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La forma del limite
Il “progetto mura” per la città di Viterbo
Paolo Marcoaldi e Manuela Raitano
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Parole chiave:               Viterbo, mura, città, patrimonio




Abstract:

Le antiche mura urbane versano in una condizione di mancanza di chiarezza che rende difficile cogliere la vera essenza di un manufatto che incarnava, in passato, la forma stessa del limite delle città. Non fanno eccezione le possenti mura medievali della città di Viterbo, un’architettura difensiva straordinariamente ben conservata, ma non valorizzata quanto meriterebbe. Il “progetto mura” per la città di Viterbo intende restituire la forma del limite, preservandola dove possibile, e ripristinandola laddove ha subito maggior degrado. Un parco anulare che corre attorno al circuito murario diviene così un nuovo dispositivo ambientale di scala urbana, sul quale innestare operazioni puntuali di recupero delle torri e dei camminamenti di guardia.




La forma del limite

Argine all’insicurezza e presidio di controllo, le mura assolvevano in passato non solo un ruolo primario di difesa, ma anche un ruolo, non meno importante, di definizione del limite. Da un lato, infatti, esse rafforzavano la percezione di sicurezza fisica delle comunità che le abitavano, dall’altro contribuivano a rafforzarne l’identità, restituendo a quelle stesse comunità la coscienza di abitare in un luogo finito, misurabile e differenziabile in un “dentro” e un “fuori”. Tale sistema di riconoscimento fisico e mentale della forma urbis, che si estrinsecava nell’atto concreto dell’entrare e dell’uscire attraverso le porte urbane, era all’origine del sentimento di identificazione dell’individuo con la propria civitas, centro e ragione del principio di appartenenza ai luoghi.
Questo ruolo traslato, non difensivo e respingente ma, diremmo, addirittura costruttivo delle identità locali, si è conservato, nel nostro paese, fino a tutto il Risorgimento; la sua data di termine può quindi, simbolicamente, essere fatta risalire al 20 settembre 1870, quando i bersaglieri comandati dal maresciallo Cadorna operarono a Porta Pia l’iconica “breccia” muraria. Una demolizione, quest’ultima, che non fu solo materiale, ma anche metaforica, poiché segnò la fine della città come entità chiusa entro margini fisici riconoscibili: i recinti difensivi caddero da allora in disuso, privati da un lato della loro funzione primaria, ma esautorati anche, dall’altro, della loro funzione secondaria, di limite della città. Linee di margine non più de-limitanti, le mura sono divenute così oggetti contenuti nel corpo dei luoghi abitati, mentre i nuovi quartieri superavano questi antichi confini, avviando quei processi di espansione urbana cui dobbiamo la forma attuale delle nostre città.
Cosa è accaduto dunque, dal punto di vista semantico, alle mura urbiche, quando la città ha perso la forma del suo limite? Cosa è accaduto, cioè, quando essa ha smesso di identificarsi con le sue mura, ma le ha scavalcate conquistando la dimensione extra moenia? E ancora, se la città contemporanea è una forma fisica i cui margini tendono ormai a svanire in dissolvenza, piuttosto che a manifestarsi nella durezza di una linea di bordo, cosa raccontano le cinte fortificate rimaste ancora in piedi? In che modo il segno fisico di questi manufatti, che è un fatto urbano  di massima rilevanza, si è fatto segno permanente - per usare la terminologia rossiana - e strutturante?
Non più limite ma ostacolo, in molte grandi città italiane ed europee questo imponente manufatto difensivo, a partire dalla fine del XIX secolo, è stato fisicamente demolito, in tutto o in parte, come se si dovesse eliminare un impedimento alla crescita del corpo fisico della metropoli. Eppure, l’impronta a terra dei circuiti murari ha continuato a delineare le giaciture dei tessuti in forma di sedime, o di tracciato regolatore, lungo il quale essi crescono e si dispongono. In molti casi, quindi, la forma-mura è divenuta una forma-assente, ma non per questo meno dotata di forza strutturante nella definizione dei palinsesti urbani (Fiorelli, 2020).
Apparentemente interessati da un destino più benevolo, i circuiti murari meglio conservati non hanno tuttavia subito una sorte migliore di quelli demoliti. Le possenti mura antiche sono, infatti, preesistenze più tollerate che valorizzate, trattate sovente come ostacolo da aggirare, innestate nel corpo materiale di città che fingono di ignorarne la presenza, solo a tratti restaurate e rese visibili, molto spesso neglette sotto strati di vegetazione infestante o rese irriconoscibili per via di superfetazioni a loro addossate, se non addirittura secate con durezza per permettere il transito in punti dove in origine non erano presenti porte urbane. Queste ultime, poi, sono spesso scollegate dalle mura stesse per consentire ai veicoli di circolarvi attorno come fossero delle voluminose rotatorie, perdendo così il loro significato originario, legato al “passare attraverso”.
Le mura versano, in sintesi, in una condizione di mancanza di chiarezza che rende spesso difficile cogliere la vera essenza di un manufatto urbano che incarnava, in passato, la forma stessa del limite delle città.

