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Il Tevere infrastruttura storica di Roma
Anna Laura Palazzo PDF




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Parole chiave:          Tevere, economie, navigabilità, fruizione, rischi
Keywords:               Tiber, economies, navigability, enjoyment, risks

 

Abstract:
             
Tra le città di fiume, Roma rappresenta un caso di particolare interesse. Il Tevere combina in effetti un’indiscussa centralità nell’affermazione della Capitale dell’Impero prima e della Cristianità poi, con una irregolarità di portata che non ha confronto con i fiumi del centro e nord Europa.  La simbiosi tra Roma e il suo fiume è stata storicamente una costante tale da sovrastare la condizione di “Capitale sul mare”. Ed è altrettanto evidente che gli attuali insediamenti di Ostia e Fiumicino, che ribadiscono su una linea più esterna l’antica posizione di Ostia e Portus, terminali costieri di età repubblicana e imperiale, si sono sviluppati in piena indipendenza rispetto alla Capitale da ambire all’autonomia amministrativa, conseguita da Fiumicino e a più riprese tentata dal X Municipio in cui Ostia ricade.
Un progetto di territorio che provi a recuperare centralità all’affaccio sul mare nel quadro geopolitico del Mediterraneo è probabilmente prematuro. Ma certamente l’agenda metropolitana dovrà confrontarsi con questo tema.

 

Molti progetti sono stati presentati e per canali di irrigazione e navigazione e per produzione di forza motrice e per altre opere industriali; ma niuno fra tanti ha avuto la fortuna di approdare, eccetto la ferrovia tra Roma e Fiumicino in stato ormai di esercizio.
La quale, convien pur dire che se si considerasse come semplice congiunzione di una parte della campagna romana con la città, sarebbe ben poca cosa; ma se si rifletta che è la via che pone Roma ad immediato contatto con il mare, diviene di tale importanza da riconoscere in essa l’avviamento dello sviluppo industriale e commerciale e quindi alla prosperità del paese, e si può essere sicuri che non le mancherà un felice avvenire.
E valga il vero. Chi è che non riconosce l’immenso vantaggio per la capitale di un regno di trovarsi a meno di mezz’ora di distanza dal mare, cosicché possa ritenersi città marittima, senza dividerne gli incomodi?
(Francesco Oberholtzer, 1878)

 

 

Uno sguardo d’insieme

Sotto il governo pontificio, le questioni della navigazione, intese come una serie di disposizioni acconce all’esercizio del personale e del materiale inserviente al commercio per via del fiume (ASR, Prefettura, b. 767), si intrecciano con le problematiche della navigabilità, intermittente per il regime delle portate e l’infelice posizione della foce rispetto ai venti dominanti (Fig. 1).
L’intera materia, posta sotto la giurisdizione della Presidenza delle Ripe, istituzione secolare del governo pontificio, è ripartita in tre distinti capitoli:

1. della manutenzione delle strade e ponti esistenti e delle ripe del Fiume Tevere dal Porto di San Francesco di Orte fino al Porto di Ripetta, e quindi da Porta Portese fino a Capo Due Rami: con la costruzione di argini rinforzati con pali di legno (passonate) per contrastare l’erosione, e alle opere da effettuarsi alla “strada del tiro” e ai ponti sui fossi immissari del fiume;

2. del tiro de’ Navicelli e di altri legni contr’acqua col mezzo de’ Bufali: praticata dapprima dalla forza delle braccia e successivamente con il traino animale; spurgo dell’alveo del fiume;

3. dello spurgo di tutto l’alveo del Fiume Tevere.
Tali attività, affidate ogni nove anni ad appaltatori selezionati in base alle condizioni economiche più vantaggiose, sono generalmente tenute distinte tra loro, per evitare monopoli e controllare eventuali collusioni.

