensiero Moderno, quello di Artigas, di Paulo Mendes da Rocha, di Lina Bo Bardi.
Questa della struttura legata alla politica è forse l’idea di avere un’architettura “povera”, “asciutta”, senza post-modernismi ma anche senza le curve e le onde di Niemeyer?
Artigas e Lina dicevano: noi lavoriamo con il cemento, estraendolo da casseforme di legno; non possiamo pretendere che il lavoratore lisci e dipinga tutto
Quindi il béton brut di Le Corbusier…
Sì, ma era soprattutto una scelta politica: per noi era più economico, oggi è più economico, perché la manodopera è economica, costruire in modo che, realizzata la struttura, l’architettura è già pronta
Oggi l’influenza di Le Corbusier è ancora superiore a quella di un Alvar Aalto, per esempio? Sembrerebbe che siate più vicini a Chandigarh che a Brasilia
A mio modo di vedere, sono due progetti completamente distinti. Molti architetti parlano di somiglianze, per me sono molto differenti.
Paradossalmente l’uso del béton brut apparenta voi paulisti più alle architetture di Chandigarh che alle forme fantastiche e sinuose di Brasilia?
Brasilia è stata soprattutto la volontà del popolo di costruire lì, di occupare quello spazio. Era una volontà nazionale: tutti, migliaia di persone, volevano andare lì a costruirla
Di quell’entusiasmo fondativo rimane una importante testimonianza nella baracca di Juscelino Kubitschek.
Parliamo di Paulo Mendes da Rocha: la scelta di non avere uno studio vero e proprio, ma di permettere gli attraversamenti di giovani architetti, dando loro spazio, che tipo di insegnamento è?
Il risultato di questo insegnamento siamo noi. Abbiamo fatto tutti un lavoro insieme a lui: il risultato è la Escola da Cidade, dove lavoriamo insieme. E’ il tentativo di contribuire alla trasformazione del nostro paese attraverso la scuola, formando architetti con una visione sociale. Da Vilanova Artigas e da Mendes da Rocha abbiamo appreso che dobbiamo lavorare uniti: Alvaro (Puntoni) ha lavorato con Angelo (Bucci), Martha (Moreira) con Milton (Braga). Io sto lavorando ora con Ruben Otero sulle favelas e alcune scuole in una cittadina vicino San Paolo; con Alvaro sto realizzando un Museo della carta. Facciamo cose insieme: questo è l’insegnamento di Paulo Mendes
Da noi non è immaginabile, perché c’è molta rivalità tra gli architetti. Mendes insegna ancora nella Scuola?
No, non più. Ci sono però sua moglie e suo figlio. Lui viene sempre, però
A proposito della ricerca di Mendes e vostra, mi sembra che si possa parlare di centralità della geometria, sia alla scala dell’architettura che del paesaggio, come nel progetto per la baia di Montevideo
Chiariamo una cosa, abbiamo provato a superare questo momento, cercando di definire una visione propria, con nuovi materiali. Ma l’influenza di Artigas, Mendes, Niemeyer è molto forte
E’ bella l’idea di una Scuola. Venendo all’uso dei materiali, relativamente alle vostre piccole case, si tratta sempre di materiali locali o si comincia a percepire l’influenza della globalizzazione?
C’è un grande legame con i materiali locali: strutture miste con il legno; il legno in questo momento in Brasile ha molta forza (presenza), Ruben Otero ha appena realizzato un hotel con ossatura in cemento armato e una struttura in legno molto bella. Anche la pietra: sto facendo un lavoro che mette in gioco la pietra. Per la casa nel Morro do Querosene di Puntoni sono stati realizzati blocchi di calcestruzzo a piè d’opera
Passiamo a parlare del ruolo del clima e verificare se favorisce una maggiore “libertà” dell’architettura, aprendo a nuovi rapporti tra l’interno e l’esterno
Vorrei precisare che in America Latina e in Brasile in particolare, abbiamo normalmente molto spazio: è così possibile una immersione in un paesaggio che costruisce la nostra architettura. L’architettura brasiliana può essere attraversata senza entrarvi dentro: la Vila Romana di Milton Braga ha una relazione aperta con lo spazio intorno, di grande libertà
Queste architetture quindi non hanno caratteri di autoreferenzialità, ma si sbilanciano verso un rapporto forte con il contesto?
Vanno verso il contesto, soprattutto se si ha l’opportunità di avere spazio libero intorno.
La casa di Paulo Mendes, la sua residenza,  è un riferimento importante per tutti noi: ciò che separa la piazza che le sta di fronte dagli spazi della casa è soltanto un leggero rialzo naturale con vegetazione. Si può passare dalla piazza alla casa, senza entrarci dentro, e arrivare in un’altra strada: è un ruolo urbano, un senso collettivo.
Il programma delle scuole propone “pezzi” (volumi) che vengono montati in modo diverso di volta in volta: non è questa una forma di autoreferenzialità e di distanza dal contesto?
