La città artistica

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Cesare Manzo e Fuoriuso. Ricordo di una manifestazione d’arte contemporanea a Pescara e del suo patrono.
Massimiliano Scuderi PDF




Era nato al quartiere della Marina sud di Pescara Cesare Manzo, un quartiere dove ogni persona ha un soprannome, una storia. Dopo un inzio con la distribuzione dei giornali per tutta la Regione, attività di famiglia, aprì un’ edicola in via l’Aquila. In quegli anni Pescara era un luogo vergine ed interessante, tra indiani metropolitani, agit prop e pseudo hippies, la varia fenomenologia che caratterizzava l’intera provincia italiana tra il ‘77 e gli anni ottanta. Ma nel contempo in città cresceva una vocazione, quella per l’arte contemporanea grazie alle gallerie di Mario Pieroni, mercante di antiquariato, e Lucrezia De Domizio, moglie del barone Buby Durini, i quali permisero di far diventare Pescara in breve tempo il crocevia delle avanguardie artistiche. Pistoletto, De Dominicis, Fabro, Paolini e tanti altri frequentaro a lungo le case e i luoghi d’Abruzzo. Kounellis ebbe persino una casa accanto a quella della madre dell’oriundo Ettore Spalletti a Cappelle sul Tavo.
Cesare, uomo del popolo e senza grandi patrimoni sui quali contare, grazie alla frequentazione di artisti e amici appassionati d’ arte, ebbe il coraggio di aprire una galleria proponendo mostre di Nagasawa, Mattiacci, Charlemagne Palestine e giovani locali come Antonio Marchetti. Si trasferì poi a Milano dove organizzò mostre importanti curate dall ’Alinovi ad esempio. Ma dovette abbandonare, ripiegando verso i lidi familiari.
Alla fine degli anni ottanta le mostre Softland ad Ortona e Dannunziana negli spazi di quella che sarebbe divenuta la sede dell’ Università di Chieti-Pescara in viale Pindaro, con artisti come Richard Long e Alice Aycock, aprirono la strada ad una necessità impellente: quella di dotare il territorio di uno spazio museale aperto e fruibile da tutti. Ma come fare? Manzo ebbe la grande idea di occupare spazi abbandonati e restituirli alla cittadinanza, più o meno agibili, come musei temporanei, una manifestazione internazionale che venne chiamata per le sue caratteristiche specifiche, Fuoriuso. Il primo spazio interessato fu l’Aurum di Michelucci nella pineta dannunziana, una kermesse che da quell’edizione in poi permise per vent’anni, ogni anno in base ai fondi, di organizzare mostre internazionali coinvolgendo curatori e artisti di fama mondiale come Kosuth, Steinback, Acconci tra i tanti, lanciando giovani promettenti come Paola Pivi e Vanessa Beecroft.
Un esempio concreto di come si può rigenerare un tessuto urbano fuori dalle retoriche degli studi accademici e delle astratte speculazioni. Un modo per aggregare una comunità creativa senza ricorrere alle formule di Richard Florida, ma con il senso del lavoro collettivo per uno scopo comune. L’estetica introdotta da Fuori Uso nasceva dal collocare i lavori d’arte in spazi diversi da quelli convenzionali come gallerie o musei, dal riportare l’arte in una condizione che potremmo definire di drammaticità del quotidiano, innescando un processo artaudiano di catarsi attraverso il disagio e la meraviglia dello spettatore. Un inceppo nel meccanismo espositivo decodificato, per cui alla perdita dell’aura cultuale corrispondeva una percezione dell’opera come necessaria visione del quotidiano. Un’esperienza nata nel segno di altre ad altre latitudini, basti pensare all’Anarchitecture di Gordon Matta Clark e al suo ristorante Food aperto con la moglie Carol Goodden, o a tutti gli artists run space che proliferarono tra Soho e Little Italy, in spazi abbandonati e nei loft di New York in quegli anni fenomenali. Cesare era Fuoriuso, bastava averlo frequentato anche solo un giorno e aver cenato con lui in una delle sue case, essendo pressocchè un nomade stanziale. La sua energia, la forza di aggregare giovani pieni di speranze, di sogni misti di utopia e  libertà. Di dare voce ad una periferia ‘senza rughe’ che in quegli anni aveva voglia di accorciare le distanze dal centro, avendo dalla sua solo un modello estetico alternativo, producendo cultura e attraendo i protagonisti dell’arte, locali,  nazionali ed internazionali.
Tra le sfide affrontate dal gruppo di Fuoriuso, perché tale era, il ribaltamento del tir di Paola Pivi, il taglio di solai e pareti di Micol Assael e Jorge Peris, e anche il tunnel optical di Getulio Alviani, oggi parte di quel patrimonio di opere di interesse del Museo Diffuso (MUD), progetto promosso unitamente dalla Fondazione Zimei e dalla Fondazione Aria.
Cesare Manzo è stato forse l’unico promotore culturale del territorio, tra ambizioni smisurate e scarsità di risorse.  Riuscì negli anni a contribuire alla crescita culturale, e non solo, di Pescara, attraverso le innumerevoli iniziative come quelle promosse insieme alla Facoltà di Architettura o con vari istituti europei per un’edizione del programma EU Cultura 2000, oggi Creative Culture, che lo vide protagonista non solo in italia ma anche a Bucarest e Budapest o partner del progetto Eu_japan, face to face promosso sempre dalla Facoltà di Architettura di Pescara Chieti e dal Mibact.
Cesare mancherà a molti, non a tutti, ma questo appartiene alle personalità complesse e controverse come la sua. Il suo lascito è grande e speriamo che qualcuno sappia raccoglierlo dando seguito ad un’importante stagione della storia dell’arte contemporanea, forse ancora poco conosciuta.