Nella fase di massima efficienza, tra Sette e Ottocento, il Tevere risulta navigabile da Orte alla foce di Fiumicino (circa 100 miglia), con la soluzione di continuità rappresentata dal tratto intra moenia: qui ostruzioni perenni come banchi di sabbia, macerie e rottami, molini e ordigni da pesca scoraggiano qualsiasi iniziativa di andare per fiume, un fiume che nei periodi di magra non raggiunge i tre palmi (66 cm.) di profondità (Cialdi, 1845).
I due scali cittadini di Ripa Grande e Ripetta si caratterizzano per le specializzazioni delle merci in arrivo: il primo, connesso alla foce di Ostia e successivamente al porto-canale di Fiumicino attrezzato in varie riprese, riceve derrate alimentari, materie prime, materiali da costruzione e merci di lusso soggette a pesanti dazi di importazione; Ripetta smista generi di prima necessità come grano, legna e fascine, dalle località interne del Lazio e dell’Umbria, in ottemperanza a provvedimenti volti a garantire rifornimenti periodici in grado di soddisfare la domanda urbana.
Il Tevere ha mutato più volte corso in occasione di piene devastanti; lo stesso litorale ne ha risentito, avanzando di alcuni chilometri dall’antichità, con una forte accelerazione a partire dall’alluvione del 1557 che ha tagliato il profondo meandro presso Ostia antica (Fiume morto), velocizzando i flussi e producendo erosione alle ripe (Fig. 2). Dagli anni Cinquanta del Novecento è in atto il fenomeno inverso dovuto a un’urbanizzazione a ritmo sostenuto che ha sottratto al fiume apporto solido, con gravi problemi di tenuta della linea di costa e ripascimento delle spiagge.
Nell’arco degli ultimi due secoli, le relazioni percettive, funzionali e simboliche tra l’Urbe e il Tevere si sono progressivamente allentate, con la realizzazione da un lato dei muraglioni nel tratto urbano del fiume all’indomani dell’unità d’Italia, dall’altro con una graduale dismissione della via d’acqua soppiantata dalle linee del ferro. Si è così reciso tanto nell’opinione comune che nell’immaginario istituzionale l’ambivalente rapporto di confidenza e timore con il fiume che emerge con chiarezza nella fase più vicina a noi e più ricca di fonti documentali.
Se il Tevere e le sue pertinenze, sostanzialmente salvaguardati dall’aggressione industriale e da elevati tassi di inquinamento, tornano oggi a raccogliere un sostenuto interesse, ciò avviene principalmente sulle tematiche della vulnerabilità climatica della Capitale: tra Roma e il mare tali rischi sono particolarmente intensi, combinandosi con le vivaci dinamiche di crescita che hanno privilegiato questo quadrante urbano (Municipi IX, X, XI di Roma e Comune di Fiumicino). Tra i congestionati insediamenti che condividono problematiche di accessibilità e qualità urbana, ampie pause naturalistiche, ambientali e archeologiche - la riserva del Litorale, la riserva di Decima-Malafede, la riserva di Castel Porziano, il Parco archeologico di Ostia-Portus - e ulteriori lembi verdi isolati o non sufficientemente connessi si prestano a una tematizzazione della continuità ecologica innervata sul Tevere, anche alla luce delle recenti acquisizioni in materia di Green Infrastructure veicolate dalla Strategia europea per la biodiversità.
La dimensione ambientale, l’heritage e un paesaggio composito segnato dalle metriche della bonifica otto-novecentesca suggeriscono di declinare la continuità della trama verde dalla scala di area vasta a quella di prossimità, ossia a livello di quartiere o di isola ambientale. Si pone concretamente l’opportunità di rendere interconnessi e fruibili gli spazi aperti attraverso sistemi di mobilità lenta in grado di affrancare la cittadinanza dalla dipendenza dall’automobile per i tratti di distribuzione in appoggio alla rete ecologica del Comune di Roma, in particolare alle sue componenti di completamento, anche sfruttando la presenza della linea ferroviaria Roma-Lido di cui è atteso il potenziamento.
Vi è poi un valore aggiunto che promana proprio dal Tevere, dalle sue storie e geografie, dal fitto reticolo di memorie materiali che ne punteggiano il corso e da richiami immateriali altrettanto presenti nella toponomastica e nella persistenza di una terminologia legata al fiume, alle economie e ai mestieri praticati nella Roma pre-unitaria (Segarra Lagunes, 2004; Battaglini, 2020), di cui si dà conto nelle pagine che seguono.

