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Dalla città del passato alla città ‘green’, per un futuro più desiderabile
Fabrizio Tucci, Serena Baiani
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Parole chiave:              Ecosistema storico, Green city approach, Mixité funzionale, Ipervicinato,
Intensificazione
Keywords:                   Historic ecosystem, Green city approach, Functional mixité, Hyper-neighbourhood,
Intensification




Abstract:

La lettura del percorso generativo dell’ecosistema storico permette di analizzare il sistema dei segni che configurano i luoghi del passato e dei significati che comportano sul piano dell'abitare, per individuare quella continuità dell’atteggiamento ecologico che dovrebbe permanere nella configurazione degli assetti nel tempo. È, pertanto, possibile delineare nella città storica esistente alcuni dei riferimenti della contemporaneità chiamata a una profonda svolta 'green' che, nel confronto col passato potrebbe rinvenire, riacquisire, reinterpretare il valore e il significato di sistemi di spazi capaci di attivare sistemi di relazione sociale, di gestione abitativa, di comportamento umano, in armonia e dialettica con i sistemi ambientali e climatici, per definire un processo di progettazione improntato sul green city approach e, in definitiva, per configurare un futuro dell'abitare più desiderabile.

 

 

Studiare la città del passato per affrontare le sfide della contemporaneità

L’attuale era, che possiamo definire delle crisi e dell'incertezza, rende necessaria la sperimentazione di modi innovativi di operare in nuovi contesti e nuove condizioni, nel tentativo e desiderio di dare alcune risposte alle principali sfide del futuro, che significa: progettare in un’epoca di “crisi” (culturale, sociale ed economica); progettare in condizioni di “emergenza” (ambientale/climatica, umanitaria, abitativa); progettare in uno stato di “scarsità di risorse” (materiali e immateriali); progettare in condizioni di “incertezza” (totalmente trasversali a tutte le precedenti) (Tucci, 2019).
Il tessuto esistente è il segno1 col quale il progetto contemporaneo si confronta e sul quale sperimenta e misura gli strumenti e le potenzialità espresse e in divenire, ponendosi come elemento ordinatore della/nella complessità, perché in grado di raccogliere e indirizzare le sfide del mondo contemporaneo attraverso relazioni nuove con trame urbane consolidate, attraverso riadattamenti e stratificazioni operati con sensibilità, attraverso la definizione di nuovi significati, nuovi valori, nuove forme di fruizione ambientale che riescano a dialogare con i linguaggi architettonici ereditati dal passato e con i valori identitari delle comunità.
La struttura che riconosciamo come storica è, in realtà, il prodotto di una evoluzione che ha visto il succedersi lento e stratificato nel tempo di diversi modi di vivere, di abitare, di costruire: un'ottica che può restituire la città contemporanea ai suoi abitanti in un continuo aggiornamento di contenuti, significati e valori. La città “antica” è “un complesso unitario di edilizia minore e di architetture più o meno importanti, il cui carattere principale […] non sta nei 'monumenti principali', ma nel complesso contesto stradale ed edilizio, nell’articolazione organica di strade, case, piazze, giardini, nella successione compatta di stili e gusti diversi, nella continuità dell’architettura 'minore', che di ogni nucleo antico di città costituisce il tono essenziale, il tessuto necessario, l’elemento connettivo, in una parola l’ambiente vitale” (Cederna, 1956, 2006).
Non è, quindi, il sistema delle tracce e dei frammenti a caratterizzare la memoria progettuale del contemporaneo, ma lo è il ragionamento sui comportamenti, sulle “regole”, sull'organizzazione dei processi attivati all’interno delle trame e dei tessuti, che ne costituisce anche il tema portante per coglierne le potenzialità dei futuri sviluppi. Il sistema dei "segni" che configurano i luoghi del passato - e dei "significati" che essi comportano sul piano dell'abitare, costruire, pensare - può dunque essere letto come lo straordinario quadro di riferimento nel quale ritrovare le più profonde ragioni di una contemporaneità oggi investita da condizioni di poli-crisi e di multi-rischio (Losasso, Verde, 2020), chiamata inderogabilmente a una profonda svolta 'green' che proprio nel confronto col passato potrebbe rinvenire, riacquisire, reinterpretare il valore e il significato dei sistemi di spazi (nella loro forma, organizzazione, prestazione) capaci di attivare sistemi di relazione sociale, di gestione abitativa, di comportamento umano, in armonia e dialettica con i sistemi ambientali e climatici, per definire un processo di progettazione improntato su quello che oggi chiamiamo green city approach e allo stesso tempo coerente con la permanenza dei valori storici e sociali della città.
