Editoriale

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Aree urbane e sviluppo sostenibile. Alberto Clementi PDF

Anche al fine di preparare il nostro Paese alla programmazione dei fondi comunitari 2014-2020, si è insediato all’inizio di quest’anno il Comitato Interministeriale per le politiche urbane (CIPU), istituito dalla L.134 del 2012. L’obiettivo dichiarato è di avviare una politica organica per le città, integrando tra loro i diversi livelli di governo, le politiche di settore e le risorse finanziarie ordinarie e aggiuntive, con l’intento di scongiurare una loro sovrapposizione confusa, com’è avvenuto finora in Italia nelle pratiche urbane correnti. La Commissione europea, per parte sua, ha manifestato esplicitamente il suo intendimento di rafforzare il ruolo delle città nelle future politiche di coesione intese a promuovere lo sviluppo economico, l’inclusione sociale e la protezione ambientale, enunciando la filosofia dello sviluppo urbano sostenibile integrato come chiave di volta per stimolare progetti innovativi, commisurati alle esigenze specifiche di aree particolarmente colpite da fenomeni di criticità tanto sociali che ambientali.
Per dare seguito a questa nuova impostazione, lo Stato italiano sta predisponendo un’Agenda Urbana Nazionale, con la cooperazione dei diversi organismi di governo centrale e locale, come preludio ai prossimi contratti di partenariato e ai programmi operativi per lo sviluppo sostenibile delle aree urbane da inserire nel Quadro Strategico Comunitario. Peraltro allo stato attuale, l’Agenda è appena al suo esordio, e riflette ancora la diversità delle linee d’azione provenienti dai diversi attori istituzionali, non ricomposte da un disegno organico complessivo in grado di enunciare priorità e tempi d’intervento.
Tra i contributi presentati in questa fase dalle diverse amministrazioni dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, spicca per chiarezza d’intenti il documento proposto dal ministero dell’Ambiente, “Sviluppo sostenibile delle aree urbane nella programmazione 2014-20”. Muovendo dagli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva enunciati dalla Strategia Europa 2020, nonché quelli di una rapida transizione verso un’economia a bassa intensità di carbonio prefigurata dal Libro verde della coesione territoriale, il documento sviluppa una precedente “Strategia in 5 punti per lo sviluppo sostenibile dell’Italia” dello stesso ministero, che aveva stabilito come obiettivi strategici la decarbonizzazione dell’economia, la sicurezza del territorio, il recupero delle aree industriali dismesse, la gestione integrata dei rifiuti e delle risorse idriche. Gli ambiti d’intervento prioritari che ne conseguono sono individuati nella città ecologica, che tutela gestisce e valorizza le risorse naturali (acqua, aria, suolo, biodiversità e rifiuti solidi urbani); la città accessibile, che promuove la mobilità sostenibile di persone e merci, in particolare di ciclovie e percorsi pedonali; la città intelligente ed energeticamente sostenibile, mirata al contenimento dei consumi di energia elettrica e termica, attraverso la realizzazione di smart grid e reti di teleriscaldamento nella prospettiva delle “isole energetiche urbane”; la città resiliente per accrescere la capacità d’adattamento al cambiamento climatico e ridurre i rischi naturali; la città produttiva per la riqualificazione energetica e ambientale delle imprese e dei sistemi produttivi inseriti nelle città; la città condivisa e inclusiva per il miglioramento della governance urbana, con il ricorso a tecnologie ICT finalizzate alla e-democracy insieme all’incentivazione dei processi di monitoraggio e delle procedure per il green public procurement,di cui dovrebbero dotarsi sistematicamente le amministrazioni ai vari livelli. Le differenti azioni sono infine ricondotte al quadro normativo di riferimento per le politiche ambientali ed energetiche in ambito urbano individuate in sede comunitaria, al fine di dimostrarne la coerenza con gli atti amministrativi vigenti.
