Progetto urbano/4 Posizioni

torna su

Verso una nuova centralità ecologica dell’ambiente costruito
Maria Teresa Lucarelli
PDF




Parole chiave:    
strategie ambientali, resilienza, qualità urbana, approccio prestazionale




Abstract:

Il reiterarsi negli ultimi anni di gravi eventi ambientali, in particolare di quelli climatici che investono pericolosamente le aree urbanizzate, ha riproposto come centrale il tema della “qualità” delle città; tema che richiede oggi una riflessione ampia, oltre che un consapevole ripensamento, non solo rivolto alla sostenibilità/rigenerazione delle stesse ma ad una attenta verifica della capacità di resilienza ad eventi violenti. Preso atto che, ad oggi, l’obbiettivo di attuare una diffusa politica di prevenzione non sembra essere stato raggiunto, il contributo vuole evidenziare la necessità/urgenza di ricondurre ad una “nuova” centralità ecologica il tema dell’ambiente costruito attraverso un approccio resiliente, occasione di trasformazione   e rinnovamento della qualità delle città.



Strumenti per la gestione ecologica dell’ambiente urbano


I gravi effetti, conseguenza dei cambiamenti climatici che ormai da tempo interessano nelle aree urbanizzate, sono un fatto evidente: si è passati da eventi puntuali e come tali considerati straordinari, a fenomeni che, reiterandosi, stanno diventando una pericolosa “normalità” senza di converso aver attuato, nella stragrande maggioranza delle situazioni a rischio e di rischio, le necessarie politiche di adattamento e di mitigazione da tempo individuate.
Prima di entrare nello specifico tema che riconduce alla necessità di ri-mettere al centro del progetto urbano le tematiche ambientali, di sostenibilità e di resilienza, come ineludibile risposta agli eventi  del climate change, è opportuno riflettere sui numerosi passaggi che da quasi cinquant’anni hanno segnato il passo ipotizzando, forse anche prevedendo, i gravi fenomeni che caratterizzano il nostro tempo; fenomeni sottovalutati a scala globale ma forse ancor più a scala locale ed in particolare nelle aree urbanizzate, fortemente in crescita, dove la cementificazione incontrollata, l’inquinamento di fondo di varia natura , l’uso improprio del suolo e la cattiva gestione della acque stanno ulteriormente aggravando una situazione ambientale già al limite del non ritorno, su cui  grava in modo significativo la crisi  socio - economica dell’ultimo decennio.
Il comprendere quindi come i numerosi strumenti in materia di lotta al riscaldamento climatico (resilienza)  e in materia di  salvaguardia delle risorse  (sostenibilità), analizzati comparativamente e congiuntamente,  possano contribuire  in modo concreto alla gestione del territorio e  delle città, consente di sviluppare un ragionamento condiviso sulla  necessità/ urgenza di ricondurre il progetto  della città e del territorio ad una “nuova” centralità ecologica avendo come obiettivo primario il ristabilire l’equilibrio tra uomo, i suoi comportamenti e l’ambiente, naturale o artificiale che sia.