 

Il circuito murario della città di Viterbo

Più il circuito murario è ampio (come è per esempio nel caso di Roma), più si configura una difficoltà nel leggere il manufatto nel suo complesso; manufatto che invece resta ben comprensibile in molte città di origine medievale, di piccole o medie dimensioni; è questo appunto il caso di Viterbo, che presenta un centro storico cinto da un apparato difensivo integralmente conservato e quasi interamente percepibile circumnavigandone il perimetro esterno. Ciò nonostante, come prima si diceva, l’ottimo stato di conservazione non basta a rendere questa infrastruttura muraria una preesistenza adeguatamente valorizzata, sia dal punto di vista della sua presenza patrimoniale che dal punto di vista del ruolo urbano che essa potrebbe giocare.
Dell’operazione di valorizzazione delle mura della città storica di Viterbo si è occupato il progetto di masterplan operato dal Dipartimento di Architettura e Progetto, a guida di Orazio Carpenzano, su cui torneremo in chiusura di questo articolo1. Per ora, partiamo da una sintetica descrizione di questo incredibile apparato difensivo di epoca medievale. Il circuito murario della città di Viterbo è infatti una sorta di quadro sinottico della storia urbana, ed è in gran parte legato al periodo più nobile della città, quello che ha portato Viterbo a divenire sede pontificia alla metà del XIII secolo (fig. 1). La cinta muraria, per il suo straordinario stato di conservazione e per le scarse manomissioni, che hanno riguardato soprattutto le porte della città, è considerata fra i monumenti più importanti del capoluogo della Tuscia. Ne sono perfettamente consapevoli tutti gli storici di Viterbo, da Feliciano Bussi a Cesare Pinzi, da Pietro Egidi ad Andrea Scriattoli. Quest’ultimo, in particolare, quando descrive la città, celebra in più occasioni la potenza espressiva di questo sistema fortificato, interamente costruito nella scura pietra locale, il peperino: «Oltreché per gli antichi rioni…, per l’indole architettonica di molti edifici che qua e là si ammirano fra i moderni caseggiati – scrive Scriattoli – è per la sua cinta di mura merlate e turrite che Viterbo conserva il suo carattere di città medioevale» (Scriattoli, 1929).
Come ricorda Simonetta Valtieri nel suo fondamentale studio sulla genesi urbana della città «Il centro storico di Viterbo, con le mura che lo racchiudono, trae origine da un lento e complessivo processo di accrescimento, attraverso fasi successive, che prendono l’avvio da un atto di unificazione di alcuni vici di origine longobarda sparsi nel territorio» (Valtieri, 1982).
Come accade a Roma, dove sono presenti due circuiti murari, aureliano e serviano, anche a Viterbo osserviamo un doppio apparato murario, uno più interno e antico, il secondo più ampio e pressoché integro, che separa la città medievale dalla città post-unitaria. Il primo agglomerato significativo della città sorge nel luogo naturalmente più protetto, l’attuale colle del Duomo, già abitato in epoca etrusca. È un’altura con caratteristiche geomorfologiche del tutto analoghe ad altri insediamenti presenti nei territori circostanti, fra i quali gli importanti centri etruschi di Norchia e Castel d’Asso. Si tratta di uno sperone tufaceo di forma triangolare delimitato a Nord dal torrente Urcionio e a Sud dal fosso del Paradosso, che successivamente confluisce nell’Urcionio. Questo primo nucleo viene fortificato con mura ciclopiche in pietra locale, di cui tuttavia rimangono pochissimi resti. Un secondo agglomerato significativo cresce in corrispondenza dell’attuale quartiere di Pianoscarano, un’altura con una forma affusolata interamente circondata dalle acque. Da lì, l’espansione della città inizia ad assumere proporzioni rilevanti: il tessuto edilizio si biforca seguendo due direttrici, una verso Firenze, l’altra verso Roma, sino a congiungere il nucleo originario del colle del Duomo con la principale infrastruttura del territorio, la via Cassia. Attorno a questi insediamenti viene eretto, nel 1095, un primo sistema murario lineare. Il tratto che corre parallelamente alla via Cassia, essendo quello meno protetto, viene costellato da una moltitudine di torri di guardia, che si diradano nel momento in cui il terreno rende più difficili i tentativi di assedio alla città. Agli inizi del XII secolo, dunque, Viterbo sembrerebbe aver trovato la sua conformazione definitiva all’interno di questo sistema triangolare.
Tuttavia, alcuni fatti determinano un improvviso cambio di orientamento. Il primo è la costruzione di numerosi conventi e monasteri attorno all’antico castello di Sonza, eretto su un promontorio situato circa 500 metri a Nord del colle del Duomo. Il secondo episodio determinante è la distruzione da parte dei viterbesi della città di Ferento nel 11702. Nel corso della battaglia, Ferento viene interamente rasa al suolo ed i superstiti sono costretti a trovare rifugio nelle zone limitrofe, soprattutto nei conventi attorno al castello di Sonza3.
