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Natura e storia nel progetto di paesaggio
Anna Laura Palazzo
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Parole chiave:          Paesaggio, obiettivi di qualità paesaggistica, natura e storia
Key words               Landscape, Landscape quality objectives, nature and history

 

Abstract:

This year marks the twentieth anniversary of the European Landscape Convention (CEP) that stimulated new approaches to landscape design, engaging local communities much more directly than before.
Spatial, functional and symbolic relationships among historical and environmental resources, territorial vocations and shared traditions are at the core of current investigation in landscape - and landscapes -, accounting for recurrence, persistence and inertia over time in spatial features, patterns and arrangements.
Ambivalence of landscape - as a watershed, place of forking paths, and as an impluvium, place of co-existence and mutual influence - is a key element for possible integration among general and sector policy measures, calling into question the dialogue between morphology issues inherent to landscape design and the quantitative tradition of the environmental sciences.

 

In un modo imprevedibile eppur diretto, il giardino in movimento deve la sua esistenza a un principio di incertezza riconosciuto altrove: nel mondo in movimento degli uomini.
Nessuna situazione vi è considerata come definitiva. Ogni realizzazione vi trova spazio a condizione di potersi modificare in ogni momento.
Facilmente, senza eccessiva dispersione di tempo e di mezzi.
(Gilles Clément, 2008).

 

Uno sguardo d’insieme

Ricorre quest’anno il ventennale della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) che ha suscitato nuove riflessioni e pratiche nel trattamento dei paesaggi, impegnando le collettività locali assai più direttamente e consapevolmente che in passato.
Al centro dell’attuale interrogazione sul paesaggio – e sui paesaggi – sono poste le correlazioni spaziali, funzionali e simboliche tra risorse storiche e ambientali, vocazioni territoriali e consuetudini condivise, che danno conto di ricorrenze, persistenze e inerzie nella disposizione degli assetti, di dominanti strutturali nello spazio e di configurazioni di equilibrio nella lunga durata.
L’ambivalenza del paesaggio - come displuvio, luogo dei sentieri che si biforcano, e come compluvio, luogo di convergenza interdisciplinare (Gambino, 2006) -, tende ad essere tematizzata nella chiave di una possibile integrazione tra politiche territoriali e di settore, chiamando in causa il dialogo tra tradizione morfologica delle discipline territoriali e tradizione quantitativa delle scienze ecologico-ambientali.
Conseguentemente, gli orizzonti legislativi e amministrativi, così come le discipline del paesaggio e le azioni che lo riguardano - conservazione, pianificazione e gestione - si sono aperti a traguardi più ambiziosi: tra gli altri, la condivisione di obiettivi di qualità paesaggistica con la partecipazione della società civile e il coordinamento della filiera paesaggistica alle diverse scale.
Questa linea interpretativa ha favorito il dialogo tra filoni di ricerca riconducibili alla tradizione dell’analisi morfologica e della geografia storica che lavorano alla intersezione tra piani di lettura verticali e orizzontali (Gambi, 1973; Dematteis, 1986) ed itinerari di indagine accomunati da una particolare attenzione alla civitas: contributi che si dedicano all’esplorazione dell’identità attraverso l’analisi di alcuni archetipi simbolici e più recentemente i procedimenti di consultazione collettiva finalizzati alla costruzione di visioni condivise. A supporto di questa impostazione, possono risultare di ausilio le nozioni di ‘autenticità’ e ‘integrità’ richiamate dalla procedura Unesco per la Dichiarazione di Eccezionale Valore Universale di beni iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (significativamente applicabili ai beni della natura e della storia): nozioni opportunamente vagliate alla luce dei valori d’uso del paesaggio che impongono un registro flessibile di interpretazioni1.
Si tratta di tutelare, gestire e pianificare i paesaggi proponendo articolazioni negli usi e modalità di fruizione secondo le vocazioni naturali e/o storicamente consolidate, ovvero attraverso una identificazione di potenzialità che soltanto il confronto con la società civile può portare a maturazione: in questa azione di ri-produrre paesaggi o di produrne di nuovi sono messe alla prova le coppie oppositive proposte da Cosgrove (1985): soggettivo/oggettivo; insider/outsider; processo/prodotto, ecc., così come le radicalizzazioni che vedono il paesaggio come spazio appropriabile o come residuo.
Tale prospettiva, senz’altro meno disciplinare e più antropologica, si sviluppa in concomitanza con l’agenda europea della sostenibilità che ha indicato nella continuità ecologica il fondamento comune di politiche indirizzate alla biodiversità, alla salvaguardia dei valori naturali e paesaggistici, alla difesa del suolo e messa in sicurezza del territorio, alla rigenerazione delle risorse ambientali e al miglioramento delle loro prestazioni.
La Strategia Europea per la Biodiversità (2010) ha inquadrato le reti ecologiche in un’ampia accezione che contempla la presenza e l’attività dell’uomo stemperando il dualismo cultura-natura: alle prestazioni legate alla biodiversità locale che fanno perno sui principi dell’ecologia vegetale si affiancano i servizi ecosistemici delle Green-blue Infrastructure (infrastrutture verdi e blu), connessioni socio-ecologiche in grado di generare effetti benefici sul comportamento umano e sulla salute anche e soprattutto in ambiente urbano: per la gestione integrata delle risorse idriche, la tutela della biodiversità, la mitigazione dei cambiamenti climatici. E i grandi segni della storia e della natura vengono anche ad assumere rilevanza come fondamentale elemento di aggancio tra patrimonio materiale e immateriale che attinge all’universo simbolico.