 

Il Tevere a Roma. Percezione, fruizione, rischio

In città, un denso tessuto edilizio occultava il Tevere a chi non ne avesse un contatto quotidiano e di necessità, risiedendo in prossimità o praticando mestieri ad esso legati: erano detti fiumaroli i barcaioli, ma anche chi nuotava o pescava nelle sue acque. Per estensione questo termine ha finito col designare anche chi praticava sport acquatici, a partire dai canottieri dei circoli storici della Roma post-unitaria e dagli intrepidi tuffatori di capodanno, sino ai frequentatori delle sponde per bagnarsi o rilassarsi al sole.
Nella città dei papi, erano molte le concessioni e i privilegi accordati per consuetudine secolare a famiglie di traghettatori, molitori, pescatori che con i loro ordigni sbarravano il passo alle imbarcazioni di piccolo cabotaggio; ma anche varie forme di uso regolate dal buon senso - i tintori erano soliti disporre i tessuti ad asciugare sui tratti ancora liberi delle rive presso Santa Lucia della Tinta su via Monte Brianzo, importante arteria che innervava il cuore della città  - e infine abusi come lo sversamento di macerie e rifiuti.
Operatori portuali, facchini, carrettieri presidiavano i terminali di Ripa Grande e Ripetta, sotto gli occhi dei negozianti ripali. Oltre a Ripetta, tre scali per legna e fascine provenienti dall’entroterra erano dislocati rispettivamente a monte di Piazza del Popolo, a Borgo, e infine a Santa Lucia della Tinta, dove i mercanti che si contendevano la lucrosa attività prendevano in affitto dei magazzini - legnare – per la vendita al dettaglio (Fig. 3).

Fig. 3. A. Chiesa, B. Gambarini, Pianta del corso del Tevere e sue adiacenze dallo sbocco della Nera fino al mare, 1744.
Oltre ai ponti Sant’Angelo, Sisto, Quattro Capi e Ponte Rotto, le cosiddette barche traiettizie, agganciate a un cavo teso tra le due sponde assicuravano l’attraversamento in corrispondenza del Porto di Ripetta, e più a valle, tra Via Giulia e Via della Lungara, all’altezza di San Giovanni dei Fiorentini, San Biagio della Pagnotta (il cosiddetto Passo della Barchetta ai Bresciani) e Sant’Eligio degli Orefici, di fronte alla Farnesina. Infine, a Ripa Grande vi era un posto barca detto “al canale”. Questi operatori del fiume vantavano da generazioni diritti perpetui sulle concessioni, dette privative, in cambio di un canone annuo versato alla dogana di Finanza. In questo periodo, si contano ben quattordici molini.