In poco tempo l’area attorno a questi conventi assume dimensioni rilevanti, tanto da imporre la costruzione di un muro di cinta a difesa dell’attuale quartiere di San Faustino. Tuttavia, le mura della città e quelle del quartiere di San Faustino si ritrovano, improvvisamente, una di fronte all’altra, separate appena dal torrente Urcionio. Si decide, quindi, di comprendere l’area di San Faustino all’interno di un unico sistema difensivo più imponente.
Verso la metà del XIII secolo il perimetro fortificato è dunque pressoché completo. L’unica altra importante variazione nell’assetto murario riguarda la decisione di includere nella città intra moenia l’area della valle di Faul, utilizzata d’ora in avanti come riserva per gli approvvigionamenti durante i periodi di assedio più lunghi.
Alla fine del XIII secolo la città tenta un’ulteriore espansione verso Sud-Est. Questo tentativo fallito di ampliare ulteriormente i confini della città in direzione di Roma è testimoniato dall’imponente mole della Torre di San Biele, il cui profilo è ormai scarsamente visibile, imbrigliato all’interno di un quartiere residenziale costruito nel Novecento (fig.2). Durante il Rinascimento, infine, la città si consolida all’interno delle sue mura e mantiene sostanzialmente la sua conformazione fino all’unità d’Italia (Bentivoglio, Valtieri, 2012), assumendo la forma che ancora oggi conosciamo. Il principale studio che documenta in maniera analitica l’intero sviluppo del circuito murario e delle principali porte è infine la “Pianta di Viterbo Medievale”, ufficialmente presentata a Cagliari da Enrico Guidoni nel novembre del 2005 nel corso del convegno internazionale Le città europee del Trecento (Guidoni, Armati, Romaniello, 2006).
Come detto, alla fine dell’Ottocento prende avvio l’espansione extra moenia. Questo debordamento dei confini avviene senza soluzione di continuità. La scelta probabilmente più inopportuna è quella di far passare la ferrovia a ridosso delle mura, in corrispondenza della via Cassia. Questa infrastruttura porterà con sé la nascita dei primi quartieri periferici nell’area compresa tra le due stazioni di porta Romana a Sud, e porta Fiorentina a Nord. D’ora in avanti la città crescerà in maniera radiale, ad eccezione dell’area che dalla valle di Faul porta alle terme del Bullicame.
Le analisi comparative con altre città campione, effettuate nel corso della ricerca per il masterplan del centro storico di Viterbo, ci hanno permesso di capire che Viterbo e le sue mura hanno una conformazione del tutto eccezionale. Osservando infatti le sezioni più significative di alcune città analoghe dell’Italia centrale4 e comparandole con il capoluogo della Tuscia, è possibile vedere come la morfologia di Viterbo sia molto più simile a quella di una città come Roma, che non a quella delle altre città campione, comparabili a Viterbo per scala, posizione geografica ed epoca di fondazione. Il centro storico, infatti, quasi si confonde con la periferia, perché non si trova in posizione rialzata o in un luogo strategicamente dominante. E la periferia, cresciuta nel corso degli ultimi due secoli lungo le pendici dei Monti Cimini, a sua volta assedia il centro. (fig.3)
Come ricordato anche in altre occasioni «questa inversione orografica nel rapporto tra il centro e la sua periferia è resa ancor più drammatica dalla mancanza di una distanza critica tra l’interno e l’esterno» (Marcoaldi, 2018). Tuttavia, nonostante il rapporto ambiguo tra il dentro e il fuori, le mura non hanno perso minimamente la loro consistenza fisica, e ancora oggi è possibile vedere perfettamente integro un anello murario di circa 4 km interamente edificato in pietra locale.
A questo austero sistema unitario si sovrappongono le 13 porte urbane, che mostrano forme e materiali molto disparati. Ci sono porte che hanno conservato le sembianze medievali, altre porte sono riconducibili al periodo rinascimentale, come la Porta di Faul, il cui progetto originario viene attribuito a Jacopo Barozzi da Vignola, altre ancora sono state interamente ricostruite nel ‘700. (fig.4)
Le mura di Viterbo non sono contrassegnate esclusivamente dalle porte di accesso e dalle torri di guardia, ma intercettano nel loro percorso anche una serie di altri monumenti, incorporandoli nel sistema difensivo della città. Questo fatto, abbastanza comune nelle città medievali, a Viterbo assume una notevole rilevanza per il numero e la varietà dei monumenti che vengono assorbiti: numerose chiese e conventi5, alcuni palazzi nobiliari6, e anche due castelli, quello mai terminato di Federico II di Svevia tra le chiese di Santa Rosa e di San Giovanni in Zoccoli, e la rocca del cardinale Gil (Egidio) Álvarez Carrillo de Albornoz accanto porta Fiorentina. (fig.5)