Avanza la constatazione che la struttura stratificata “è in grado di agire come una forza centrifuga verso cui far convergere tutte le appendici periferiche, per connettere in un’unica rete tutti gli spazi pubblici, definendo un sistema di sequenze urbane che dal centro si estendono alle aree esterne, attivando processi di rigenerazione e di riqualificazione delle aree degradate, definendo nuove centralità, divenendo principio ordinatore gerarchico e scalare; ed è in grado di costituire un’unità spaziale-ambientale estesa, in cui le diverse parti dialogano attraverso l’interconnessione degli spazi pubblici, aggiornati e adeguati alle nuove forme del vivere sociale, costituendo una trama narrativa evoluta, rivolta ad una nuova dimensione etica, funzionale ed estetica” (Bravo, 2010). Ciò evidenzia anche e soprattutto la capacità della città storica di risvegliare il senso di appartenenza dell’uomo contemporaneo al sistema ecologico a cui indissolubilmente appartiene e al mondo che egli stesso ha costruito, che se vogliamo è il riflesso più autentico della sua evoluzione sociale.
Il progetto che muove dalla memoria urbana per rispondere alle nuove sfide della contemporaneità conduce alla riflessione fondamentale sul ruolo da assegnare, nell’ineludibile paradigma conservazione-innovazione, al "nuovo" che nasce sull’/dall’esistente. La memoria, come frammento fisico emergente, non induce il progetto alla soluzione dell’interazione tra passato e futuro, ma formula un pensiero più profondo e articolato sul significato, sull’azione determinante che le strutture antiche possono esercitare nella innovata visione della città contemporanea, in una linea di continuità che permetta di comprendere la memoria come genius loci da cui ripartire per un progetto contemporaneo rigenerativo, coerente e radicato. La dimensione del "luogo" sopravvive alle strutture funzionali in continua evoluzione e conferisce un carattere indelebile, pur nel continuo mutamento, alla città e al paesaggio, attraverso fenomeni urbani differenti, nelle forme e nel tempo, che si configurano come parti di un’unica e riconoscibile sperimentazione poiché “il disegno della città storica è in stretto rapporto con il suo ecosistema naturale. L’orografia e il clima, il sole, il vento e l’acqua rivestono un ruolo fondamentale nella scelta della localizzazione per il progetto iniziale e per la sua crescita" (Herzog, 2005), che prevede un’evoluzione del sistema costruito determinata dalla sua duttilità in rapporto ai mutamenti del luogo e degli abitanti; un'evoluzione nella quale l’adattabilità per parti determinerà l’unicità dei luoghi (come nei centri antichi) quale condizione affinchè gli abitanti vi si riconoscano e affinchè ognuna delle parti sia integrata in un tutto organico (Raiteri, 2003).
La dimensione contemporanea della città storica, il genius saeculi2, lo spirito del tempo, richiede un continuo aggiornamento dei temi collettivi, degli spazi pubblici e dei contenuti che sono assegnati alle forme storiche dalle persone che vivono e abitano i luoghi e l’inserimento di nuovi significati, nuovi valori, nuove forme di vita sociale: “La vera cultura del progetto non può, quindi, fare a meno di stabilire relazioni essenziali e confronti continui con la città esistente e il territorio già segnato da tante generazioni. Ed è proprio dalla convinta dialettica di tale rapporto dialogico che esso trae la sua specifica motivazione, il suo profondo significato, il proprio diritto di cittadinanza tra le cose” (Dezzi Bardeschi, 1995).
La città, memoria vivente, continua a costruirsi su se stessa3, come accade da sempre, in una rigenerazione continua, nel pieno rispetto delle preesistenze e delle nuove mutate esigenze (Clementi, 20014; in tali condizioni dovrebbe poter nascere un atteggiamento che "al contempo sappia farci conservare modernamente gli ambienti delle città antiche e sappia insegnarci a progettare il nuovo, tenendo conto di tali testimonianze in maniera non convenzionale, ma basandosi su principi sociali radicalmente nuovi”. La città contemporanea proietta, quindi, i codici e le strutture della città storica nel presente, realizzando, in tal modo, la memoria del futuro (Vinca Masini, 2007).


