Editoriale

torna su

Contro le derive dei significati. Alberto Clementi PDF

Nei temi trattati da EcoWebTown ritorna spesso la questione del senso da attribuire ai concetti fondativi del programma di ricerca esplorato dalla rivista: in particolare le nozioni di sostenibilità e di smartness, che nel loro intreccio dovrebbero generare le condizioni per un nuovo modo di pensare, progettare e abitare la città contemporanea.
Di fronte alla sconcertante eterogeneità delle esperienze che si appellano a questi valori, non sorprende la dura presa di posizione di Robert Engelman, presidente del Worldwatch Institute. Nell’introduzione al “Rapporto 2013 sullo stato del mondo”, Engelman denuncia il diffondersi di una sorta di sosteniblablablà, ovvero la deplorevole proliferazione di un modo d’intendere e di utilizzare impropriamente la categoria della sostenibilità, che può sconfinare perfino nella falsificazione dei suoi contenuti, strumentalizzandoli ai fini delle strategie di marketing o di cattura del consenso nel mondo dell’ambientalismo.
Forse è vero, come sostiene Giovanni Valentini (Repubblica, 22.10.2013), che questo eccesso di popolarità della sostenibilità con il rischio di travisarne i contenuti può comunque essere interpretato come un successo dell’ambientalismo, almeno sul piano della comunicazione di massa e quindi della sensibilizzazione della coscienza collettiva. Resta comunque il fatto che un suo uso smodato, o troppo alla moda, può avere l’effetto di svuotarne il senso, ridimensionandone in definitiva le potenzialità ai fini di una nuova cultura di gestione delle risorse del pianeta, meno dissipativa, e più responsabile nei confronti del benessere delle future generazioni.
Questa responsabilità investe in particolare il mondo dell’architettura e dell’urbanistica. Viene richiesta oggi una nuova etica, più sensibile al rispetto dei limiti fisici e biologici da cui dipende la sopravvivenza degli equilibri ambientali locali e globali. Nella convinzione che – come è stato affermato in occasione della recente Biennale di Architettura di Pordenone- la futura qualità dell’ambiente insediativo dipenderà sempre più dal grado di consapevolezza degli interventi architettonici e urbani a questo riguardo, interiorizzando la sostenibilità come un valore totalizzante, e non semplice espressione del mondo dell’high-tech e dell’ingegneria delle reti. Un valore che rinvia necessariamente alla profonda comprensione della specificità dei contesti locali, nelle loro stratificazioni storiche e nel modo in cui le culture locali hanno saputo interpretare nel passato la necessità di un uso equilibrato e ingegnoso delle risorse disponibili. Fino a considerare l’intero deposito delle stratificazioni insediative accumulate nel territorio, con i loro cicli di vita intrecciati selettivamente, come una grande risorsa da rimettere oggi in gioco, riciclandola e rinnovandone le potenzialità che tuttora permangono anche all’interno di una moderna strategia di razionalizzazione dei processi di produzione e consumo delle risorse.
In questa prospettiva, la via alla sostenibilità –almeno per ciò che concerne la capacità  d’incidere sul deterioramento dei grandi sistemi naturali-  tende a articolarsi diversamente in relazione ai differenti contesti di riferimento. Ad esempio, per il Sud Europa c’è da contare sulla straordinaria dotazione di una risorsa abbondante come il sole per produrre in grande quantità energie rinnovabili. Al tempo stesso la corretta gestione dell’acqua rappresenta un tema decisivo per il futuro, in previsione del peggioramento delle condizioni climatiche e in particolare dell’estendersi dei fenomeni di siccità previsti per l’area mediterranea.  Mentre nei Paesi nordici le energie verdi possono far leva soprattutto sulla presenza pervasiva del vento e sulla combinazione virtuosa tra eolico, biomassa e solare, potendo contare inoltre sulla maturità raggiunta dalla cultura di gestione dei rifiuti, che consente di produrre in grande quantità energia da cogenerazione “carbon neutral”.
  
