In the foreground

Verso la CITTA' ad_ATTIVA.
Adattarsi ai cambiamenti climatici attraverso una nuova concezione del tempo nei processi e negli esiti progettuali.
Michele Manigrasso

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I CAMBIAMENTI CLIMATICI rappresentano una minaccia e, al tempo, una nuova sfida per le CITTA’ del XXI secolo, proiettate in uno scenario di evoluzione dei contesti e di forte incertezza. Rispetto a ciò il Governo del Territorio, l’URBANISTICA e l’ARCHITETTURA sono chiamate a dare risposte nuove.
E’ ormai largamente riconosciuto, dalla comunità scientifica internazionale, e in particolare dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che ai ciclici mutamenti naturali, storicamente rilevati nei millenni scorsi, si è sovrapposto il contributo, decisivo e specifico, delle attività umane. Contributo determinante nell’incremento di temperatura registrato, nello stravolgimento del regime delle precipitazioni e nell’innalzamento del livello dei mari, nonché nell’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi estremi, che accrescono una pluralità di rischi a livello locale, per i territori e le città.
Questo nuovo scenario, caratterizzato da forte incertezza, mette in crisi un apparato di paradigmi consolidati, ormai inadeguati a dare risposte utili di fronte a rischi che spesso valicano l’immaginabile. L’urbanistica tradizionale ha fatto in modo che le attività umane sul territorio fossero progettate e dimensionate con il presupposto implicito o esplicito, che la situazione e le condizioni ambientali e territoriali rimanessero costanti e non mutassero nel tempo. Assunti teorici, e governo del territorio, unitamente alle modalità ormai obsolete di costruzione della città, ci consegnano un territorio, specialmente in riferimento al nostro Paese, inerte e inflessibile, impreparato ai possibili cambiamenti, e incapace di attutirne i colpi, anche per l’abusivismo edilizio e la scellerata e incontrollata tendenza al consumo di suolo. Un territorio fortemente vulnerabile, in cui le città subiscono impatti, spesso e purtroppo, catastrofici. 

Al centro di questo scenario vi è infatti la città, il luogo dove si espletano le attività umane principali e dove si addensa la popolazione; il luogo in cui gli effetti si presentano più severi per il prevalere dell’artificiale sul naturale, e dunque dove la resilienza deve essere assicurata quasi esclusivamente dall’uomo. L’individuazione dei rischi ai quali sono esposti popolazioni e beni, la valutazione della loro vulnerabilità, e la formulazione di strategie atte a contrastare il problema, sono, di conseguenza, un banco di prova importante, per operare a favore della qualità della vita della maggior parte della popolazione mondiale. Se da un lato hanno contribuito fortemente al cambiamento climatico, con i loro consumi, le esternalità, le emissioni di gas serra, dall’altro, le città e i governi locali in senso più ampio, possono svolgere un ruolo rilevante come laboratori di sperimentazione di nuove politiche che riducano le emissioni climalteranti (STRATEGIE DI MITIGAZIONE) e rendano più resilienti i contesti rispetto ad impatti inevitabili, che anche con la mitigazione, non potranno essere evitati (STRATEGIE DI ADATTAMENTO).

Sono tante le città, americane ed europee, che stanno introducendo la questione del climate change nelle proprie politiche urbane, (per citarne alcune: Los Angeles, Chicago, New York, San Francisco, Toronto, Stoccarda, Malmo, Londra, Rotterdam…) realizzando strumenti inediti (piani clima, piani di adattamento, piani della sostenibilità), in cui hanno strutturato un complesso palinsesto di strategie di adattamento, integrate ad azioni di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, secondo quella che si sta definendo come “Politica di protezione del clima”; mentre, sono decisamente meno numerose le esperienze di progettazione urbana con specifici obiettivi di adattamento. Nel nostro Paese il dibattito e la ricerca sono in evidente ritardo, anche se si stanno delineando le prime esperienze di applicazioni del tema in piani e programmi.