Le radici del modello ambientalmente consapevole della città

L’osservazione della "forma della città", analizzata a differenti scale, in relazione all’estensione delle parti e degli elementi costitutivi della morfo-tipologia urbana, mostra l’esito delle relazioni tra un sistema di regole ordinatrici - disegno degli assi matrici, intelaiatura viaria, divisione fondiaria, tipologia edilizia e sistema di aggregazione in tessuti urbani – che si integra con le condizioni climatiche, morfologiche e geografiche del sito in un “radicamento organico” che racchiude un rapporto inscindibile con il luogo, consolidatosi nel tempo con adattamenti e trasformazioni successive. La costruzione dell’urbano assume, inoltre, una serie di condizioni artificiali riferite principalmente al sistema delle relazioni (rete delle infrastrutture, vie di comunicazione, organizzazione della mobilità) e al sistema delle risorse presenti nell’intorno ampliato. Ciò sottende la consapevolezza che la struttura urbana5 nasce dall’interrelazione degli elementi antropici con il contesto biofisico e climatico, e dai caratteri ambientali e del paesaggio desume la propria individualità, in una interazione tale per cui le costanti qualitative di ogni assetto (controllo razionale dello spazio costruito, rapporti di scala, geometrie, ecc.) sono adattate al supporto territoriale, generando nuove e originali configurazioni, in una libera interpretazione del luogo che suggerisce le infinite variazioni tipo-morfologiche da apportare ai modelli di riferimento e le modificazioni da introdurre nelle componenti generatrici.
A proposito dell'inscindibilità dei fattori struttura urbana-ambiente-clima, ricordiamo come fin dal De Architectura emergano, come fattori determinanti per il progetto, l’esposizione solare e la direzione dei venti, coordinate principali per l’orientamento del reticolo urbano dell’insediamento (castrum)6, che si leggono anche in città strutturate sulle vie d’acqua e sulla direzione prevalente dei venti (Amsterdam o Venezia), i cui edifici, consolidatisi nel tempo, sono stati concepiti in relazione all’irraggiamento solare e ai sistemi ventilativi naturali. “Si farà il tracciato delle vie, orientato secondo gli angoli, fra due regioni di vento contigue. Con questo sistema di orientamento si riuscirà a eliminare da case e strade il molesto impeto dei venti” (Palladio, 1570)7. A fine Settecento, i princìpi sono ripresi dal Milizia, che varrebbe la pena di rileggere oggi8. Lo stesso Olgyay fa riferimento al libro VI del De Architectura (Olgyay, 1981), evidenziando con Vitruvio l’opportunità di realizzare edifici “manifestamente diversi […] nei paesi e nelle regioni di diversa natura. Perché una parte della terra è oppressa dal sole, in un’altra la terra è troppo lontana da esso, in un’altra ancora è ad una distanza moderata”9 nella definizione dell’approccio al progetto coerente con il clima locale.
Un possibile modello ecologico di quello che in passato è stato definito "ecosistema storico" (Sartogo, Bastiani, 1998) si basa sull’individuazione delle interazioni delle diverse componenti nella definizione della forma e dell'organizzazione urbana: le interazioni, tra le tante, che esprimano la più profonda integrazione con le morfologie naturali e artificiali del contesto, l’utilizzo delle risorse materiali e immateriali locali, la capacità di sperimentare sistemi adattivi, e che al contempo definiscano il complesso delle condizioni sociali, culturali ed economiche delle comunità. Gli studi e le ricerche interpretativi delle complesse condizioni e dei valori sul piano ambientale, energetico e bioclimatico delle strutture, della forma, dell'organizzazione della città storica10, possono rappresentare una base molto interessante e proficua per comprendere i differenti possibili modelli prestazionali costituiti dal sistema pieni-vuoti, edifici-spazi aperti, in una varietà di morfologie che interagiscono con il clima, i comportamenti sociali e gli elementi biofisici (Nebbia, 2012)11. Il “centro storico” è identificato, quindi, come unità di misura dei comportamenti urbani, riportando la riflessione sugli elementi strutturanti i tessuti consolidati, attraverso l’applicazione di indicatori che riferiscono a densità, rugosità, porosità, sinuosità, occlusività, compattezza, contiguità, accesso al sole e mineralizzazione.
Un tema centrale nel dibattito contemporaneo sul futuro della città sostenibile in un'ottica caratterizzata dalle tre parole-chiave di 'regenerative', 'green' e 'self-sufficient' è quello della "densità" e "densificazione" urbana, recentemente evolutosi in quello di "intensità" e "intensificazione", riferito alla capacità di distribuire la densità urbana (intensificare o de-intensificare) coerentemente e funzionalmente agli obiettivi di sostenibilità posti. In quest'ottica, il concetto di rapporto pieno-vuoto come generatore della struttura della città12 in un’alternanza di spazi aperti, intermedi e intrusi, di proprietà pubblica o privati13, che configurano la trama del tessuto strutturato sui percorsi che si intersecano e fondono nelle piazze, negli slarghi, nelle corti, nei giardini e negli spazi interstiziali, si interseca con quello di intensità, che emerge fortemente e significativamente dalla lettura di tutti i tessuti storici, apparendo come un sistema poroso, deframmentato da segni ed elementi di differente natura, e capace di definire reti complesse e prestazionalmente evolute dal punto di vista ambientale e climatico14.