Nel confronto tra le diverse esperienze che caratterizzano la ricerca sulla sostenibilità, può sorprendere il caso del Brasile cui è dedicato il presente numero di EcoWebTown. Il taglio proposto dai curatori mette in evidenza un profilo di sostenibilità che appare notevolmente differente rispetto ai tradizionali modelli europei, organizzati generalmente intorno al ruolo determinante dell’ambiente e al tema del consumo sopportabile delle risorse non rigenerabili. I diversi contributi ospitati ci parlano a diverso titolo di una questione che è diventata centrale nel Brasile attuale: quella della disuguaglianza che si esprime nei processi d’uso della città e nelle crescenti ingiustizie spaziali, a loro volta rappresentazione emblematica di un netto divario nelle condizioni di reddito, educazione, sanità e prospettive di mobilità sociale della popolazione. E’ in fondo il tema della coesione sociale riconosciuto ampiamente anche in sede comunitaria, ma elaborato stavolta in modo originale, dovendosi misurare con la presenza radicata delle favelas, dove si sono concentrati da lungo tempo i fenomeni più acuti di marginalità e disagio sociale delle città brasiliane.
In Brasile, e a Rio de Janeiro in particolare in previsione dei prossimi mondiali di calcio e Olimpiadi, si sta giocando una partita decisiva per la pacificazione delle migliaia di favelas esistenti e per la loro reintegrazione mirata a ridurre il divario con la città legale. Come mai nel passato, il governo si sta impegnando nel restituire il territorio a chi lo abita, nel garantire la libera circolazione e, per quanto possibile, nel rafforzare la sicurezza delle persone. Proprio la strategia adottata, di puntare prioritariamente al miglioramento delle condizioni abitative locali, potenziando la dotazione di infrastrutture per l’accessibilità e di servizi collettivi, ristabilendo nel contempo i diritti di proprietà, e assicurando la presenza di apposite Unità di Polizia di Pacificazione, rappresenta la chiave di volta del notevole successo incontrato dalle politiche di recupero delle favelas.
Si tratta di un’ulteriore testimonianza della validità dell’approccio della rigenerazione urbana integrata, che, come già ampiamente dimostrato in Europa dai programmi Urban per i quartieri disagiati, appare particolarmente efficace anche al fine di garantire la sicurezza in aree precedentemente a rischio. Sicché la pacificazione diventa davvero sostenibile se non viene consegnata soltanto agli apparati repressivi dello Stato o alle tecnologie della sorveglianza, ma si risolve nel reale miglioramento delle condizioni sociali ed economiche della popolazione e nella riqualificazione delle condizioni insediative locali. Con un’avvertenza: che il miglioramento venga affidato soprattutto a progetti autogestiti, che restituiscono agli abitanti il ruolo di protagonisti del proprio destino invece di trasformarli in spettatori passivi delle azioni istituzionali.
All’interno di queste politiche, l’architettura sembra riscoprire un suo ruolo etico e sociale assai più significativo che altrove. L’accesso alla qualità dell’ambiente insediativo, nei suoi valori funzionali e morfologici ma anche simbolici ed estetici, commisurati criticamente al sentire comune della società locale, appare l’ambiziosa offerta di una possibilità che finora è stata negata agli abitanti delle favelas: l’esperienza del bello, nella sua accezione più profonda di tensione verso la rappresentazione intenzionale di una nuova identità, radicata nel passato ma proiettata al tempo stesso al riscatto della propria condizione umana.        
Nobilitata da questi intenti, l’architettura delle città brasiliane presentata in questo numero di EcoWebTown sembra rigenerarsi nella ricerca di una nuova missione sociale, più autentica di quella esibita nell’affermazione di protagonismi esorbitanti, oppure di quella ancor più conformistica di appiattimento acritico alle logiche del mercato internazionale. La sperimentazione di nuovi modelli d’intervento e linguaggi figurativi, commisurati all’incontro creativo tra il sapere disciplinare e il protagonismo delle società locali, apre spazi di ricerca innovativi.
Si riscoprono temi già esplorati negli anni Sessanta, ad esempio con le strategie del self help alla Turner o del site&services, alla base dei tanti programmi della World Bank e dei governi volenterosi che allora avevano cercato invano di contrastare la crescita smisurata della città marginale, nelle tante declinazioni assunte localmente, dall’abusivismo all’urbanizzazione spontanea o informale, alle favelas, ai barrios clandestinos e così via. Ma stavolta l’architettura sembra più attrezzata culturalmente a offrire condizioni di qualità alla costruzione di un ambiente insediativo peculiare, che intende ripudiare l’omologazione ai modelli convenzionali della città ufficiale e per converso chiede di esaltare la specificità delle soluzioni, adattando le forme dell’abitare alla traboccante individualità di queste comunità di disereditati, portatrici di culture alternative finora irriducibili.
Restano tuttavia fondati dubbi su un’architettura che si propone opportunamente di arricchire la nozione di sostenibilità con valori sociali e condizioni di qualità che dovrebbero permeare l’esperienza dell’abitare, rendendo migliore l’ambiente urbano e contribuendo positivamente al rafforzamento dei diritti di cittadinanza. Ma che appare ancora troppo distratta o poco sensibile alla specificità delle questioni dello sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale, ritardando la propria assunzione di responsabilità rispetto a quellanuova etica, di rispetto consapevole dei limiti fisici e biologici delle attività umane, cui abbiamo accennato in apertura. Su questo tema avremo modo di ritornare spesso anche in futuro, perché la cultura della sostenibilità esige il superamento degli approcci settoriali, in vista di una più complessa e articolata unitarietà delle strategie di progetto, accomunate dall’obiettivo di elaborare un nuovo modello di sviluppo, sensibile alla sopravvivenza degli equilibri ambientali quanto all’affermazione universale dei diritti di cittadinanza.