E’, dunque, dalla fine degli anni Ottanta che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), si occupa su basi scientifiche dei cambiamenti climatici dovuti al progressivo aumento della CO2 in atmosfera come conseguenza delle attività umane. I "rapporti di valutazione" periodicamente diffusi dall’Ente sono alla base di importanti accordi mondiali che hanno portato nel ‘92 alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante il Summit di Rio de Janeiro; successivamente, nel ’97, al Protocollo di Kyōto voluto per contrastare le progressive emissioni di gas climalteranti, considerati già allora “il problema” dell’era moderna. Sebbene negli anni siano stati fatti passi importanti, al COP21 di Parigi, nel 2015, i Paesi partecipanti (ben 196) hanno concordato di ridurre la loro produzione di CO2 "il più presto possibile" e di fare “del loro meglio” per mantenere il riscaldamento globale "ben al di sotto di 2 °C" rispetto ai livelli pre-industriali; esiti vaghi e assolutamente insoddisfacenti come ribadito nella recente Conferenza delle Nazioni Unite (COP24) sul global warming, svoltosi nella città polacca di Katowice, nel dicembre 2018, dove 15 Capi di Stato hanno sottolineato come le  misure adottate dalla comunità internazionale a seguito  dell’incontro di Parigi, non  siano sufficienti a raggiungere gli obiettivi a lungo termine stabiliti nell’accordo stesso, come d’altra parte confermato  nel Rapporto “Emissions Gap 2018 dell’UNEP, appena pubblicato. Appare quindi chiaro che pur di fronte all’evidenza della gravità del problema stiano prevalendo gli interessi dei singoli Stati e non solo quelli dalle economie emergenti1.
Anche il nostro Paese che aveva sottoscritto un obiettivo di riduzione delle emissioni del -6,5%, entro il 2012 ad oggi non ha raggiunto il traguardo né sembrerebbe avere le condizioni per farlo per il 2030, come stabilito nella conferenza Parigi, attraverso la riduzione delle emissioni del 33% a quella data: con le misure nazionali in atto e con quelle già decise, le emissioni si ridurrebbero solo del 24%, mancando quindi il suo target per ben il 9%. Le maggiori problematicità l’Italia le avrebbe proprio nei trasporti e nel sistema del costruito, dove le emissioni diminuirebbero solo del 20%.
È da rilevare, tuttavia, che negli ultimi anni la politica energetica nazionale2 sembra aver portato effetti positivi se pur, di per sé, (evidentemente) non adeguati a produrre esiti soddisfacenti rispetto ai fenomeni, accertati, di riscaldamento climatico. Si è in attesa del nuovo Piano Nazionale Clima ed Energia, preannunciato per il 2018 nel quale devono essere indicati i provvedimenti che l'Italia intende prendere per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas climalteranti adottando misure che prevedano la messa in efficienza energetica, l’incremento delle rinnovabili, il controllo delle emissioni attraverso la mobilità sostenibile ed il sostegno all’ economia circolare.  Il Piano si pone come obiettivo una relazione stretta con la Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile (SNSvS) approvata dal CIPE nel Dicembre 2017 che «[…]assume una prospettiva più ampia e diventa quadro strategico di riferimento delle politiche settoriali e territoriali in Italia, disegnando un ruolo importante per istituzioni e società civile nel lungo percorso di attuazione, che si protrarrà sino al 2030».
In attesa dell’attuazione in particolare della SNSvS, documento strategico ampio e di forte valenza etica ma, come tale, di non facile applicazione, ci si domanda quale sia lo stato di attuazione di strumenti di gestione locale quali – per citarne alcuni – l’Agenda 21 locale,3 derivata dall’applicazione della Carta di Aalborg  per le Città Sostenibili; oppure il Patto dei Sindaci4 nato dieci anni fa per sostenere il raggiungimento dell'obiettivo comunitario di riduzione del 40% dei gas serra entro il 2030, e, quindi, se abbiano ancora efficacia essendo strumenti a base volontaria non sempre recepiti come opportunità di miglioramento ambientale e di sviluppo  dei territori. Sebbene le adesioni siano molteplici a livello Europeo, e non poche a livello nazionale, esiste un’evidente discrasia tra la volontà di agire e la concretezza del fare.