 

Il “progetto mura”

Prima di introdurre nello specifico il progetto di valorizzazione delle mura storiche di Viterbo, vanno fatte alcune considerazioni aggiuntive sulla struttura urbana di Viterbo e sul ruolo che le mura giocano nell’assetto attuale della città. Tale caso-studio è infatti esemplare, costituendo quasi un’eccezione nell’ambito delle città del centro-Italia di impianto alto-medievale: ciò perché il centro storico di Viterbo non è una rocca, come si è detto, né si trova in posizione apicale, ma è posto in una quota altimetrica intermedia tra il versante ovest del suo territorio, più basso, e il versante est, che sale in direzione del sistema orografico del rilievo del Palanzana.
Questa condizione altimetrica determina alcune interessanti conseguenze sulla percezione della città storica: da Viterbo, fatta eccezione per lo squarcio della valle di Faul, non si inquadra a largo raggio il territorio; mentre, d’altro lato, Viterbo può essere percepita quale entità “contenuta” entro la cornice della città di espansione, costruita nel Novecento.
Da questa condizione peculiare, apparentemente non favorevole dal punto di vista percettivo, può derivare invece un valore positivo che attraverso il masterplan emerge in termini operativi. Tale conformazione fisica “a catino” può, infatti, aiutare a configurare il centro come un vero e proprio invaso spaziale, una “camera protetta” in grado di raccogliere la città tutta, come se esso stesso fosse una “confluenza”: il punto, cioè, in cui fiume e immissari si incontrano. Perché ciò si realizzi bisogna, però, che la cinta muraria smetta di contenere e separare, ma si apra alla permeabilità. Un ossimoro apparente, ma non un paradosso.
Il “progetto mura” per la città di Viterbo è partito quindi da due dati fondamentali: un imponente corpo ambientale che da Ovest si innesta in maniera discontinua nel tessuto storico, al quale si contrappone una infrastruttura muraria perfettamente integra. Nella conservazione critica di questa ambivalenza tra elemento naturale e manufatto murario si gioca il destino del masterplan per la città di Viterbo. Un progetto strategico che si pone, nella sua cornice generale, l’obiettivo di risolvere l’attuale divisione del centro storico della città dai quartieri di espansione che sono cresciuti attorno alle sue mura, spesso volgendo ad esse le spalle. Questa contrapposizione tra artefatto e natura è stata per noi la maggiore suggestione derivante dal territorio; una suggestione che restituisce la forma del limite della città, che abbiamo cercato di preservare dove possibile, e di ripristinare nelle aree di maggior degrado.
La prima scelta, senza dubbio la più evidente da un punto di vista normativo, è stata quella di allargare i confini della città storica, individuando un perimetro di interfaccia tra le mura e la città di espansione. Successivamente, le mura sono diventate non già uno spazio di confine quanto la spina dorsale di un progetto strategico che si caratterizza per un duplice gradiente di trasformabilità: in blu le aree su cui realizzare progetti a cubatura zero, sostanzialmente gli spazi in cui poter ripristinare una continuità fisico percettiva tra il verde e le mura; il colore più chiaro individua invece gli spazi secondari, in cui è possibile agire o attraverso interventi puntuali (intra moenia) oppure attraverso veri e propri progetti di riqualificazione urbana (extra moenia). Nella fascia di attenzione così individuata si propone dunque la realizzazione di un vero e proprio parco anulare dallo spessore variabile che segue il perimetro esterno della cinta muraria, con alcune propaggini interne poste a sud-est, verso la valle di Faul. (fig. 6)