In definitiva, sin dal Medioevo “intorno al fiume e del fiume viveva una popolazione composita, formata in prevalenza da immigrati di varie nazionalità, che, oltre ad aver dato vita ad organismi confraternali e assistenziali, hanno modellato la struttura insediativa di alcune zone della città. È il caso del porto di Ripa, attorno al quale si insediano i genovesi, con il loro ospedale, o ancora, tutto da indagare, del porto di Ripetta, polo di attrazione per artigiani e lavoratori lombardi e schiavoni. L’area di Campo Marzio, strettamente collegata al porto di Ripetta, fu lottizzata e la forte concentrazione di nuovi insediamenti nei pressi del Mausoleo di Augusto sollecitò il riassetto urbanistico con il tracciato di una nuova via, e la costruzione degli ospedali confraternali di S. Rocco e di S. Girolamo” (Ait, Lanconelli, 2013).
Le vedute di Gaspare Vanvitelli (1653-1736) colgono il Tevere dai ponti, o ne lasciano intuire lo scorrimento ai piedi della vasta distesa di campi, pascoli e paludi di Prati di Castello, soggetta a frequenti allagamenti (Fig. 4). Qui, nella stagione estiva era consuetudine prendere il bagno nella vigna di proprietà dei fratelli Giuseppe e Pietro Paolo Gasperoni dirimpetto al porto di Ripetta: e ogni anno venivano erette delle capanne all’uopo in virtù di una privativa concessa in cambio di un canone annuo di due libbre di cera da pagarsi alla camera dei Tribunali nella vigilia di SS. Pietro e Paolo, che suscitava la profonda costernazione del rettore del Collegio clementino sulla opposta riva nei riguardi di una pratica assolutamente immonda per la buona educazione e tranquillità dei giovani religiosi e dei nobili e civili convittori (ASR, Camerale II).
Il capitolo del rischio idraulico, presente nelle cronache da tempi lontanissimi, viene affrontato con caparbietà dagli ingegneri Andrea Chiesa e Bernardo Gambarini impegnati a metà Settecento nella prima livellazione scientifica delle altezze di piena. I bassi fondali e il regime torrentizio avrebbero richiesto provvidenze di manutenzione continua del letto e delle sponde. Di fatto, “i lavori più significativi intrapresi dallo Stato Pontificio furono quelli di ristrutturazione dei porti di Ripa Grande e Ripetta e l’allargamento dei fossati di Castel S. Angelo; inoltre, vennero attuate opere di sistemazione delle rive e dei ponti, interventi talvolta significativi dal punto di vista urbanistico ed architettonico, ma irrilevanti da quello idraulico” (Enzi, 2006: 19).
Rispetto alle frequenti inondazioni dell’abitato per “effusione dal sottosuolo”, in relazione alla presenza di falde ricche di acqua, le rare e ben più rovinose alluvioni per straripamenti dall’alveo si manifestavano per la concomitanza di piene e alluvioni. Il fiume esondava in corrispondenza di ostruzioni stabili o accidentali: a Ponte Milvio, la corrente imboccava la via Flaminia fino a Porta del Popolo proseguendo lungo via del Babuino, via del Corso, via di Ripetta. La seconda rotta avveniva all’altezza di Ponte Sant’Angelo, mentre all’isola Tiberina, il Ponte Quattro Capi e diversi mulini galleggianti ne deviavano le acque a Trastevere, in riva destra, e a Marmorata e Testaccio, in riva sinistra, con risalite verso la Bocca della Verità e il Ghetto. La ricorrenza di questi fenomeni, l’ultimo dei quali risale alla rovinosa piena del dicembre 1870, è testimoniata ovunque nell’abitato con targhe commemorative.
Tra simbiosi e prevaricazioni reciproche, questa convivenza tra città e fiume è il frutto di una secolare consuetudine legata alla tutela dello status quo sia in termini di Forma urbis che di attività – come quella molitoria ritenuta necessaria alla sussistenza cittadina - regolate attraverso concessioni irrevocabili.

 