Nonostante i numerosi documenti strategici emanati negli anni, l’obiettivo di attuare una diffusa politica di prevenzione se pur diversamente declinata, non sembra essere stato adeguatamente raggiunto, almeno nel nostro Paese, se non in alcune realtà da sempre attente e partecipative. Viviamo, oggi, in uno stato di emergenza anche sociale ed economica – negazione quindi di quei principi di sostenibilità tanto auspicati – che porta a individuare nella resilienza5 ovvero nell’adattamento ai cambiamento, climatico in particolare, oltre che nella mitigazione  degli effetti, una possibile soluzione alla mancata attuazione di opportune politiche urbane, che per la natura strategica e/o di  visione preventiva dovevano promuovere negli anni azioni in grado di risolvere “problemi “ complessi  (Camagni, 2003) e allo stesso tempo anche di prevenire e/o contrastare  eventi calamitosi. Resilienza che per molti studiosi può, di converso rappresentare un’occasione di “innovazione concettuale” (Rigillo, 2015) utile per innescare una riflessione sulla necessità di una visione olistica e integrata dell’ambiente urbano, attualmente molto parcellizzata e, come tale, non organica rispetto alle azioni da mettere in atto e, non secondariamente, all’impegno delle risorse finanziare da dedicare. In definitiva un “ritorno a uno stato di equilibrio in termini di conquista di una nuova stabilità, non necessariamente identica alla precedente” che sta alla base del concetto di “resilienza evolutiva” (Davoudi et al. 2012) e ”[…] che suggerisce un’idea nuova di progettualità in termini di processo rigenerativo che evolve, riconoscendo e trasformando le risorse disponibili” (Perriccioli e Ginelli,2018)
La premessa è necessaria perché, come si evince dal Dossier di Lega Ambiente "Ecosistema Urbano"6 del 2018, molto deve ancora essere fatto per considerare accettabile la situazione ambientale della maggior parte delle nostre città e la conseguente qualità della vita. Un tema su cui si discute, si ricerca, si teorizza da anni, ma che non riesce a trovare risposte adeguate, pur essendo maturata una presa d’atto generalizzata della complessità dei problemi in gioco.
In sintesi, si prende positivamente atto come, da qualche tempo, varie Istituzioni e Associazioni stiano mettendo a punto diversificate strategie, anche ampie ed esaustive nella visione, per far fronte ai numerosi e gravi problemi che investono il Paese; il limite/criticità sta proprio in questa eccessiva frammentazione che diventa pretesto per non agire. Ed è la mancanza di azioni concrete, perpetrate nel tempo, che rende fortemente problematica la situazione ambientale nelle città soprattutto nelle grandi dove l’incuria, la mancata manutenzione e spesso l’indifferenza politica si sommano negativamente. Il continuare a procedere, irrazionalmente, senza la guida di una strategia complessiva e condivisa e un'adeguata organizzazione nella sistematizzazione degli indirizzi ed anche nell’uso delle risorse dedicate, porterà inevitabilmente a un “collasso” per altro da anni preconizzato.