 

Paesaggio universo in espansione

La traiettoria percorsa dal concetto di ‘paesaggio’, all’origine elitario ed esclusivo, presenta forti analogie con quella della nozione di ‘patrimonio’ inizialmente riservata alle cose d’interesse artistico o storico, dotate di proprietà intrinseche tali da renderle memorabili e suscettibili di trasmissione alla posterità.
In entrambi i casi, si è verificato il progressivo riconoscimento di un valore d’uso che radica il bene in sistemi di relazioni spesso conflittuali situati in uno spazio e in un orizzonte temporale ben preciso. Valga come esempio la nozione di ‘patrimonio urbano’, dapprima relegato alla città storica e poi esteso all’insieme della città esistente, in risposta a problematiche complesse di adeguamento e rinnovo dello stock edilizio e di contenimento del consumo di suolo: qui il valore funzionale, che è materia del contendere, sfida il valore estetico segnalato dal sapere esperto. In secondo luogo, l’obsolescenza del discutibile criterio della datazione per definire la storicità dei manufatti ha consentito di tematizzare anche beni e valori di recente formazione. La contropartita di tale attenzione a tutto campo è rappresentata dalla messa in discussione di tecniche e metodologie di intervento applicabili a tipologie codificate di beni: basti riflettere sulla indeterminatezza semantica della rigenerazione urbana, che affianca o ingloba la consueta terminologia del riuso.
Il terminus post quem per la progressiva addomesticazione dell’aura del paesaggio risale agli anni Ottanta, con l’entrata in esercizio delle Regioni e l’obbligatorietà dei piani paesistici che ha imposto un confronto serrato tra i molteplici sguardi sul paesaggio. I primi piani hanno incorporato insieme alle aree vincolate dalla legislazione del 1939 i tematismi rappresentati da un elenco esteso di risorse richiamate dalla legge Galasso (Ln. 431/1985), secondo profili di lettura generalmente organizzati per layers autonomi che riflettono la matrice geo-morfologica, quella ecologico-vegetazionale e quella insediativa e storico-culturale. In questa fase, la certezza del fare era per così dire affidata al paradigma dell’agire razionale: una razionalità ‘rispetto allo scopo’, con un allineamento senza residuo tra fini, mezzi e decisioni garantito da percorsi di identificazione e trattamento normativo dei beni – individui e d’insieme – e dei rispettivi valori.  
Una seconda generazione di piani, o più propriamente una revisione critica della prima stagione, rivendicava la complessità delle categorie di lettura dei paesaggi alla luce della geografia storica – entro ambiti e unità di paesaggio, variabili in funzione della scala dell’osservazione – pervenendo alla identificazione di pattern insediativi e regole di assetto emergenti e ricorrenti ad esito di una singolare dialettica tra luogo e comunità.
Il portato di queste acquisizioni, che marca una rivisitazione del paradigma della razionalità – una razionalità ‘rispetto al valore’, di cui sono depositari saperi esperti e sapere comune – risiede nella maggiore integrazione tra competenze che ha consentito la costruzione, in area vasta, di quadri conoscitivi complessi basati su valori accertati e rinvenienti, e la considerazione critica dei possibili scenari di sviluppo. In questa chiave, il paesaggio è visto come contesto di accoglienza, come regolatore dello sviluppo e come costrutto strategico che consente di predisporre alcune visioni guida alla luce di obiettivi di qualità paesaggistica.
Tuttavia, l’eterogeneità degli sguardi ingenera confusione sulle parole e le cose, sui valori e i modi in cui si nominano le azioni possibili: contro la dispersione nominalistica delle tre fondamentali attitudini e azioni e riconducibili alla Convenzione europea (tutela, gestione e pianificazione) che già raccolgono al proprio interno politiche e pratiche differenziate, torna utile incentrare il negoziato tra saperi esperti e sapere comune sui concetti di autenticità e integrità dei paesaggi in una cornice di riferimento che assume la declinazione di paesaggio come contesto di vita. Autenticità intesa non come fedeltà ad un passato inaccessibile e congetturale ma come un sentimento di lealtà nei confronti del tempo e della dialettica tra permanenza e cambiamento che rende possibile negoziare responsabilmente il progetto fisico dei paesaggi della natura e della storia attraverso forme concrete di azione collettiva.
Il terzo momento, che stiamo attualmente vivendo, comporta l’irruzione del paradigma ambientale nelle pratiche più avanzate di pianificazione paesaggistica, che tengono assieme humanities e scienze del vivente. Questo nuovo sentimento del paesaggio fornisce alle metriche urbane orizzonti figurativi modulati dalla idea della natura in città e dalla continuità di sedime dello spazio collettivo – emergenze, assi, invasi - che si salda alle trame verdi extraurbane.
L’ultima generazione di piani ha dunque incorporato i temi ambientali, nonostante il termine ambiente sia accuratamente espunto dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio. Ma i rischi globali sfidano le politiche sulle misure delle ‘conseguenze attese’ dei futuri impatti e non solo sugli effetti diretti degli eventi contingenti - spesso estremi - relativi al cambiamento climatico, al dissesto idro-geologico e alle pandemie, sollecitando misure di prevenzione in luogo di misure di emergenza. E le ‘comunità di rischio’ sono chiamate a modificare i propri comportamenti piuttosto che le condizioni al contorno a partire da una revisione dei quadri interpretativi e delle coordinate dell’azione.