La proposta del ministero dell’Ambiente appare coerente e ambiziosa, coprendo gran parte dei temi che sono in gioco nello sviluppo sostenibile delle città, secondo quanto del resto sta già accadendo in molte altre città europee. Ma l’impressione che emerge dalla lettura complessiva delle proposte avanzate anche dalle altre amministrazioni a livello centrale, regionale e locale, è che la sostenibilità ambientale non sia ancora apprezzata come un valore totalizzante, condiviso dalle varie istituzioni di governo. Al tempo stesso, l’eccezionale gravità del momento attuale, sotto il peso di una crisi recessiva prolungata che ha messo in ginocchio l’economia e la società italiana, non favorisce affatto la grande svolta culturale che è implicita nel modello di sviluppo ispirato alla  sostenibilità ambientale. Inoltre, come abbiamo già avuto modo di osservare in passato, un’accezione eminentemente ambientale della sostenibilità può comprometterne il riconoscimento di valore guida della trasformazione urbana, dovendosi necessariamente confrontare con le dimensioni dell’economia e della coesione sociale che sono altrettanto importanti, ed esplicitamente richiamati nelle politiche di coesione comunitaria (si veda al riguardo i precedenti editoriali “Biopolitica della sostenibilità”, n.1, 2011; “Oltre le tecnologie della sostenibilità”, n.3, 2012).
Se lo sguardo si sposta dalle volontà programmatiche alla realtà del Paese, ci si rende conto che alle posizioni avanzate assunte dal ministero dell’Ambiente fa riscontro una situazione ancora sostanzialmente arretrata nei confronti dei mutamenti climatici e alle sfide ambientali più urgenti. Pur essendosi generalmente avviato il processo di miglioramento delle prestazioni ambientali delle città, ci troviamo di fronte a un panorama di esperienze locali fortemente differenziato e a tinte contrastate, con gravi carenze ma anche con episodi di eccellenza in singoli settori – come la raccolta differenziata o la produzione di energie rinnovabili da eolico o fotovoltaico-, all’interno di un ritardo generalizzato di politiche urbane olistiche e integrate per la “messa in sostenibilità” della città esistente. Per di più, l’improvvisa fortuna di un nuovo tema come smart city, anch’esso promosso e finanziato in sede comunitaria, rischia di oscurare la centralità della questione ambientale, soprattutto quando non si riesce a collegare in modo adeguato il controllo globale dei metabolismi urbani locali con il potenziamento dell’intelligenza autoregolativa delle diverse città, che dovrebbero essere comunque intese come ecosistemi bilanciati, e per quanto possibile autosufficienti, nel rapporto tra risorse prodotte e consumate localmente. Sicché le tematiche della sostenibilità delle aree urbane e quelle della gestione organizzativa dei big data e delle tecnologie digitali mirate alla ottimizzazione dei processi d’uso della città, tendono oggi a sovrapporsi in modo ancora troppo confuso ( tra Agenda urbana nazionale e Agenda digitale non c’è ancora nessun nesso esplicito), in assenza di adeguate priorità programmatiche e di prove d’innovazione utili a individuare le combinazioni più adatte negli specifici contesti.
La questione della sostenibilità ambientale nel nostro Paese s’incrocia in particolare con quella del Mezzogiorno, dove le città –come rileva Zanchini- soffrono generalmente delle condizioni più deficitarie per ciò che concerne l’accesso alle risorse fondamentali ( acqua, energia ), ai servizi pubblici e alle dotazioni di infrastrutture civili. E dove gli insediamenti e il paesaggio– al di là delle contingenze locali-  si deteriorano giorno dopo giorno diventando sempre meno abitabili, intanto che i beni pubblici sono continuamente depredati, e la loro rigenerazione diventa sempre più improbabile, in una congiuntura di crisi globale che aggrava il progressivo sfaldamento del tessuto civile e il degrado ambientale degli ultimi decenni.
Eppure proprio nel Mezzogiorno la sostenibilità potrebbe diventare una risorsa strategica per lo sviluppo, generativa di un diverso modello ispirato alla slow economy, capace di valorizzare le risorse che qui abbondano nonostante tutto : paesaggi peculiari, beni archeologici e storico-culturali di grande interesse, bellezze naturali, prodotti agroalimentari pregiati, tradizioni gastronomiche e culturali di lunga durata, attitudine diffusa alla ospitalità e alla convivialità. Sicché proprio qui ci sarebbe da aspettare una spiccata sensibilità alle politiche della sostenibilità, chiamate a riscattare la condizione di arretratezza atavica di cui sono espressione le città, l’economia, l’ambiente.
E invece non è così. La nuova cultura di rispetto e valorizzazione dei beni comuni che è sottesa nel concetto di sostenibilità stenta ad affermarsi in un contesto tuttora segnato complessivamente dall’incuria e della appropriazione individualistica delle risorse disponibili, rispecchiando  attraverso l’ambiente i fenomeni largamente diffusi di deterioramento del capitale sociale e della vita pubblica.