Ponendo il tema del mutamento climatico al centro delle politiche urbane, si apre uno scenario che interroga le discipline dell’urbanistica e dell’architettura rispetto al proprio ruolo, e le modalità di costruzione della città di fronte alle capacità di adeguarsi ai mutevoli scenari climatici:
Introiettando il fattore clima nella pianificazione, come cambia lo sguardo al territorio?
Quali caratteri dovrà assumere l’urbanistica per rispondere all’incertezza imposta dai cambiamenti climatici?
E ancora, quale IDEA di CITTA’ si prefigura?

L’ipotesi da cui muove questa riflessione, è che l’introduzione della variabile climatica, e più specificamente obiettivi di adattamento nelle politiche territoriali ed urbane, modifichi profondamente la sguardo al territorio e la geografia del rischio. Adattare le città al mutamento climatico, sottende il confronto con un futuro non sempre prevedibile, che mette sotto accusa il tradizionale bagaglio di analisi e di strumenti urbanistici e progettuali, secondo la necessità di ricercare informazioni, dati e vincoli, non solo nel passato e nel presente, ma soprattutto nel futuro, perché è rispetto ad esso che bisogna mobilitarsi e dare risposte.
E questo si lega ad una seconda ipotesi, e cioè che la città, di fronte ai rischi rappresentati dai cambiamenti climatici, non potrà essere più inerte e stabile: essendo un “sistema complesso”, la città sarà tanto più resiliente, quanto più sarà in grado di incorporare le abilità necessarie per attivare processi di rigenerazione e di adattamento rispetto a fenomeni di evoluzione dei contesti, anche repentini. In tale ottica, la condizione di continua mutazione, è stato di normalità, mentre i fenomeni di stabilità devono essere considerati quali fenomeni che aumentano la vulnerabilità. Concetto che stravolge il modo in cui siamo abituati a pensare: tendenzialmente assumiamo la stabilità come condizione normale e ideale (ci è molto caro il concetto condizione di stato di equilibrio), mentre individuiamo nei cambiamenti i fenomeni da indagare per comprenderne le cause. Ciò invita ad una riflessione sull’inevitabile revisione degli strumenti di governo del territorio, che non può più essere considerato in una condizione di staticità, ma di dinamismo, concetto che deve essere interiorizzato e metabolizzato dalle discipline coinvolte. E sulle modalità attraverso cui il fattore climatico e più profondamente il fattore rischio, debbano caratterizzare tutto il processo di ideazione del progetto, fino alla sua sintesi, tradotta in forme fisiche e assetti funzionali dello spazio.

Attraverso le esperienze di pianificazione e di progettazione, realizzate in questo campo, è possibile delineare delle prime risposte, secondo una serie di argomenti più specifici che, caratterizzando il complesso tema dell’adattamento, sono indirizzi utili alla formulazione di un nuovo approccio al progetto della città.

I caratteri di staticità del contesto in cui l’urbanistica tradizionale opera, sono messi in discussione da un’INEVITABILE INCERTEZZA, con la quale, più in generale, tutte le discipline legate all’evolversi dei processi di trasformazione del territorio, dovranno necessariamente confrontarsi. L’incertezza, tradizionalmente vista come la condizione rispetto alla quale la pianificazione e il governo del territorio avevano un compito risolutivo, o per lo meno “mitigativo”, oggi è chiamata a sensibilizzare l’azione preventiva ma, ancor più profondamente, a influenzare il processo di programmazione e pianificazione, dando nuovo senso alle azioni, anche progettuali.
Le parole di Rem Koolhaas, di qualche anno fa, sul ruolo dell’urbanistica come “MESSA IN SCENA DELL’INCERTEZZA”, risuonano più che mai confermate e risignificate di senso. Pianificazione e progettazione si trovano ad espletare il loro compito di governo del territorio, di scrittura e riscrittura degli assetti spaziali, in una condizione di “indeterminatezza” e “possibile mutazione”; e non ci sarebbe scampo al disastro, all’inevitabile conseguenza di eventi estremi, se non attraverso un consapevole adeguamento all’evoluzione futura dei contesti in cui si opera.
La necessaria revisione delle discipline, passa, inevitabilmente, attraverso UNA NUOVA CONCEZIONE DEL TEMPO. Negli approcci tradizionali alla pianificazione, così come in gran parte delle pratiche correnti, il tempo viene generalmente pensato come una sequenza lineare e ordinata che, attraverso una serie di azioni predeterminate (individuazione del problema, definizione degli obiettivi, scelta delle strategie, mobilitazioni delle risorse, azioni), connette decisioni e risultati. Ma ancor più semplicemente, il tempo è una dimensione continua, che si dispiega in una successione più o meno prevedibile di eventi. Per questo, il progetto vive in un “unico lungo tempo”, traguardando un unico orizzonte temporale, rispetto al quale vengono stabiliti obiettivi e requisiti.
L’adattamento ai cambiamenti climatici scardina questa impostazione concettuale perché, in fondo, è in una prospettiva di evoluzione degli scenari che ci si muove: sia il processo di adattamento, sia gli esiti, devono risentire di questa apertura degli orizzonti temporali e fornire prestazioni diverse rispetto alle mutevoli condizioni di contesto. In pratica, si passa ad una concezione del tempo:

_MULTIFORME, come il tempo viene percepito, come viene utilizzato, quali conoscenze veicola, quali mobilita;

_MULTIDIREZIONALE, che non procede cioè per accumulo di una serie di azioni o trasformazioni  successive prestabilite, ma che deve includere la possibilità di modificare l’ordine delle azioni in risposta ad esigenze anche inaspettate;

_NON RICORSIVO, nel senso che non fonda la propria legittimità sulla riproduzione routinaria di un modello indifferente rispetto al contesto, ma che deve tendere ad aprirsi ad esso e subirne costruttivamente la mutazione (Cottino, Zeppetella, 2010).

In questo modo, ciò che dà origine al processo, non è la sequenza di azioni disposte lungo una linea temporale rigida, bensì è la compresenza di necessità, urgenze, opportunità e capacità di realizzare un “sistema aperto” che metta in relazione problemi e soluzioni, decision maker, tecnici, e scelte, con l’intento di anticipare l’evolversi del contesto e trovarsi preparati agli eventi inaspettati.
Dare rilevanza alla nuova dimensione temporale che l’adattamento presuppone, implica un cambiamento nei modi di interpretare la città e di intervenire, tramite politiche, piani e progetti, combinando esigenze di certezza e spazi capaci di adeguarsi al cambiamento. Secondo una simile concezione del tempo, piani e progetti devono essere ”resoconti orientati all’azione per il futuro”, tenendo in considerazione la natura contestuale e le sue possibili evoluzioni. Non si tratta solo di riconoscere che la freccia del tempo possa subire deviazioni non programmate ma, soprattutto, che non è più possibile pensare al tempo come una freccia, ma come un continuo intersecarsi di eventi (Fedeli, 2010), che rendono del tutto inefficace un progetto che non sappia riconoscere e convivere con la mutazione. In questo modo, si insegue una progettualità mobile e dinamica (Hiller, 2007), intersecando le multiple temporalità del progetto con le multiple condizioni di scenario in cui esso si realizza: e quindi affrontare l’incertezza interiorizzandola nel processo ed esprimendola costruttivamente nella flessibilità.

Il tema della FLESSIBILITA’, notevolmente indagato nella storia dell’urbanistica e soprattutto del progetto architettonico, attraverso l’adattamento, assume un significato estremo, radicale, che supera le soglie dimensionali e temporali entro cui i processi, i dispositivi, le tecnologie e tutto il bagaglio di strumenti operativi, trovano applicazione sul territorio. Non si tratta di individuare una serie di possibili configurazioni, ma è necessario operare in modo tale che l’azione o l’intervento anche fisico, siano “processi aperti”, cioè capaci di metabolizzare il cambiamento dettato da sollecitazioni esterne, COLMANDO GLI SCARTI TRA INERZIA E MUTAZIONE. Sia che essa riguardi il processo di pianificazione o di progettazione e le possibilità d’interazione dei diversi soggetti implicati nel percorso, sia che riguardi gli spazi, i loro modi d’uso e in generale le facoltà dei destinatari di appropriarsene, adeguandoli alle proprie esigenze, flessibilità del processo e flessibilità degli spazi sono accomunate da una riconcettualizzazione del PROGETTO come PROCESSO o, in altri termini, come una più profonda e inedita “conversazione riflessiva con il contesto”. Il progetto, come lo spazio progettato, non è un “prodotto concluso”, piuttosto un’attività che si dispiega lungo un arco temporale esteso che parte dalla iniziale formalizzazione di un’ipotesi e va oltre la sua realizzazione.