La risalita contr’acqua da Fiumicino a Ripa Grande

In età pontificia, la comunicazione con il litorale avveniva originariamente dalla foce del Tevere, collocata oltre i ruderi della antica Ostia. Tuttavia, per il consistente avanzamento della linea di costa si rende necessario, sotto il pontificato di Paolo V (1612), effettuare dei lavori di riapertura della Fossa Traiana, il canale artificiale realizzato in epoca imperiale che immetteva al Tevere, prolungandola fino al mare. Al 1662 risale la costruzione della Torre Alessandrina, con funzione di avvistamento, ma un secolo dopo, per l’ulteriore avanzamento del litorale, si decreta la realizzazione di una nuova torre, detta Clementina.
Nel primo Ottocento, il rinnovato impulso ai commerci sollecita due innovazioni significative: il progetto di Giuseppe Valadier per il borgo di Fiumicino (1819) e il rilancio del servizio del tiro contr’acqua da Fiumicino a Ripa Grande, garantito storicamente dai pontefici con forza lavoro umana: in effetti, il traino di barche con carichi superiori a 26 botti dalla chiesa di Ostia alla Ripagrande è menzionato sin dal 1594. In altri documenti figura la data del 1562, coincidente con la promulgazione dei cosiddetti Capitoli Ripali da parte di Pio IV.
Dal 1804, l’attività, la cui gestione e remunerazione spettano per secolari privilegi alla Mensa vescovile di Ostia, viene effettuata con il traino animale (Figg. 5,6). La famiglia di appaltatori che da generazioni svolge tale attività sarebbe tenuta a garantire dagli otto ai dieci tiri di bufali (un tiro è composto di 8 animali), nel pascolo recintato (procoio) della tenuta di Porto retrostanti il porto canale.
Su quella stessa banchina, dove mediamente ormeggiano due bastimenti al giorno, si affollano diverse figure di operatori portuali e addetti alle manovre di risalita fino a Ripa Grande, le cui attività e specializzazioni – veri e propri mestieri del fiume – sono regolamentate da una normativa minuziosa volta a reprimere abusi: tra questi il contrabbando, agevolato dai rudimentali controlli delle merci in arrivo a Fiumicino in attesa di una puntuale verifica al terminale romano, e soprattutto dalla obbligata sosta notturna a Mezzo Cammino. Il controllo alla dogana di Fiumicino è di tipo nominale: dietro dichiarazione sulla parola degli stessi padroni di barca, presentazione del manifesto (ossia la nota dettagliata di tutto ciò che forma il carico), e delle polizze di assicurazione, i commissari incaricati rilasciano, insieme al numero d’ordine progressivo con cui si disciplinano i turni di risalita, la bolletta recante dati su quantità e qualità che verrà poi ritirata presso la dogana di Ripa.
Tra gli operatori incaricati di assistere i padroni di barca nelle complicate manovre di ingresso, il pilota di porto da una lancia conduce le manovre, assistito da un sostituto, avvalendosi di due Argani solidi, e ben forniti; l’uno sulla punta della Passonata, alla imboccatura del Fiume, e l’altro più indietro vicino alla Torre Clementina. E’ poi la volta dei piloti di fiume che prendono la conduzione delle imbarcazioni sino a Ripa Grande.
Successivamente, specifiche disposizioni vengono emanate per l’alleggio, ossia le attività di trasferimento delle merci dalle navi in arrivo al porto canale su agili legni di fiume - burlotti, lance, o qualunque altro legno che serva ad alleggerire i bastimenti tanto in mare, che lungo il fiume - in grado di risalire senza inconvenienti i bassi fondali del Tevere sotto la direzione dei navicellari (Fig. 7).
Espletate le operazioni alla banchina di Fiumicino, inizia l’attesa del tiro. I consoli esteri lamentano le inadempienze contrattuali dell’appaltatore, o del suo fiduciario, che tiene le bufale al posto detto Mezzo Cammino lontano da Fiumicino all’incirca 14 miglia, dove è invece prevista la sosta notturna. L’appaltatore a sua volta lamenta che il proprietario della tenuta di Porto, acquistata dalla Mensa vescovile nel 1796, accampa pretese sul servizio del tiro, negandogli l’uso del pascolo come forma di ritorsione.
Le perduranti difficoltà inducono, senza troppo successo, alla emanazione dell’Editto di sistemazione del tiro de’ bastimenti dalla foce del Tevere alla Ripagrande di Roma (9 marzo 1823). Tra i diritti dell’appaltatore figura (art. 1): l’uso della strada sulla riva da mantenersi sempre nella larghezza di quaranta canne dal mare fino al fosso denominato Fonzino, e dal medesimo fosso fino alla detta Ripagrande per palmi quaranta, nulla ostante qualunque corrosione o dilatazione del canale. Si ribadisce la posizione dei due imposti concordati con l’appaltatore, il primo nella maggiore prossimità possibile alle passonate di Fiumicino, e quello di Mezzo Cammino.
Le operazioni doganali a Ripa Grande si effettuano dalle 7 alle 11 del mattino, e si concludono con la consegna ai padroni di barca di una bolletta stampata con una ricognizione analitica delle merci, indispensabile per la loro successiva estrazione dai cancelli della Dogana da effettuarsi soltanto negli orari lavorativi, con evidente disagio dei negozianti ripali. Meccanismi di controllo riguardano i generi di piazza (grano, biada, fieno, vena di ferro, sale, legno), diligentemente annotati sui libretti dei commissari, e successivamente in quelli del ministro del Passo, incaricato di verificare le quantità, con l’aiuto di pesatori camerali (se a peso) e di stimatori, se a misura. I generi di dogana sono sottoposti a serrati controlli formali e sostanziali che prevedono una mobilitazione a catena dell’intero personale doganale, tra cui spicca il computista, sorta di ragioniere generale che ha facoltà di avviare le opere di sdoganamento anche in assenza del governatore, il più alto ministro in carica.