Dare spazio al progetto di paesaggio

La nuova dimensione pervasiva e quasi colloquiale veicolata dalla Convenzione europea ­– ‘tutto è paesaggio’, e di conseguenza il paesaggio appartiene a tutti e non solo ai professionisti del paesaggio – pone al centro della riflessione le percezioni e aspirazioni delle collettività. Gli Osservatori del paesaggio di iniziativa pubblica di natura locale o regionale rappresentano luoghi di interlocuzione essenziali per intraprendere azioni di gestione dei paesaggi in considerazione della inscindibilità delle politiche per il paesaggio da quelle di promozione territoriale, che spettano ai poteri locali. Dal canto suo, il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, all’art. 135, attribuisce al piano paesaggistico la definizione di prescrizioni ordinate non solo alla conservazione dei beni e valori paesaggistici presenti, ma anche alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate. I piani definiscono inoltre apposite previsioni per l’individuazione delle linee di sviluppo urbanistico di tutto il territorio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati e assicurando il minor consumo di suolo (comma 4).
Le Regioni possono individuare linee guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione comprese le misure incentivanti (art. 143). Queste elaborazioni non prescrittive sono legate a strumenti volontari, partecipativi, adattivi rispetto alle esigenze dei contesti paesaggistici, alle sensibilità e consuetudini amministrative per sperimentazioni incentrate sulla qualità del progetto di paesaggio: dei piani di azione che approfondiscano gli indirizzi di carattere generale e le relazioni tra norma (sia essa di tipo metrico-morfologico o prestazionale) e forma: in parallelo, il nodo della operatività va affrontato attraverso un contenitore di pratiche negoziali, per cui la consensualità possa essere sancita da accordi a carattere volontario sugli impegni assunti o utilizzando lo strumento contrattuale assistito da trasferimenti di risorse tra diversi livelli, con apporti di stakeholders non pubblici depositari della risorsa suolo o del capitale.
Sotto il comune vessillo della tutela - come recupero e restituzione alla collettività dei sistemi di permanenze – ricadono variegate modalità di ‘vestizione del vincolo’2, mentre la categoria della valorizzazione coinvolge pratiche meno legate alla riconoscibilità degli approcci e alla replicabilità delle misure di intervento.
Oltre all’oggetto delle politiche – il cosa, ossia la disciplina della trasformazione cui le tecniche debbono dare trattamento – è in gioco il come, ossia le regole della governance territoriale, in cui la dimensione negoziale (il contratto) fa breccia nella tradizione autoritativa della pianificazione territoriale (la legge), fornendo all’agenda amministrativa argomenti a supporto dell’operatività.  Detto in altri termini, in un’arena decisionale sempre più ampia e conflittuale, la funzione delle regole, attraverso i meccanismi che disciplinano l’interazione tra le sedi istituzionali di promozione delle politiche, gli amministratori, gli operatori e le comunità insediate, acquista preminenza rispetto alla natura delle regole: natura che è specifica dei luoghi, poiché incentrata su un’istruttoria collettiva sui valori di autenticità, rilevanza e integrità di cui sono depositari i paesaggi.