La permanenza dei tipi edilizi15, evidente nella stratificazione verticale dei tessuti, evolve la geometria regolare dell’insula (la striga greca) negli isolati con l’aggregazione di unità articolate, che modificano con nuovi fronti irregolari la spazialità del tessuto, ampliando gli effetti percettivi della strada, ad esempio attraverso limitati aggetti, rientranze delle superfici e variazioni in altezza delle linee di gronda16. La rete dei percorsi, ombreggiati e protetti, costituisce condizioni di una socialità complessa, che trova nel diradamento della piazza un nodo formale e rappresentativo, raggiunto attraverso episodi architettonici e spaziali differenziati, sequenze percettive variate e struttura di segni, grane e texture differenziate dai materiali locali.
Nel leggere il rapporto delle specifiche condizioni microclimatiche, della qualità e tipo di materiali presenti in sito, della presenza di linee d’acqua, del regime anemometrico, con i caratteri costruttivi locali, si registra il progressivo adattamento nel tempo dello schema d'impianto urbano originario alla realtà ambientale locale, con l’individuazione di dispositivi di controllo e di mitigazione microclimatica quali ad esempio logge, porticati, pergole, sporti, tutti elementi capaci di migliorare l’adattività del tessuto edilizio e urbano alle condizioni ambientali, biofisiche e climatiche di quello specifico luogo.
Nell’evoluzione del tessuto costruito, il rapporto con le matrici originarie è integrato all’interno di una stratificazione orizzontale e verticale che complessifica i comportamenti bioclimatici originari17. In questi nuovi assetti ogni edificio trova una nuova armonia e acquista un rapporto speciale col nuovo ambiente costruito: si allinea lungo le strade, si accosta o si sovrappone ad altri edifici, diventa elemento di riferimento visivo, traguardo di prospettive, intorno protetto; rispetta, con maggiore o minore intensità, i nuovi fattori derivanti dalla modificazione dell’ambiente naturale e dalla presenza di altri edifici. In questo caso è l’intero sistema urbano a dover essere considerato ai fini del rapporto con l’ambiente (Guardigli, 2012). “Ma perché nelle città quaſi sempre, ò i muri de’ vicini, o le strade, e le piazze publiche assegnano certi termini oltra i quali non si può l'Architetto estendere; fa di bisogno accomodarsi secondo l’occasione de’ siti: al che daranno gran lume (se non m’inganno) le piante, e gl’alzati che seguono: i quali serviranno per esempio delle cose dette ancho nel passato libro” (Palladio, 1570)18.
L’intelaiatura degli spazi di relazione, strutturati nei vuoti del tessuto e nel disegno configurato dal microclima locale, costituiscono dunque “i luoghi e l’espressione dell’insediamento dell’uomo sul territorio, avvenuto gradualmente in armonia e in interdipendenza con l’ambiente e le sue risorse” (Torres, 2003)19. Gli spazi pubblici sono luoghi che nascono dall’impianto geomorfologico, idrogeologico e microclimatico del territorio: sono gli spazi esterni che ne costituiscono il tracciato (strade, viali alberati, piazze, marciapiedi, giardini, parchi, paesaggi fluviali, ecc.), in alternanza a spazi coperti; sono ricavati nella struttura compatta della città stessa, in una fitta alternanza di elementi naturali intrusi nella struttura consolidata e trasformata dal tempo. Gli spazi delle piazze, dei percorsi a sezione variabile, dei cortili dei palazzi pubblici, dei portici, dei cortili delle chiese, dei mercati, insieme con le corti degli edifici privati, costituiscono un continuum di tessuto urbano vissuto e abitato in modi differenziati, in relazione alle variazioni stagionali che rappresentano l’invaso qualitativo, termodinamico e bioclimatico degli spazi intermedi, aperti e delle infrastrutture verdi in una stretta gerarchia di "vicinato" e di "prossimità", altre due parole-chiave della visione contemporanea della città futura (Tucci, 2018).
Sono gli spazi che nella contemporaneità possono tornare a svolgere importanti funzioni di regolamentazione ambientale e di mitigazione delle condizioni di pluri-rischio ambientale di tipo climatico, patogeno e d’inquinamento, utilizzando risorse fondamentali quali il vento, l’irraggiamento solare, l’acqua, il verde e il suolo; contribuendo a far decrescere gradualmente gli impatti dei fenomeni di isole di calore, ondate di calore, pluvial flooding, ventosità estreme; supportando i processi di mitigazione delle cause dei cambiamenti climatici; ospitando i processi di circolarità delle risorse materiali e immateriali; e consentendo al cittadino migliore benessere ambientale e qualità della vita (Tucci, 2020a).