Fig. 7. Una caratteristica Chioda, formata da legnami da lavoro collegati con chiodi, funi e cavicchi condotta per fluitazione con tavole o pertiche. La terminologia per le imbarcazioni di fiume comprende anche: Barca: imbarcazione a fondo piatto senza coperta e albero, con prua e poppa rilevate, condotta a rimorchio; Barchettone: grande barca da trasporto; Barcone: barca ampia di scarso pescaggio usata per alleggio; Ciarmotta: imbarcazione a fondo piatto, prua e poppa rilevate, senza coperta, con palchi all’estremità, grande timone; Navicello: imbarcazione da trasporto e alleggio (300 a 350 rubbia di capienza, 80 tonnellate); Tartana: bastimento da carico condotto all’alzaia. Per il trasporto di terra si utilizzavano carrette, di misure prefissate.
In: Scavizzi, C. P. (1991). Navigazione e regolazione fluviale nello Stato della Chiesa fra XVI e XVIII secolo, Roma 1991.  L’immagine è tratta da: Alessandro Specchi, "Prospetto del nuovo navale di Ripetta fabbricato sotto i gloriosi auspici di N.S. Papa Clemente XI".

L’introduzione del rimorchio a vapore (1842) rende più rapida e agevole la risalita dei bastimenti da Fiumicino a Ripa Grande e più efficiente la riscossione da parte dello Stato delle entrate doganali legate al movimento delle merci. Il servizio è una gestione statale affidata alla Soprintendenza dei Piroscafi, istituita come sezione della Pontificia Direzione Generale delle Dogane. Dalla nuova organizzazione il commercio fluviale trae un beneficio attestato dall’aumento delle merci che approdano a Ripa Grande (circa 1/3 in più). Le finanze statali registrano in questi anni un incremento delle entrate fiscali.
Tale organizzazione viene messa in crisi all’inizio degli anni Sessanta dell’Ottocento dalla concorrenza esercitata dalle ferrovie (si tratta della linea Civitavecchia-Roma); innanzitutto per la maggiore economicità e rapidità del nuovo servizio, e inoltre per la costruzione del Ponte dell’Industria inaugurato nel 1863 per consentire il prolungamento della linea fino alla stazione di Termini che, collocato a valle di Ripa Grande, è di ostacolo al passaggio delle imbarcazioni.


