La città artistica

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Il fiume in una collezione di sguardi
Pietro ZampettiPDF




Parole chiave: arte, città, fotografia, fiume, Roma, art, city, photography, river, Rome

 

Abstract:

Se ogni cosa è arte, purché venga considerata tale, anche gli episodi urbani di abbandono e di degrado, in cui regnano l'indeterminazione e la contingenza, possono assumere un valore estetico nello sguardo e nella mente degli artisti. Si tratterà di arte “involontaria”, secondo la definizione di Gilles Clément, divenuta tale non intenzionalmente ma a posteriori. Nei due progetti fotografici di Matteo Benedetti, Altavisione e Flumen, è rappresentato lo scontro fra la costruzione e gli elementi naturali che vi si oppongono: il cielo di Roma nel primo, il Tevere nel secondo. Alle fotografie rispondono lo scrittore Alessio Dimartino, con i suoi testi, e l'architetto Giorgios Papaevangeliou, con i suoi disegni, andando a comporre una collezione di sguardi artistici sulla città.

 

 

Solo la percezione grossolana ed erronea
mette tutto nell'oggetto, mentre tutto è nella mente.1

Cosa può essere considerato arte, cosa non può esserlo? Alla domanda che ha ossessionato l'arte e la critica di tutto il XX secolo, possiamo ormai pacificamente rispondere che ogni cosa può essere arte, purché ci sia qualcuno a considerarla tale. Perché, dunque, non osservare con l'occhio del critico d'arte anche la città contemporanea? Non quella progettata, organizzata e intenzionalmente voluta, ma piuttosto tutti quegli episodi, così frequenti, di abbandono e di degrado, in cui regna l'indeterminazione, la contingenza? Conditio sine qua non per effettuare una simile operazione è che la mente di un artista conferisca a questa casualità il senso estetico di opera d'arte. La città, come la realtà in genere, assume il proprio valore nello sguardo e nella mente di chi la vive.
Nel suo Breve trattato sull'arte involontaria Gilles Clément parte dal presupposto che «Per chi sa osservare, tutto è arte» per affermare: «Per quanto mi riguarda, considero come arte involontaria il felice risultato di una combinazione imprevista di situazioni o di oggetti organizzati conformemente alle regole d'armonia dettate del caso.» Questo gli consente l'operazione creativa e critica al contempo di presentare una serie di immagini, raccolte in ogni parte del mondo, che documentano situazioni che egli considera opere d'arte - appunto involontaria2 .
Ciò che si intende indagare nelle pagine della rubrica La città artistica è una collezione di sguardi d'artista sulla città anonima, imprevista, in cui le regole della natura si incontrano con quelle dell'artificio. Il primo sguardo proposto è quello che Matteo Benedetti, architetto e fotografo romano, rivolge al fiume della sua città: il Tevere.
Siamo stati abituati a vedere il banco ottico di Benedetti svettare sulle terrazze della città per il progetto Altavisione, pubblicato in un volume alla fine del 2018, in cui viene raccontato il rapporto fra la molteplicità spontanea e multiforme dei tetti e l'elemento naturale del cielo3 . Le fotografie, scattate tutte nello stesso momento del giorno – subito dopo il tramonto – presentano una uniformità nella luce, nel soggetto e nella geometria dell'inquadratura che regolano con rigore lo sguardo dell'autore, rendendolo evidente e preponderante nell'opera. La distesa di tetti, altane, terrazze, locali tecnici, comignoli, antenne, sono elementi artificiali che si protraggono verso l'elemento naturale del cielo, il quale a sua volta li modifica profondamente con i segni indelebili dei propri capricci meteorologici. La qualità estetica dunque risiede nello scontro fra architettura e natura, in cui è raccontato anche il passaggio del tempo, ed è favorita dall'abbandono che contraddistingue quasi sempre le coperture degli edifici condominiali di Roma (fig. 1).
Il carattere intrinsecamente conflittuale della costruzione, baluardo a volte precario issato dall'uomo contro la natura e il tempo, è il tema indagato da Benedetti anche in Flumen. In questo progetto l'architetto abbandona le terrazze e si immerge, in modo speculare rispetto ad Altavisione, a una quota sotto il piano di campagna della città, scendendo le gradinate di travertino che conducono al fiume, per raccontare lo scontro fra l'eterno fluire della natura e la poderosa ingegneria degli argini e dei ponti, fatti per resistervi. Le fotografie inquadrano i segni lasciati dall'acqua sui materiali, ma anche le tracce di una vita precaria, che si svolge a questa quota nascosta come in un grande incavo rupestre, cercando riparo fra gli interstizi delle fondamenta cittadine (fig. 2).
Un doppio registro è dunque quello su cui si articola Flumen: da un lato lo scontro titanico fra la potenza naturale e l'ingegno umano, dall'altro la quotidianità della vita che si svolge sulle sponde di pietra e di fango del fiume, colorate dai writers come dai ciuffi di vegetazione. Doppio registro dal quale si svilupperanno due diverse risposte, una grafica e l'altra letteraria, da parte di altri due interlocutori: i disegni dell'architetto Giorgios Papaevangeliou esploreranno la geometria, la materia, i rapporti di forza intrinseci nella pesantezza materiale della costruzione e nella fluidità incessante dell'acqua; la penna dello scrittore Alessio Dimartino popolerà di storie e personaggi i paesaggi fotografati.

L'opera d'arte “involontaria”, costituita dal tratto urbano del Tevere, vivrà dunque non nella sua oggettività, ma nella mente e nel lavoro di tre artisti, diversi per linguaggio e tecnica espressiva, chiamati a osservare da diverse prospettive questo luogo sporco, dimenticato nel cuore della città storica, a guardarlo senza pregiudizio né intenti moralistici, ma con la lente poeticamente costruttiva dell'artista, per renderne manifesto il senso - un possibile senso.




Note

1. Proust, M. (2014) Il tempo ritrovato in Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, Milano IT, p. 1969
2. Clément G. (2019), Breve trattato sull'arte involontaria, Quodlibet, Roma, IT, p. 13
3. Benedetti M., Dimartino A. (2018), Altavisione, Letteraventidue, Siracusa, IT.

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