Al di là delle consuete rimostranze sulla frammentazione istituzionale, sui sistemi di regolazione e le regolamentazioni che intralciano il progetto di paesaggio, sui nodi irrisolti della filiera autorizzativa, la condivisione su progetti di qualità che sappiano riverberare utilmente i valori storici e ambientali chiede di mettere a frutto ridondanza e diversità delle conoscenze situate (Zanenga, 2019).

 

Riferimenti bibliografici

Clément G., 2008, Il giardiniere planetario, Cromografica europea, Milano.
Cosgrove D., 1985, Realtà sociali e paesaggio simbolico, Unicopli.
Dematteis G., 1986, Nella testa di Giano. Riflessioni sulla geografia poetica, “Urbanistica”, n. 82: 100-106.
Gambi L. 1973, Una geografia per la storia, Einaudi.
Gambino R., 2006, “Il ruolo della pianificazione territoriale nell’attuazione della convenzione”, relazione presentata al convegno La Convenzione Europea del Paesaggio: itinerari interpretativi e applicazioni, Firenze 16 giugno 2006.
Gambino R., Peano A., 2015, Nature Policies and Landscape Policies. Towards an Alliance, Springer, Dordrecht.
Masiero R., 2015. Paesaggio paesaggi. Vedere le cose, Libria.
Palazzo A.L., 2018, Forme territoriali, forme della modificazione. Una via italiana all’area vasta, “Archivio di studi urbani e regionali”, n. 121.
Zanenga P., 2019, Il futuro dei saperi politecnici, a cura di M. Maguolo. Fondazione Francesco Fabbri, Diotima, Centro Europa Ricerche.




Note

1 A seconda del tipo di patrimonio culturale, e del suo contesto culturale, i beni soddisfano le condizioni di autenticità se il loro valore culturale viene espresso attraverso una serie di caratteristiche, tra cui: a) forma e design; b) materiali e sostanza; c) uso e funzione; d) tradizioni, tecniche e sistemi di gestione; e) ubicazione e impostazione; f) la lingua e altre forme di patrimonio immateriale; g) spirito, sentimento; h) altri fattori interni ed esterni.
L'integrità è una misura della completezza e integrità del patrimonio naturale e / o culturale e dei suoi attributi. L’esame delle condizioni di integrità richiede una valutazione della misura in cui il bene: a) comprenda tutti gli elementi necessari per esprimere il suo valore universale eccezionale; b) sia di dimensioni sufficienti a garantire la completa rappresentazione delle caratteristiche e dei processi che comunichino il significato del bene; c) soffra di effetti avversi di sviluppo e / o abbandono.

2 Sullo sfondo dei conflitti d’uso e nell’ambito di un quadro normativo affastellato di strumenti e dispositivi settoriali, la normativa di uso di un bene territoriale penetra nella profondità di modi radicati di stare al mondo, interpella comportamenti e bisogni: chiede condivisione.







 

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