La ricerca da cui è stato estratto questo articolo, ha dimostrato l’attualità e la valenza transcalare del tema, la necessità di introdurlo nelle discipline urbanistiche e progettuali ma, ancor più profondamente, permette di prefigurare una “nuova idea di città”, che inevitabilmente sottende un'inedita visione dell'ecologia urbana: una città AD_ATTIVA che, metabolizzando lo scenario di mutazione in cui è proiettata, sia SENSIBILE al CAMBIAMENTO regolandolo quanto possibile, e rendendolo tema di progetto.
Fare dell’adattamento tema progettuale alla scala urbana è una necessità, da realizzare attraverso due ragionamenti correlati: il primo riguarda il RISCHIO, quindi la mitigazione degli impatti possibili attraverso progetti e interventi che metabolizzino il tema, dalle prime fasi di ideazione, fino agli esiti tradotti in assetti spaziali; il secondo, riguarda la MUTAZIONE DELLE CONDIZIONI MICRO-CLIMATICHE, con le quali bisognerà confrontarsi nel progetto degli spazi aperti e del sistema del costruito, per migliorare le condizioni di benessere, soprattutto in relazione all’innalzamento delle temperature e all’aumento della frequenza di ondate di calore. Due aspetti che sottendono un terzo e affascinante argomento e cioè il nuovo RAPPORTO TRA CITTA’ E NATURA, tra artificio e natura, che inevitabilmente l’adattamento, introduce e realizza.

Il caso della riqualificazione del quartiere Augustenborg a Malmö (fig. 1), per esempio, dimostra come il problema dell’allagamento sia stato risolto in maniera molto efficace, evitando anche opere molto costose. Se l’intervento avesse interessato esclusivamente il sistema fognario esistente, ormai insufficiente ad accogliere il flusso delle acque, probabilmente, oltre a creare movimenti di terra importanti, sarebbe stato molto più dispendioso, rimanendo soluzione tecnicistica, di sola risposta idraulica, e non avrebbe inciso sul disegno e sulla nuova qualità dello spazio. La scelta di realizzare un sistema di ruscellamento e di raccolta delle acque, in parallelo al sistema tradizionale esistente, riattivando i suoli impermeabilizzati, ha risolto il problema e, al tempo stesso, ha dato un senso nuovo allo spazio, rendendo più fluido il processo di finanziamento.

Questo concetto dell’attivazione in risposta alla possibile evoluzione del clima, dovrà validarsi ed estendersi a tutta la città, ma soprattutto dovrà riguardare il progetto nelle aree a rischio; in particolare, nei luoghi in cui la città incontra la natura, l’acqua, i bacini idrografici, la costa.
E’ qui che LO SPAZIO si fa “LUOGO DELLA MUTAZIONE” ed è qui che il PROGETTO DOVRA’ ACCETTARE LA MUTAZIONE, consapevolmente governarla per l’incolumità di chi fruisce, abita e usa quel luogo; e in parte realizzarla. Dovrà affrontare ed interpretare il confronto tra città e acqua, tra città e natura, colmando gli scarti tra inerzia e mutazione, tra staticità ed evoluzione, che inevitabilmente le due realtà contrapposte realizzano nel tempo.