La resilienza, opportunità per una nuova qualità urbana

Il susseguirsi negli ultimi anni di gravi eventi ambientali ha riproposto come centrale il tema della “qualità” urbana; tema che, trattato nel tempo in modo esteso e sotto diverse angolazioni, richiede oggi una riflessione ampia, oltre che un consapevole ripensamento rivolto non solo alla sostenibilità/ rigenerazione delle città ma anche alla attenta verifica della capacità di adattamento ad eventi violenti, in parte preannunciati ma per lo più inattesi. Un “adattamento al futuro”, responsabile che consenta di coniugare crescita demografica qualità della vita, sicurezza, salute con i temi emergenti della resilienza.
Si ripropone quindi il ragionamento sulla mancata attuazione delle numerose strategie di controllo ambientale e di sviluppo urbano, ritenute basilari ma che per una pervasiva e generale immobilità della società italiana e, soprattutto, delle amministrazioni pubbliche, registrano scarsa attenzione e prevalenti insuccessi.
C’è quindi urgenza di far fronte agli eventi calamitosi – climatici nello specifico – che nelle aree urbanizzate manifestano gli effetti più gravi: alluvioni, piogge torrentizie, ondate di calore e crescente siccità rappresentano la maggiore problematicità per la vivibilità delle città con ricadute gravi sulla salute e il benessere degli abitanti; effetti ulteriormente acuiti proprio dalla mancata attuazione delle politiche ambientali e urbane che, negli anni, hanno avuto come conseguenza l’accrescersi di una urbanizzazione disordinata, maggior consumo di suolo,  mancato controllo delle acque di superficie e delle relative reti, inadeguata  raccolta e smaltimento dei rifiuti, crescente inquinamento atmosferico di fondo;  tutti effetti che fungono  da moltiplicatori di eventi  e come tali  elementi di “vulnerabilità” e “fragilità” al pari dei più gravi fenomeni sismici e dei dissesti idrogeologici. Fragilità e la vulnerabilità7 evidenti, che richiedono pertanto azioni di intervento concrete per far fronte ai danni ambientali e parallelamente alla obsolescenza tecnica e funzionale dell’ambiente costruito. Sono, infatti, le città, luoghi artificiali densamente edificati e intensamente antropizzati, che presentano limitata capacità di resistenza agli shock ambientali, dimostrando allo stato attuale scarsa resilienza, al contrario degli ambienti naturali più predisposti a rigenerarsi.
Per questa ragione conoscere e poi accrescere la capacità resiliente di un sistema, in particolare quello urbano,consente di affrontare la complessità e divenire quindi opportunità per ri-pensare la qualità della città,non solo come interventi in emergenza, ma innesco di processi di trasformazione dell’ambiente costruito derivati dalla conoscenza della fragilità e vulnerabilità di quel dato contesto. Tenendo conto dell’attitudine resiliente del sistema analizzato, si possono proporre nuovi modelli dell’abitare, dove la sostenibilità sociale, ambientale ed economica può trovare una rinnovata dimensione in considerazione delle ormai inevitabili trasformazioni climatiche in atto.
Come intervenire? In primo luogo occorre pensare in modo resiliente (resilient thinking) ovvero con una visione sistemica che, pur attinente all’osservazione generale dei fenomeni, è determinante per la comprensione della loro complessità e per consentire successivamente interventi mirati e adeguati allo specifico contesto.  