La relazione con il contesto è soprattutto a partire dal disegno del suolo pubblico, con una piscina, la strada…In Brasile si può camminare per strada ed incontrare una rampa che sale, una che scende e si è dentro un edificio: questa è armonia con il contesto. Quello che importa è camminare!
Passiamo ai vostri progetti per le favelas. Ci sono chance di architettura per questi agglomerati o si tratta solo di un recupero di civiltà?
E’ innanzitutto un recupero di civiltà, in cui le persone conoscono con il miglioramento dello spazio in cui vivono una nuova dignità del vivere.
Abbiamo trasformato un piccolo spazio che era un punto di incontro per trafficanti di droga: oggi è frequentato da centinaia di bambini che vi trovano libri. Prima non potevano nemmeno passarci davanti. Non c’è una nuova architettura: l’architettura è stato aprire la finestra e fare entrare un’aria nuova. E’ il nuovo uso che ne sottolinea il ruolo simbolico: recupero di uno spazio architettonico in direzione di una trasformazione sociale.
Questo non implica che non proviamo a fare architettura; anzi, la migliore che possiamo.
Adesso stiamo realizzando, Ruben ed io, un edificio di ventotto appartamenti in una favela, e poi un edificio lungo settanta metri capace di aggregare tutte le manifestazioni pubbliche, abbiamo recuperato lo stadio di calcio, stiamo realizzando un mercato
Parliamo sempre di architettura, del suo ruolo nella trasformazione della città: ma non usiamo mai la parola “urbanistica”. Che rapporti esistono tra architettura e urbanistica oggi in Brasile?
La mia opinione è che si tratti di una separazione schizofrenica. Sono state costruite pessime città che richiedono trasformazione architettonica: anche la costruzione di una piccola casa, se ben fatta, è urbanistica.
Nelle favelas stiamo progettando un Masterplan che riguarda 80.000 persone, facendo architettura alla scala del progetto urbano, con una piazza pubblica, per esempio
Mi sembra di risentire l’insegnamento di Oriol Bohigas, quando sosteneva che a Barcellona era necessario un piano regolatore fatto dalle architetture.
E’ un pensiero molto chiaro. E’ anche quello del ruolo dell’architettura singola nella città proposto da Aldo Rossi. Se avessimo pensato prima alla città in questa maniera, non avremmo realizzato città tanto disarticolate
Nella produzione di case unifamiliari in Brasile, si riscontra una grande libertà. Che caratteristiche hanno i vostri committenti per permettere un tale livello di sperimentazione?
I committenti delle case unifamiliari progettate decenni fa da Mario Botta nel Canton Ticino erano molto ricchi
Da noi è differente: questa libertà è implicita nella cultura popolare. Ho progettato una casa unifamiliare per una famiglia estremamente semplice: mi hanno permesso di realizzare il progetto in piena libertà, proponendo spazi d’ombra, che si alternano, che normalmente non ci sarebbero. Hanno capito che è un modo di vivere meglio.
E’ molto più difficile progettare per una famiglia ricca, che tenderebbe ad imporre le sue idee di prestigio sociale, proponendo esempi di ville di Miami.
Normalmente una popolazione non povera ma di classe media ama queste proposte se le vengono spiegate con attenzione.
Quale è il loro livello culturale?
Il livello culturale influenza molto le loro scelte: se è abbastanza basso o alto ci si lavora bene; i problemi arrivano se si tratta di un livello intermedio, di chi pensa di sapere di architettura magari perché è un musicista o una persona che conosce un po’ di letteratura, e invece non ne sa nulla.
Alvaro ed io abbiamo progettato una casa per un signore, proprietario di una fabbrica di frigoriferi, estremamente ricco ma con basso livello culturale: però era molto libero e ci ha rispettato, lasciandoci progettare senza intralci, senza intervenire neanche nelle scelte dei materiali
Ti faccio un quiz per concludere. Proponi tre architetture brasiliane che per te sono fondamentali.
Un piccolo albergo di Lucio Costa a Friburgo, vicino Rio de Janeiro, realizzato nello stesso momento in cui Oscar Niemeyer stavo realizzando Pampulha. Fu un momento di divisione nell’architettura brasiliana. Il pensiero di Lucio Costa era moderno e regionale allo stesso tempo: materiali locali come legno e pietra, tutto ciò che si poteva trovare nella montagna dove stava costruendo. Quello di Niemeyer ha indicato altre direzioni, più seguite dall’architettura brasiliana successiva, su cui ha avuto un’influenza “brutale”, anche su Artigas, Mendes.
Conosci la risposta data da Paulo Mendes quando, per il centesimo compleanno di Niemeyer, gli hanno detto: <Tu fai solamente rette, Oscar curve>. Paulo ha risposto <Faccio le mie rette con invidia per le sue curve>: ha sempre espresso il massimo rispetto per lui.
L’opera maestra di Niemeyer è per me la cattedrale di Brasilia.
Una più contemporanea, la casa di Marcos Acayaba in Morumbi .
Durante la dittatura pochi architetti hanno lavorato: uno di questi è Marcos Acayaba.

*Ciro Pirondi, direttore della Escola da Cidade di San Paolo