La “continuità dell’atteggiamento ecologico”

Quella che potremmo chiamare “continuità dell’atteggiamento ecologico” dalla città del passato alla città 'green' del futuro, in cui le interazioni tra organismi e condizioni naturali, culturali e socioeconomiche emergono come elementi significativi, è evidente nell’azione operata nei tessuti attraverso "il costruire sul costruito e col costruito" che trasmette memoria, materia e processi, senza soluzione di continuità attraverso il tempo. La “durata” si manifesta, quindi, come principio fondamentale dell’abitare, che esprime l’appartenenza al luogo, “il rapporto dell’uomo ai luoghi e, attraverso i luoghi, agli spazi […]. La relazione di uomo e spazio non è null’altro che l’abitare pensato nella sua essenza” (Heidegger, 1951; Vattimo, 1976, 2019)20. In tal senso, è riconoscibile nelle matrici morfologiche e nei funzionamenti 'passivi' il principio ecosistemico che vede nella città, organismo vivente, un funzionamento metabolico di assorbimento e trasformazione di risorse materiali ed energetiche21. In particolare, sono evidenti le matrici generative biofisiche (botaniche, biologiche, geologiche, idrogeologiche), microclimatiche (relative al controllo e l'utilizzo di luce e aria) ed energetiche (prevalentemente termiche) che hanno determinato le scelte localizzative e l’impianto morfologico protourbano e urbano. La lettura del percorso generativo e del consolidamento nel tempo dell’ecosistema storico permette di rileggere l’equilibrio ambientale esistente, configurando gli assetti contemporanei, le strutture morfologiche dei tessuti e i loro comportamenti bioclimatici, 'bio-climate responsive' e 'climate proof' (Tucci et al., 2020) come processo evolutivo di matrici esistenti, in cui il rapporto tra edificio e ambiente è inserito nella tradizione costruttiva di un luogo, nella pratica costruttiva consolidata nel tempo, in un’ottica circolare che superi il puro regionalismo22.
L’evoluzione, quindi, dei segni, delle tracce che permangono nei tessuti, mostrano il nuovo significato del rapporto con il luogo: la “natura originaria” del sito è percepita come forma derivata dal “trattamento culturale” e dalla “modificazione tecnica e sociale”23. E’, quindi, in un’accezione culturale che permane il "radicamento" al luogo e l’interpretazione dei segni del passato che emergono nella città contemporanea; un'accezione in cui i concetti di tutela dell’ambiente, di mitigazione climatica, di economia circolare, di riduzione dell’intensità nell’uso delle risorse e di azzeramento del consumo di suolo esprimono da una parte il rispetto per la “pluralità di sedimentazioni che per noi è la natura [intesa] come le stratificazioni della cultura”, e dall'altra la cura “verso ciò che abbiamo ereditato, e che dobbiamo trattare delicatamente” (Vattimo, 1991).
Il processo di accrescimento delle città è avvenuto attraverso molteplici e differenziati interventi di riuso compatibile e rimodellazione di specifici organismi edilizi o di più ampie strutture edificate e porzioni di tessuto urbano, con un atteggiamento fortemente conservativo della memoria materiale del luogo, che in alcune occasioni ha riattivato i funzionamenti originari delle architetture (condotti semipogei, aperture nei solai e camini per il raffrescamento, filtri e sistemi di ombreggiamento anche vegetali, complesse strutture di controllo bioclimatico, ecc.) e recuperato gli elementi caratterizzanti la tipologia originaria, pur mantenendone le stratificazioni consolidate.
È, quindi, la “logica della sovrapposizione materica” a evidenziare il nuovo senso che può essere attribuito alle memorie urbane, in cui emerge chiaramente la capacità strutturale originaria di attivare processi circolari delle risorse a livello di ambito urbano - che attua la dimensione e la processualità di un ecodistretto - attraverso un articolato mix funzionale che non utilizza nuovo suolo, ma attiva densificazioni frammentate e a intensità variabile, capaci di definire spazi innovati di socialità, fondati sull’iper-vicinato (Tucci, Baiani, 2020). Il tessuto costruito è, quindi, miniera urbana che nutre i processi di sostituzione, integrazione e innovazione, mantenendo inalterati gli equilibri ecologici del sito, in una chiara circolarità processuale che mostra una continuità del processo evolutivo, in cui azioni di riciclo, inteso in nella più ampia accezione, sono applicate a particolari situazioni spaziali residuali rinvenibili all’interno della città contemporanea, e a spazi liberi privi di una specifica destinazione d’uso all’interno del tessuto consolidato o nell’ambito delle infrastrutture (Tucci, Baiani, et al., 2020).
La sfida progettuale contemporanea, che è in grado di conciliare lo spirito del luogo con lo spirito del tempo, agisce recuperando i valori della storia attraverso la loro combinazione nel presente secondo un modus di “concepire l’architettura in senso multi-scalare e trasversale, trascendendo dalle presunte 'specificità' della dimensione di scala che hanno sempre spinto verso una separazione dei momenti progettuali, dal dettaglio, al componente, all’edificio, al quartiere, alla città, al territorio, al paesaggio, per riappropriarsi di una visione olistica che è sempre stata dietro la concezione – spontanea o consapevole, informale o morfologicamente concepita, intrinsecamente connaturata o scientificamente instillata – della Qualità e della Sostenibilità nel progetto delle trasformazioni dell’ambiente costruito” (Tucci, 2018).


Conclusioni. Verso una città ‘green’

A fronte delle sfide contemporanee dell'èra delle crisi ricordate in apertura del presente contributo, e sul solco degli insegnamenti in parte ricavabili dall'implicito "atteggiamento ecologico" impresso sull'organizzazione e sul comportamento delle città del passato, cosa possiamo fare in concreto noi ricercatori e progettisti, architetti e urbanisti, tecnologi e designer, per un futuro 'green' dell'abitare?
Ci sono sette punti su cui valga la pena di spendersi, impegnarsi, e scommettere nella ricerca e nella sperimentazione progettuale (cfr. anche: Tucci, 2020b), che sono sintetizzati di seguito:

Questi primi quattro punti hanno tutti, trasversalmente, profonde ricadute sugli ultimi tre:

Dobbiamo cercare di guardare in avanti, nella consapevolezza degli insegnamenti della città del passato e nella costante prospezione verso i possibili direzionamenti e le potenziali risposte alle questioni in gioco, e trasformare questo periodo di crisi epocale in una occasione da cogliere per costruire insieme un futuro più desiderabile.