Per fortuna le cose cominciano a cambiare, in modo per ora frammentario e disorganico, eppure concreto.  Questo numero della rivista EWT ha scelto di mettere in luce alcune iniziative promosse da quelle Regioni che hanno finalmente cominciato a credere al valore della sostenibilità, seppure con azioni spesso episodiche e settoriali. Così spicca l’esperienza della Regione Puglia, non soltanto perché si è impegnata seriamente nello sviluppo di energie rinnovabili, ma anche perché si è preoccupata di salvare il salvabile con la predisposizione di un buon Piano Paesaggistico, apprezzato a livello nazionale per l’accuratezza della sua base conoscitiva e per l’importanza riconosciuta alla tutela del patrimonio rurale. E che al tempo stesso ha saputo avviare una positiva strategia di rigenerazione urbana, con risultati modesti sotto il profilo qualitativo, ma considerevoli per la sensibilizzazione dei Comuni ai temi del recupero dell’esistente.
Come emerge dal contributo della Siddi, una grande attenzione al paesaggio caratterizza anche l’esperienza della Sardegna. Questa Regione ha fatto da battistrada per la nuova generazione dei Piani Paesaggistici Regionali, anche se la sconfitta subita nella tutela integrale della fascia costiera ne ha mostrato tutti i limiti, di fronte a interessi troppo forti da contrastare a livello regionale, e ne ha ridimensionato le potenzialità per un nuovo modello di sviluppo, sul quale comunque si è continuato a lavorare anche attraverso la sperimentazione progettuale associata al programma comunitario LabNet plus. In questa stessa regione c’è da apprezzare anche lo sforzo per l‘attivazione della filiera per l’edilizia sostenibile, grazie a strumenti come la Fiera dedicata, per il cui tramite si sono introdotte specifiche occasioni di premialità e d’incentivazione, inserite nei Regolamenti edilizi comunali.
Anche l’Abruzzo, che nonostante l’abbondanza delle riserve di naturalità e la sua retorica di “regione verde” dell’Europa, ha manifestato finora uno scarso interesse ai temi dell’ambiente dentro le città, si sta distinguendo per un sorprendente interesse alla realizzazione di ecoquartieri, promossi in modo sperimentale dalla Regione di concerto con l’università di Chieti-Pescara. E’ questa una prima applicazione della nuova cultura del Sustainability Sensitive Urban Design che in Italia stenta a radicarsi, perfino nelle regioni come il Trentino Alto Adige che hanno saputo investire positivamente sullo sviluppo della filiera di green economy, di cui in fondo sono espressione gli ecoquartieri se fatti propri dal settore delle costruzioni e dell’imprenditoria urbana.
Ma è soprattutto Napoli a testimoniare l’importanza della sostenibilità come filosofia di rigenerazione della città esistente, affidata alla forza di progetti urbani finalmente capaci di reintegrare su base  locale la molteplicità delle azioni di settore. L’insieme dei progetti per Napoli Est dimostra che la partita della sostenibilità può andare oltre le nuove espansioni urbane, che in futuro peraltro dovrebbero ridursi drasticamente a favore del primato del recupero dell’esistente. Come rileva Russo, “Napoli Est è uno spazio emblematico delle patologie urbane della contemporaneità, ed è anche uno spazio fortemente potenziale. La sua riqualificazione è un caposaldo di una nuova idea di città, che potrebbe costituire un’innovazione consistente del futuro di Napoli; è un’area in cui risulta possibile una profonda rigenerazione urbanistica con la radicale conversione delle funzioni d’uso, con la bonifica dei siti e dei suoli, con il recupero di quei caratteri ambientali che rappresentano la straordinaria identità della città e del suo ecosistema, in relazione al regime delle acque, al ripristino degli usi agricoli del suolo, alle connessioni reticolari con il sistema dei terreni e dei paesaggi agrari, a scala urbana e metropolitana”.
Insomma, ci troviamo di fronte un quadro complessivo fatto di azioni disgiunte, ancora prive di una regia d’insieme a livello centrale e regionale, che solo in alcune iniziative pilota riescono a ricomporsi attraverso un progetto urbano ispirato agli obiettivi enunciati dalla Commissione europea richiamati in apertura. Tuttavia il sentiero appare ormai tracciato, e c’è da aspettarsi che -con o senza l’Agenda Urbana Nazionale- nell’immediato futuro si moltiplicheranno le iniziative di messa in sostenibilità della città esistente. Almeno questo è la speranza con cui EWT guarda alle cose italiane, continuando nei prossimi numeri a rivolgersi alle migliori pratiche internazionali per la riconversione delle città ai principi dello sviluppo sostenibile.