Ne consegue la necessità di adottare un approccio predittivo e anticipatorio ovvero passare attraverso la conoscenza preventiva del rischio, come condizione hazard-specific/site-specific, per comprenderne la gravità e/o pericolosità ed anticiparne gli effetti. È poi importante valutare gli impatti conseguenti e le condizioni di stress che si determinano sui sistemi antropizzati e sull’edificato, utilizzando opportune metodologie e protocolli. Infine è indispensabile intervenire mettendo in atto due tipi di strategie, tra loro complementari e non alternative: una di tipo adattivo volta al rapido ripristino delle condizioni di equilibrio, favorendo l’innalzamento delle prestazioni dei sistemi e quindi le loro capacità resilienti; l’altra di mitigazione, indirizzata a minimizzare gli impatti derivanti da eventi estremi attraverso piani di attenuazione del rischio. Entrambe necessarie non solo a far fronte in emergenza alla risoluzione del danno ma, proattivamente, a migliorare la qualità dell’ambiente costruito; un rinnovamento, dunque, “in grado di mantenere la funzionalità del sistema e la sua riconoscibilità(Holling e Gunderson, 2002).
Se, come in precedenza detto, la resilienza può rappresentare un’occasione di trasformazione e rinnovamento della qualità delle città, il progetto resiliente rappresenta un’opportunità per incrementare le prestazioni di un sistema – territoriale, urbano o edilizio – in funzione delle nuove esigenze generate dai cambiamenti in atto: contesti che si modificano o che potrebbero subire modificazioni, in particolare a seguito di eventi calamitosi, richiedono necessariamente l’individuazione di nuovi requisiti “[…] per integrare in termini di capacità adattiva la richiesta di efficienza ecologica dell’habitat umano(Angelucci, Di Sivo, Ladiana, 2013).
Ecco quindi, che il quadro esigenziale-prestazionale assume nuove valenze che devono preludere a una visione ecologica, olistica  e dinamica – ovvero in trasformazione - dell’ambiente  costruito: “[…] resilience is based on the shifting relationship between scales, and between autonomy on the one hand and connectivity on the other.8: quindi relazioni ed interazioni alle varie scale, tra organismi edilizi e reti infrastrutturali, tra  servizi ecosistemici e territorio, ognuno con la propria riconoscibilità ma tutte parti di un sistema complesso, interconnesso.
Dunque l’approccio esigenziale-prestazionale, che la Tecnologia dell’Architettura ha fatto proprio fin dagli anni ’70, può contribuire a rafforzare la qualità delle scelte progettuali necessarie a concretizzare le numerose strategie di miglioramento dell’ambiente costruito, alla luce dei sempre più frequenti eventi calamitosi? Sicuramente può essere un metodo perseguibile per rispondere alle esigenze dell’utenza attraverso scelte progettuali appropriate; è tuttavia auspicabile un aggiornamento delle classi esigenziali in relazione ai temi di fragilità e vulnerabilità di cui i sistemi antropizzati soffrono; soprattutto occorre pensare alla resilienza come una nuova classe di requisiti che tenga conto degli effetti sinergici che i vari sistemi, ambientali, sociali ed economici posso generare non solo nello specifico contesto, «La premessa… dunque…è che esigenze e requisiti contemplino una complessità di interazioni che vanno ben oltre l’organismo architettonico, ovvero si estendano a tutti i servizi ecosistemici del territorio e alle componenti del sistema urbano, in particolare all’insieme del costruito e delle reti infrastrutturali (del trasporto, della mobilità, dell’energia e delle informazioni» (Casciaro, Fiore, Iori, Montella, 2018)
Un ultima considerazione, per concludere, che rimanda alla partecipazione come momento di condivisione e di coinvolgimento attivo e responsabile. Ogni comunità ravvede nel proprio territorio di appartenenza quei riferimenti identitari forti che ne consentono il riconoscimento; questi riferimenti, materiali ed immateriali che siano, rappresentano la base imprescindibile della progettazione resiliente, che deve contenere nel suo approccio tutti gli elementi necessari a far crescere la consapevolezza sociale e la responsabilità culturale delle trasformazioni dell’ambiente costruito. Un'azione sinergica auspicabile tra la progettazione resiliente e sostenibile e la partecipazione consapevole ed attiva ( Lucarelli, Mussinelli, Daglio, 2018).