Note

1. La riflessione sul Segno ha portato a rileggere alcune definizioni di De Fusco che restituiscono il Segno urbano come un’articolazione complessa del sistema delle unità minime basilari costituite da “un invaso abitabile (significato) e da un involucro (significante) che lo delimita”. Il segno urbanistico, inteso come architettura della città, distingue lo spazio esterno della architettura dallo spazio esterno alla architettura (il vuoto, l’invaso). Il rapporto tra il vuoto e il pieno dei tessuti è tracciato dagli elementi “liminali” dell’involucro architettonico, da quegli spazi intermedi (portici, cortili, spessore dei corpi di fabbrica, scorci che consentono di penetrare all’interno di tali corpi) che contribuiscono a conformare, a definire l’invaso suddetto.De Fusco, R. (1978), Segni, storia e progetto dell’architettura, Laterza, Roma-Bari.
2. Lo spirito del tempo è, come noto, un’espressione adottata nella filosofia della cultura otto-novecentesca che indica la tendenza culturale predominante in una determinata epoca. Il termine originario rivestiva un concetto puramente scientifico, e divenne noto da uno scritto del filologo e filosofo J.G. Herder, diffuso nel 1760 da un lavoro polemico verso il filosofo A. Klotz, passando per la traduzione dell’espressione latina genius saeculi. Il termine è tratto dalla Filosofia della storia, dunque dal pensiero di Hegel e dalle sue lezioni sull’argomento. Il concetto di genius saeculi viene utilizzato in questo scritto con riferimento alle pratiche culturali e sociali relative ad un determinato contesto.
3.Espressione usata da Dezzi Bardeschi nel suo scritto “L’immagine della città storica”in L. Gioeni (a cura di), Restauro, due punti e da capo, Franco Angeli, Milano.
4. Importante evidenziare che carattere ricorrente del modello urbano Mediterraneo è l’essere sedimento di un lungo processo di accumulazione selettiva che nel tempo ha filtrato i materiali da riutilizzare in nuove strutture e quelli da abbandonare perché incompatibili con i valori di cui erano portatrici le nuove civiltà.
5. Giova ricordare in questo contesto che due sono le accezioni del termine "città", l’una derivante dalla forma sociale (comunità, cultura e relazioni), che si riferisce al concetto di civitas e l’altro legato alla sua forma fisica (caratteri materiali) che nasce dal concetto di urbs. II significato originario del termine città non ha, infatti, riferimento territoriale, ma implica l'insieme dei cittadini che la abitano ovvero di un nucleo di individui che, con il loro operare, contribuivano al governo e alla vita della città (cittadinanza).
6. L’asse principale era il “cardo maximus” che, in aree climatiche temperate, doveva orientarsi similmente alle divisioni centuriali del tessuto agricolo, in direzione “nord-sud” e secondo la direzione dei venti del quadrante nord e del quadrante sud, con licenza di qualche variazione di inclinazione dovuta all’orografia del luogo, che non doveva superare i 20 o i 30 gradi.
7. Tratto dal De Architectura, libro I.
8. Scrive il Milizia: “È quasi impossibile il prescrivere regole generali concernenti l’esposizione degli edifici: quello, che spesso si evita in un luogo, si cerca in un altro. Oltre le varietà de’ climi, l’Architetto deve ben conoscere ancora le varietà locali di uno stesso clima per piantar i suoi edifici nella migliore esposizione, qualora egli ha la scelta del sito, occasione ben rara. […] Quel che è certo, si è, che bisogna garantirsi e dal troppo gran freddo, e dal troppo gran caldo, come da’ venti impetuosi, e nocivi. E ciò non si può conoscere, che per lunghe osservazioni fatte antecedentemente sopra i dati particolari siti. L’Oriente e l’Occidente sono per lo più esposizioni incomode, perché nell’estate vi si è bruciato dal sole, che vi batte quasi la metà del giorno. Il è Settentrione troppo freddo, e talvolta umido. La migliore esposizione sembra quella di mezzogiorno, perché nell’inverno il sole abbassandosi riscalda, e nella estate alzandosi rasenta la casa, e non le dà tanto calore. Ma ciascun Paese ha qualche lato dell’Orizzonte da dove vengono più costantemente i maggiori venti, e le maggiori piogge. Convien sceglier l’esposizione opposta. […]”.
9. Tratto dal De Architectura, libro VI.
10. La scuola alessandrina studia le variazioni stagionali, l’orientamento ai venti, l’esposizione al sole e i loro effetti sulle produzioni agricole e sulla salute dell’uomo utilizzando tali conoscenze per individuare e definire il disegno della città. Vitruvio individua nello studio del clima, nella successione temporale delle stagioni, nel corretto disporsi dei fronti stradali rispetto al sole e al loro distanziarsi (ombre portate), funzionalmente a quanto esperito con la realizzazione di gnomoni e meridiani, le basi dell’impianto urbano. Esposizione solare e direzione dei venti diventano gli elementi guida per la corretta definizione dell’orientamento del Castrum che aveva nel cardo maximus l’asse principale che, in aree climatiche temperate quali il bacino mediterraneo, deve essere orientato in direzione nord sud e secondo la direzione dei venti del quadrante nord (Maestrale Tramontana Grecale), e del quadrante sud (Libeccio Mezzogiorno Scirocco), con possibilità di una diversa inclinazione dell’asse dovuta all’orografia o alla persistenza di venti dominanti locali.