Il progetto di riqualificazione di un tratto del lungofiume Schelda, ad Anversa (il Master Plan vincitore del concorso pubblico è firmato dallo studio portoghese PROAP e dal gruppo di lavoro italo-belga Wit+DRecta+Idroesse, fig. 2), ci consegna una prefigurazione spaziale coerente con quanto si sta asserendo. La realizzazione di opere di difesa dall’esondazione, opere fisse di protezione, sarebbe stata operazione più che mai sconveniente, e non solo rispetto al rapporto tra città e fiume. L’uso di tecnologie probabilmente più onerose, forse capaci della risoluzione tecnica rispetto ad una minaccia, non avrebbe contribuito alla qualità di uno spazio importante e flessibile, negando il potenziale valore di paesaggio inscritto in quel luogo.
Questa esperienza, insieme al progetto RIVER+CITY+LIFE a Toronto dello studio Stoss Landscape Urbanism, (fig. 3) in cui il problema delle inondazioni viene risolto attraverso uno straordinario progetto di suolo, che lascia la possibilità al livello delle acque di espandersi disegnando nuove configurazioni, hanno prodotto degli “SPAZI DI CONTINUA ATTESA”, perché proprio l’evento ne potrà modificare l’aspetto, probabilmente l’uso. Ma sicuramente, è l’attesa di una mutazione che non fa paura, capace di dare nuovo senso al luogo.
In questo modo la paura del rischio diventa in positivo, tema progettuale, lo spazio diventa una funzione del tempo e IL TEMPO DIVENTA LA VERA MISURA/DIMENSIONE DELLO SPAZIO: una dimensione stratificata, dove le cose coincidono e non, tra “ordine e imprevisto”, tra spazio inerte e muto, e nuovo paesaggio; spazi a più velocità perché in essi più tempi della città si sovrappongono, si susseguono, anche annullandosi, risignificandoli ogni volta in maniera nuova.

L’introduzione del tema della flessibilità, fa del progetto una struttura aperta, disposta a cambiare nel tempo: la mutazione, tra espansione e riduzione, si materializza, si fa spazio, funzione, offrendo la possibilità di “LASCIARE APERTO QUEL LUNGO ATTIMO IN CUI NASCE LA REGOLA”, almeno fino a farsi presente e futuro della scelta progettuale.
E poi, nel progetto della città AD_ATTIVA che qui si propone, un’attenzione particolare va posta in merito alla qualità micro-climatica negli spazi aperti e nel costruito, quindi da realizzare a diverse scale, quella urbana, di quartiere e del singolo manufatto. La città necessita di interventi che instaurino con l’ambiente e con il clima un rapporto scambievole, e questo si traduce sia nella necessità di adattarsi alle nuove condizioni climatiche, ma anche nella necessità di ridurre tutto ciò che contribuisce alla formazione di un clima locale poco confortevole. Siamo lontani, anzi, ci poniamo in contrapposizione alla città del ‘900, inerte, statica e incapace di reagire alle sollecitazioni. La città che si prefigura e verso la quale bisognerà tendere, è una città sensibile, che sappia attutire gli impatti e ridurre le proprie responsabilità, anticipando il più possibile il cambiamento; trasformando il suo apporto “attivo-negativo”, in “attivo-positivo”. E questo dovrà avvenire in maniera necessariamente complessa, affidando agli spazi aperti un ruolo più importante, non solo come sistema di attraversamento e di distribuzione, ma come trama, telaio e valvola di sfogo, attraverso cui la città possa respirare, influenzando il clima e regolandolo consapevolmente tra i tessuti. Analogamente, l’architettura del costruito, quella dei tessuti più o meno densi, dovrà anch’essa attivarsi, tendendo ad un’edilizia sostenibile, non solo realizzando e mettendo in valore un più intimo rapporto con il clima sfruttandone gli apporti benefici in termini di esposizione e soleggiamento, ma che possa ridurre il suo peso sulla città, fino alle estreme conseguenze, proiettandosi in una visione di produzione energetica attiva, espressione processuale e architettonica dell’integrazione tra adattamento e mitigazione.

1. Vista del quartiere Augustenborg a Malmö ed in primo piano il sistema di canalizzazione e di raccolta delle acque, realizzato per adattare il luogo all'aumento della frequenza delle piogge intense e del rischio allagamento. 2. . Immagini del progetto di riqualificazione del lungofiume ad Anversa, a cura dello studio PROAP. Il nuovo sistema topografico disegna percorsi, piattaforme e luoghi di sosta: tiene insieme gli elementi eterogenei con cui si confronta, e si adatta alle possibili esondazioni. 3. . Progetto RIVER+CITY+LIFE a Toronto dello studio Stoss Landscape Urbanism. Il rischio inondazione viene risolto attraverso una nuova morfologia del suolo.







































































































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EWT/ EcoWebTown
Magazine of Sustainable Design (Quadrimestrale on line sul progetto di città sostenibile)
Edizione SCUT, Università Chieti-Pescara
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