L’Autore

Maria Teresa Lucarelli
Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura presso il Dipartimento dArTE, dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è Presidente della Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura – SITdA e Direttore della Rivista TECHNE (Classe A). E’ inoltre responsabile scientifico dell’U.O. APSIA – Analisi e Progetto per la Sostenibilità e l’Igiene Ambientale, presso il dArTE, dove svolge attività di ricerca sui temi della qualità energetico-ambientale a scala sia edilizia che urbana. E’ autore di monografie oltre che di numerosi saggi su riviste e manuali.




Note

1. Si rimanda alla lettura dell’editoriale, in due parti, di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club Italia, pubblicato sulla rivista-portale “Quale Energia.it “,n.5/2018.
2. Tra gli strumenti più innovativi a livello locale, si ricordano i Piani d’azione per l’energia sostenibile (Paes) che devono individuare misure e azioni atte a raggiungere o superare, nel proprio territorio, l ’obiettivo comunitario di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020.
3. Il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane riunitosi a Modena per parlare dei rischi per le città connessi ai cambiamenti climatici ha proposto consapevolmente un'agenda tematica per integrare i Piani d'Azione Locale per l'Energia Sostenibile (PAES) con azioni, misure e interventi per rendere più sicure le città e i territori. Le proposte sono state discusse da esperti dalle competenze multidisciplinari - urbanisti, geologi, climatologi, agronomi e ingegneri ambientali - al fine di validare gli strumenti di governance urbana più idonei a contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
4. Il Patto dei sindaci è un protocollo della Commissione Europea che impegna i firmatari, a redigere entro un anno dall’adesione l’Inventario di base delle emissioni di CO2 prodotte sul proprio territorio e a diffondere ogni due anni un monitoraggio degli avanzamenti del piano.
5. Si rimanda al documento del Ministero dell’Ambiente sulla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (2017)
6. Nel Dossier di lega Ambiente  2018 realizzato con il contributo scientifico di Ambiente Italia si stila una graduatoria delle città capoluogo italiane in cui la qualità urbana e quindi la qualità di vita presentano le migliori performance ambientali……eliminando il cliché del centro urbano ricco, medio-piccolo settentrionale come luogo predestinato alla qualità ambientale; ed evidenziando  invece il  divario tra città formica, laboriose, e città cicala, che assecondano la crisi ambientale ed urbana.  
7. Si riportano le considerazioni di alcuni ricercatori sul tema della fragilità e vulnerabilità in relazione a fattori endogeni o esogeni al sistema in analisi: i sistemi sono vulnerabili quando subiscono delle conseguenze a causa del loro grado di esposizione a fattori di stress, mentre sono fragili quando perdono le loro caratteristiche a prescindere dalla natura dei fattori di stress ai quali sono esposti. La vulnerabilità è suscettibilità esogena mentre la fragilità è suscettibilità endogena.
8. ll City Resilience Framework, è un documento sviluppato da Arup nel 2015, con il supporto della Rockefeller Foundation, basato su ricerche approfondite in 100 città. Fornisce un indirizzo per comprendere la complessità delle città e i driver che contribuiscono alla loro capacità di resilienza. Fare riferimento a questi driver può aiutare le città a valutare l'entità della loro capacità adattive e a identificare le criticità individuando azioni e programmi per migliorare la propria capacità di ripresa.

 

Riferimenti bibliografici
Angelucci F., Di Sivo M., Ladiana, D. (2013), “Reattività, adattabilità, trasformabilità: i nuovi requisiti di qualità dell’ambiente costruito”, TECHNE, vol. 5/13 FUP Ed.
Camagni R., (2003), Città, governance urbana e politiche urbane europee, in «disP- The Plannin Review», Zurigo
Casciaro S., Fiore C., Iori D., Montella I., (2018) “Logica Prestazionale e Aggiornamento delle Classi Esigenziali in Lucarelli M.T., Mussinelli E., Daglio L., (a cura di),  “Progettare resiliente”, Maggioli Ed, Milano
Davoudi, S. et al. (2012). Resilience: A Bridging Concept or a Dead End? “Reframing” Resilience: Challenges for Planning Theory and Practice Interacting Traps: Resilience Assessment of a Pasture Management System in Northern Afghanistan Urban Resilience: What Does it Mean in Planning Practice? Resilience as a Useful Concept for Climate Change Adaptation? The Politics of Resilience for Planning: A Cautionary Note. Planning Theory & Practice, ed 13(2), pp.299-333. http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/14649357.2012.677124
Holling C.S., Gunderson L.H. (2002), “Resilience and Adaptive Cycles”, in Gunderson L., Island Press, Australia
ISPRA, (2017) “Qualità dell’Ambiente Urbano”, XIII Rapporto
Johnson, J. and Gheorghe, A.V. (2013), “Antifragility Analysis and Measurement Framework for Systems of Systems”, International Journal of Disaster Risk Science, vol. 4, n. 4/1
Lega Ambiente (2018) “Ecosistema Urbano” Il Sole 4 ore
Lucarelli M.T., Mussinelli E., Daglio L., a cura di (2018), “Progettare resiliente”, Maggioli ed, Milano
Lucarelli M.T., Rigillo M., (2017) Call for paper, TECHNE 15/2017-, FUP Firenze
Perriccioli M., Ginelli E, (2018), “Progettare per l’abitare: strategia e tattiche per affrontare il mutamento” in Lucarelli M.T., Mussinelli E., Daglio L., (a cura di) “Progettare resiliente”,” Maggioli Ed, Milano
Rigillo M., (2015) “Vulnerabilità e resilienza dell’ambiente urbano” in EWT/Eco WEB TOWN, n°12/15
Tucci, F.(2011) “Efficienza Ecologica ed Energetica in Architettura”, Alinea Editrice, Firenze.