Dall’incrocio di cardo e decumano, per parallelismo a questi, si organizza la viabilità urbana e i relativi fronti edilizi. Tale disposizione, sia sul percorsi stradali che lungo i canali definisce la trama dell’intera città, si individua la maglia dell’isolato urbano e del conseguente tessuto edilizio che, in relazione alla direzione del cardo maximus, appare iso-orientato rispetto al sole.
11. Giorgio Nebbia, in un articolo del 2012 (vedi References) evidenzia la necessità dell’identificazione di “confini fisici e geografici, ecologicamente significativi, della città”, per comprendere chiaramente i flussi che la attraversano in termini di materia ed energia ed evidenzia che “in alcune città - originariamente centri medievali delimitati da cerchia di mura e con alcune strade radiali di accesso - il confine del “centro storico” è comodo ai fini dell’analisi.
12. Il principio della città come sistema sociale è insito nel termine greco polis (città-stato) che rappresenta una “unica comunità” che abita “uno specifico luogo”, definito dall’aggregazione, meglio “intensificazione”, di nuclei sparsi, collocati intorno a emergenze significative del paesaggio e lungo percorsi viari in cui ogni attività trova collocazione in uno specifico ambito, correlato morfologicamente alle preesistenze e inserito in un sistema di flussi sociali (dalla metà dell'VIII sec. a.C). Nelle colonie, l’ambito della città è delimitato dimensionatemene, interamente pianificato mediante criteri di suddivisione che non seguivano il principio dell'ortogonalità, realizzando in ordine temporale mura, abitazioni e santuari (Gela, Taso, Megara), in base a criteri di uso razionale dello spazio e di opportunità topografica. Il passaggio fondamentale dal punto di vista sociale si compie con la realizzazione dell’agorà, uno spazio della politica (Dreros, Atene, fine dell’VIII secolo) intervento pianificato e orientato alla nuova urbanizzazione che si compirà con la realizzazione delle strutture monumentali.
È solo all'inizio del VI sec. a.C. che compare la pianta urbana ad incroci ortogonali, per strigas ("a strisce") per le dimensioni strette e allungate degli isolati (Metaponto, Locri, Elea, Selinunte, Agrigento), a carattere diffuso, non intensivo, strutturata su percorsi naturali di attraversamento che definiscono le linee principali e l'orientamento della suddivisione che aderisce alla morfologia dei luoghi.
L’intensificazione successiva seguì l’attuazione di programmi di edilizia monumentale, che portò a "materializzare" le linee della suddivisione iniziale lungo una struttura gerarchia delle strade, con un’attenta definizione delle zone funzionali definendo spazio privato e pubblico, politico e e sacrale, evidentemente in virtù del "segno" che imprimevano sul paesaggio urbano.
13. I grandi recinti delle città antiche lasciavano grandi superfici libere tra luoghi pubblici e ambiti residenziali.
14. La complessità dei tessuti medievali riorganizza il territorio antropizzato trasformando le preesistenze in stretto rapporto con i caratteri dell’ambiente geografico di cui valorizza il palinsesto infrastrutturale per attivare nuove funzioni sociali e i rapporto economici. Operando sulle preesistenze e adattando alle mutate esigenze di vita quanto era sopravvissuto dell’urbanizzazione romana, la civiltà medievale ricostruisce in maniera del tutto originale il nuovo sistema insediativo comunale. L’architettura della città medievale pur differenziandosi tipologicamente e spazialmente nei diversi contesti culturali, assume un carattere di complessità in cui la piazza, i percorsi e gli isolati determinano un rinnovamento espressivo delle morfologie urbane, mantenendo inalterati i funzionamenti bioclimatici originari.
Con tale ottica rileggiamo di quei tessuti aspetti che possono esercitare oggi suggestioni forti, che vedono, a titolo puramente esemplificativo, la convivenza di elementi prevalentemente compatti con sistemi di varchi, di vuoti, di spazi interni alle corti, realizzati sulla logica delle linee del vento estivo e in relazione ad eventuali tratti di acqua, per un raffrescamento degli spazi aperti in primis e degli interi contesti urbani come indotto; oppure corridoi bioclimatici in cui la ventilazione permette di ridurre la concentrazione locale di inquinanti; oppure l'impiego consapevole dell’evapotraspirazione della vegetazione per generare notevoli effetti di raffrescamento dell’aria; o l'adozione di barriere protettive alla movimentazione di masse d'aria durante i periodi freddi che garantisce zone di calma di vento invernale.