Oltre a un lavoro sul sedime, il “progetto mura” prevede l’avvio di operazioni di rifunzionalizzazione del manufatto, attraverso il recupero delle antiche torri murarie e la loro apertura al pubblico quali punti panoramici per la visione dall’alto della città storica. Una visione ad oggi intercettabile, come si è detto, solo dalla città d’espansione, per via della posizione orografica sopraelevata di quest’ultima; una visione che così, invece, potrebbe ristabilirsi escludendo la periferia dal campo visivo, a partire da alcuni punti privilegiati posti lungo il circuito murario, per restituire uno sguardo diretto sul nucleo storico della città.
Nei vari ambiti di intervento le principali azioni da compiersi riguardano il miglioramento dell’accessibilità al centro storico e il potenziamento delle connessioni tra i diversi sistemi urbani, entro e fuori le mura, dove è prevista anche l’istituzione di una linea circolare di navette-bus e la realizzazione di parcheggi interrati extra moenia, posti a ridosso delle mura. Si prevede inoltre - quale soluzione ottimale - l’ipotesi di interramento del tratto ferroviario attualmente esistente. In via provvisoria sono possibili, in quell’ambito, operazioni di mitigazione della presenza della linea dei binari (Raitano, 2018).
In conclusione, la valorizzazione delle mura è stata per il gruppo di ricerca l’asse portante di una rivitalizzazione del centro storico volta a rimettere in connessione quest’ultimo con la città di espansione e con il suo territorio di appartenenza, la Tuscia. Le mura medievali di Viterbo sono innanzitutto un eccezionale monumento storico in sé, e come tale meritano di essere rese visitabili, percorribili, attraversabili e soprattutto visibili. Ma sono anche un vettore spaziale formidabile per la città, che può dar luogo a un sistema anulare verde in grado di qualificare il passaggio tra centro storico e periferia.
A questo scopo, da elemento architettonico che separa e protegge, le mura vanno trasformate in un potente dispositivo di connessione, operando una decisa inversione del loro significato primario, non più spendibile sul piano delle necessità di una città contemporanea. Per questa ragione, a valle di queste disposizioni, si è tentato di sperimentare una progettazione di scala architettonica su alcune di queste aree, per verificare gli assunti del progetto.
Nel masterplan sono stati quindi individuati cinque ambiti strategici, ognuno dei quali suddiviso a sua volta in una sequenza di progetti unitari, alcuni dei quali sono stati infine selezionati per un workshop internazionale di progettazione, che ha rappresentato l’evento conclusivo di oltre un anno di lavori. L’intento che ci siamo proposti è stato quello di porre a reagire, attraverso le prefigurazioni che solo il progetto di architettura è in grado di dare, le “azioni” trasformative da noi individuate nel masterplan per quei cinque luoghi, che nell’ordine sono: i Giardini Papali; la piazza del Sacrario; l’area delle Fortezze; La piazza della Rocca e il Palazzo Farnese. Ai giovani architetti sono state quindi sottoposte tali “aree campione”, tutte adiacenti al perimetro del “progetto mura”, con la sola eccezione dell’area dell’ex Ospedale posta nel cuore del centro città. (figg. 7 e 8)
In definitiva, a valle dell’esperienza compiuta, possiamo affermare che il vero intento del masterplan è stato quello di far coincidere l’identità della città con le sue mura, ancora oggi perfettamente conservate. Per ottenere questo ambizioso obiettivo è stato importante non solo progettare in senso tradizionale, ma anche costruire un percorso culturale condiviso con la cittadinanza e le associazioni locali, che ci ha consentito di sviluppare le nostre proposte poggiandole su una base di dialogo e consenso, durante tutto l’iter amministrativo che ha portato, infine, all’approvazione del piano in consiglio comunale, nel febbraio 2018.