Conclusioni

Da qualche anno, la riattivazione del Tevere e delle sue banchine risulta in pieno svolgimento con eventi culturali, manifestazioni sportive ed escursionistiche culminate nel Tevere Day organizzato a fine 2019. La cittadinanza non solo risponde, ma organizza e si organizza nella riappropriazione delle sponde, richiamandosi ad esigenze di percezione, accessibilità e fruizione. Tra Roma e il mare, tra aree densamente abitate e lembi quasi intatti di campagna romana, si segnala una iniziativa che ha raccolto l’adesione dei comitati dei quartieri adiacenti ma separati dal fiume da un fascio infrastrutturale imponente e ad oggi invalicabile: sul rilevato dell’argine, il Sentiero Pasolini percorso da ciclisti, camminatori e abitanti è riuscito ad aprirsi un varco tra canneti e recinzioni innalzate su terreno demaniale: concessioni e abusi rinviano a un orizzonte dei diritti sfocato e lacunoso che pone domande alla gestione del bene comune. Qui, il Contratto di Fiume del Tevere tra Castel Giubileo e la Foce, chiamato a tematizzare le interdipendenze tra tutela ambientale e altri ambiti di intervento pubblico, potrebbe catalizzare idee, memorie, narrazioni su un patrimonio materiale e immateriale che nel giro di qualche generazione è altrimenti destinato a svanire.
Vi è poi un’ambizione che oltrepassa Roma, quella di una Capitale sul Mediterraneo (Bonvino, D’Ausilio, 2013). La centralità geopolitica di Roma e la centralità del Mare Nostrum, su cui affacciano 25 nazioni, non hanno bisogno di essere ribadite: qui si concentra quasi il 7% della popolazione mondiale, di cui è prevista una forte crescita, a carico dei paesi del sud (+105 milioni di abitanti al 2040 rispetto al 2013) e una consistente espansione economica (+ 2,3% all’anno). In ragione di questi numeri, la sfida della sostenibilità, al centro degli impegni internazionali, assume qui un particolare rilievo (MEDENER et al., 2014). L’UE ha incentrato il prossimo ciclo di programmazione 2021-2027 su temi di ricerca in piena consonanza con tale centralità: città a basso impatto ambientale, una nuova gestione degli ecosistemi marini e dell’acqua, riduzione dell’impatto antropogenico sul cambiamento climatico, uso sostenibile delle risorse naturali.
Un progetto che collochi Roma all’altezza di queste sfide e della sua storia millenaria richiede innanzitutto capacità di visione per trasformare in opportunità alcuni fattori percepiti come disruption, che sono in realtà i portati ineludibili della globalizzazione, diversa ma simile a quella che la Capitale dell’Impero seppe promuovere e gestire con lungimiranza, con le sue continue ondate di immigrazione e assimilazione. Un progetto che, di conseguenza, richiede alla macchina politico-amministrativa una road map da perseguire con perseveranza e flessibilità.




Riferimenti bibliografici

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Battaglini, E. (2020). Il Fiume tra simbolizzazione dello spazio e fruibilità del territorio. In: Nuvolati, G., Enciclopedia sociologica dei Luoghi, https://www.enciclopediasocioloficadeiluoghi.it/
Bonvino, G., D’Ausilio, F. (2013). Una capitale sul mare, F.lli Palombi editori.
Cialdi, A. (1845). Delle barche a vapore e di alquante proposizioni per rendere più sicura e più agevole la navigazione del Tevere, e della sua foce in Fiumicino, Tip. delle Belle Arti.
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D'Onofrio, C. (1980). Il Tevere, Romana Soc. Ed.
Enzi, S. (2006). Le inondazioni del Tevere a Roma tra il XVI e XVIII secolo nelle fonti bibliotecarie del tempo. In: Mélanges de l'École française de Rome. Italie et Méditerranée, tome 118, n°1 :13-20. https://www.persee.fr/doc/mefr_1123-9891_2006_num_118_1_10284
Oberholtzer, F. (1878). Sistemazione del Porto Canale di Fiumicino. Progetto di massima, Tipografia dei fratelli Pallotta.
Polci, S., a cura (1996). L’ingegno del Tevere: attraverso vicende storiche, valori ambientali, progetti e risorse inespresse, Mediocredito.
Rasi, G.B. (1827). Sul Tevere e sua navigazione da Fiumicino a Roma, Tipografia Perego Salvioni.
Scavizzi, C. P. (1991). Navigazione e regolazione fluviale nello Stato della Chiesa fra XVI e XVIII secolo, Edilstampa.
Segarra, M.M. (2004). Il Tevere a Roma. Storia di una simbiosi, Gangemi.