15. L’impianto della domus, caratterizzata dalla sequenza peristilio, giardino e fontana (Domus dei Dioscuri, Pompei, I sec. d.C.), attraverso l’integrazione di elementi blu e green, permette di attivare, attraverso il raffrescamento evaporativo e l’ombreggiamento delle superfici verticali, una condizione di comfort microclimatico in regime estivo, realizzando paesaggi domestici sempre diversi. Il tipo edilizio permane nella cultura costruttiva mediterranea nella struttura “a patio”, in cui sistemi naturali integrati a corretti orientamenti microclimatici, garantiscono un sistema passivo fondamentale nel metabolismo urbano.
16. In epoca medievale gli statuti di molte città trecenteschi evidenziano una grande attenzione per la ecosistema urbano sotto il profilo ecologico e bioclimatico ed individuano una grande e diversificata conoscenza di soluzioni capaci di ottimizzare il rapporto edificio-città, teso ad assicurare ad entrambi corrette e sinergiche condizioni di soleggiamento e ventilazione.
17. Palladio, nel 1570, evidenzia nel Libro III della sua opera, la necessità di realizzare gli spazi edificati in conformità con le condizioni del luogo, ponendo anche il tema della ricerca estetica nella relazione con il sito: “così ancor noi nel fabricare; collocheremo le parti principali, e riguardevoli in luoghi scoperti, e le men belle in luoghi più ascosi a gli occhi nostri che sia possibile: perche in quelle si riporranno tutte le bruttezze della casa, e tutte quelle cose, che potessero dare impaccio, & in parte render brutte le parti più belle”.
18. Nel Rinascimento, la visione organica dell’edificio, in cui ogni parte è gerarchicamente disposta in rapporto al tutto, permane la particolare attenzione verso un corretto orientamento dell’edificio. “Appartiene ancho alla cômodità, che le stanze per la estate siano ampie, e spaciose, e rivolte à Settentrione; e quelle per lo inverno à Meriggie, e Ponente, e siano più tosto picciole che altramente: percioche nella estate noi cerchiamo l’ombre, & i venti, e nell'inverno i Soli, & le picciole stanze più facilmente si scalderanno che le grandi. Ma quelle, delle quali vorremo servirci la Primavera, e l’Autunno; saranno volte all'Oriente, e riguarderanno sopra giardini, e verdure.” (Palladio, Libro III). Lo stesso Milizia, nel 1781, in continuità con gli approcci di Palladio, evidenzia l’importanza fondamentale del contesto ambientale per il progetto dell’edificio, individuando “sei condizioni […] necessarie per una buona situazione, 1. bontà del terreno, 2. l’aria, 3. l’acqua, 4. esposizione sana, 5. comodità di luogo, 6. amenità di vedute. […]” Francesco Milizia, Principj di Architettura civile, Primo libro, Seconda parte, “Della situazione”.
19. Spazio di relazione sono “luoghi dello scambio” (piazze, mercati, percorsi) in cui le specifiche funzioni (luogo d’incontro, commercio e collegamento) attivano attività culturali-comunicative della comunità (stare insieme, passeggiare, osservare ed essere osservati, partecipare a delle emozioni collettive) che producono un’unità tra i presenti (Cfr. Torres, 2003). Diversi sono i “luoghi dell’identità” in cui la comunità si identifica perché appartenenti alla propria cultura e alla propria storia, diversi e degni di maggiore attenzione rispetto ad altri che caratterizzano lo spazio urbano (Cfr. Baroni, 1998, pp 71-82).
20. Oltre che la reference citata (Heidegger, 1951), si veda anche lo scritto di Martin Heidegger: “Hölderlin e l’essenza della poesia” del 1937 (Cfr. Vattimo, 1976, 2019).
21. L’interpretazione della città in termini di organismo, si legge in Piccinato che, nel 1942, parlava della “città come organismo”; in  Abel Wolman che nel 1965 aveva descritto il “metabolismo delle città”; in  Jay Forrester che in “Urban dynamics”, nel 1969, applicò la dinamica dei sistemi all’analisi della città di Chicago; o ancora nel testo di Nicoletti del 1978 intitolato “Ecosistema urbano”.
22. A partire dall’architettura vernacolare, di natura ‘spontanea’, emerge la corrispondente “spontaneità di linguaggio” in cui è chiara la derivazione delle tipologie dal tentativo di porsi in relazione al contesto biofisico e morfologico per mitigare le variazioni climatiche, ottenere adeguate condizioni di comfort, elaborando specifici caratteri e morfologie. La lettura geografica dell’architettura racchiude un approccio attento alle peculiarità dei territori e mette in rilievo “la bellezza della molteplicità”, la capacità degli edifici di codificare l’identità dei luoghi e di esprimere la diversità delle culture. Cfr. gli studi elaborati da S. Los dagli anni Ottanta sul Regionalismo Architettonico, a partire dalle elaborazioni di A. e V. Olgyay (Los, 2013).
23. Vattimo, G. (1991), Costruire, abitare e pensare dopo Heidegger, In M. Bottero (a cura di). Spazio e econoscenza nella costruzione dell’ambiente. Franco Angeli, Milano, p 35.

 

 

Riferimenti bibliografici (inseriti tra parentesi nel testo con autore/i, anno stile Harvard)
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