Note

1 Il gruppo di ricerca era così composto: Per il DiAP, Orazio Carpenzano (direzione scientifica), Manuela Raitano (coordinamento gruppo di progettazione), Paolo Marcoaldi, Fabio Balducci, Stefano Bigiotti, Angela Fiorelli, Marta Montori, con Valeria Cerilli, Claudia Giancola, Iris Gjoni, Myriam Imperato. Per il comune di Viterbo, Raffaela Saraconi ed Emilio Capoccioni. Comitato scientifico: Enzo Bentivoglio, Elisabetta Cristallini, Silvio Franco, Francesco Galli, Francesco Mattioli, Alfredo Passeri, Giuseppe Scarascia Mugnozza.

2Ferento, dal romano Ferentium, era stato un importante insediamento di epoca repubblicana, che aveva vissuto il suo momento di massima espansione nella prima età imperiale, per poi subire un lungo declino terminato appunto con la distruzione del 1170.

3Sui resti di questo castello verrà edificato nel 1236 il convento dei frati Minori di San Francesco.

4Le città individuate per gli studi comparativi sono Arezzo, Ascoli Piceno, Orvieto e Siena.

5Le strutture religiose più importanti incorporate nel sistema difensivo della città sono: San Sisto nei pressi di porta Romana, la chiesa e il monastero di Santa Rosa tra porta San Simeone e porta San Marco, e l’abbazia di Santa Maria della Palomba, di cui oggi rimangono pochi importanti resti a ridosso di porta di Valle.

6Il più caratteristico è il palazzo di Olimpia Maidalchini accanto porta San Pietro.

 

Riferimenti Bibliografici

Bentivoglio, E., Valtieri, S. (2012), Viterbo nel Rinascimento, Ginevra Bentivoglio EditoriA-GESCA, Cesano Boscone, IT.
Fiorelli, A. (2020), Mura e città. Nuovi paesaggi urbani tra memoria e progetto, collana Documenti ANCSA-Associazione Nazionale Centri Storici Artistici, Gubbio, IT.
Guidoni, E., Armati, C., Romaniello L. (eds), (2006) Viterbo Medievale. Pianta della città murata intorno al 1462, Edizioni Kappa, Roma, IT.
Marcoaldi, P. (2018), Studi preliminari: Dalle analisi comparative alla ricerca di una identità, in Marcoaldi, P. (ed), Per la città di Viterbo. Masterplan del centro storico, direzione scientifica di Orazio Carpenzano, Quodlibet, Roma, IT, p. 91.
Raitano, M. (2018), Il masterplan per il centro storico di viterbo. Presupposti e contenuti, in Marcoaldi, P. (ed), Per la città di Viterbo. Masterplan del centro storico, direzione scientifica di Orazio Carpenzano, Quodlibet, Roma, IT, pp. 104-111.
Scriattoli, A. (1929), I più notevoli monumenti di Viterbo. Guida illustrata per il visitatore, Gaetano Buffetti editore, Viterbo, 1929, IT, p. 29.
Valtieri, S. (1982), La genesi urbana, in Bentivoglio, E., Valtieri, S., Guida a Viterbo, Edizioni Dedalo, Bari, p.14.

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