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Oltre la produzione. Il caso studio dell’Ambito 43 a Napoli
Anna Attademo - Enrico Formato - Michelangelo RussoPDF





Abstract

Il tema del riutilizzo delle aree ex-produttive inquadra un orizzonte più ampio di quello meramente legato alla questione della dismissione: gli spazi scarto della productive city hanno preservato un potenziale di riequilibro ecologico, attraverso strategie di valorizzazione di risorse esistenti. La città oltre la produzione disegna un ambito urbano che rifonda i principi di uno sviluppo economico e non trascura l’abitabilità, la mobilità sostenibile e la mixitè economica e sociale delle funzioni e degli usi, la produzione di cultura e l’affermazione dell’immagine territoriale, i valori ambientali e della sostenibilità, l’identità territoriale locale nei processi dello sviluppo. Il caso studio del Piano Urbanistico Attuativo dell’Ambito 43 a Napoli, ha consentito di misurarsi con il tema di una piattaforma produttiva dismessa (un ex-deposito ferroviario con officine) e con la sua rigenerazione improntata alla mixitè tra nuove funzioni produttive e abitative, recuperando i caratteri e le permanenze del vecchio paesaggio industriale, e progettando l’apertura del recinto industriale alla città.

Parole chiave: Industria dismessa, rigenerazione urbana, mixitè funzionale, nicchia ecologica, enclave, terzo paesaggio, porosità, innovazioni produttive.

 

 

 

Relazioni

Il paradigma novecentesco di città produttiva è stato fortemente disegnato da politiche settoriali che hanno disgregato le unità tipologiche e funzionali, generando spazi disarticolati e discontinui. L’odierno sistema di spazi-residuo della civiltà industriale fordista, è un territorio che ha bisogno di cura, interventi e politiche di rigenerazione, per ridefinirne il ruolo nel contesto urbano e metropolitano, come materiale strategico per progetti mirati a recuperare tracce di identità di intere parti di città. Criterio guida della trasformazione è la dialettica tra permanenze territoriali e apertura al contesto, anche grazie a nuove forme di imprenditoria e di produzione di beni: un processo capace di risignificare i caratteri degli insediamenti produttivi e industriali dismessi o sottoutilizzati – significati talvolta latenti, che riguardano la storia di un sito e delle sue stratificazioni – e di prefigurare nuovi assetti potenziali nonché il ruolo che l’area può giocare nel contesto, nel sistema delle reti e delle connessioni territoriali.
Il tema del riutilizzo delle aree ex-produttive inquadra un orizzonte più ampio di quello meramente legato alla questione della dismissione: gli spazi scarto della productive city hanno preservato un potenziale di riequilibro ecologico, attraverso strategie di valorizzazione di risorse esistenti: il suolo e la sua stratigrafia; il sistema idrografico e le acque di falda; l’agricoltura, la vegetazione e le relazioni ecologiche; gli spazi di relazione con la città; la memoria materiale dell’architettura. La rigenerazione oltre la produzione non coincide solo con la riqualificazione fisica, ma riguarda uno spettro molto più ampio di effetti sullo spazio fisico e sociale: la crescita economica e l’offerta di lavoro e di occupazione attraverso nuove forme di industria creativa e produzione artigianale, più legata ai valori di prossimità e alla ricostruzione di una qualità urbana di spazi collettivi, ricostruendo connessioni tra il centro della città consolidata e questa forma insediativa strutturalmente anti urbana. La città oltre la produzione disegna un ambito urbano che rifonda i principi di uno sviluppo economico e non trascura l’abitabilità, la mobilità sostenibile e la mixitè economica e sociale delle funzioni e degli usi, la produzione di cultura e l’affermazione dell’immagine territoriale, i valori ambientali e della sostenibilità, l’identità territoriale locale nei processi di sviluppo.

 

Napoli Est come spazio oltre

Napoli Est è un esempio rilevante di città produttiva in declino, punto di arrivo di una visione urbanistica che ha orientato i processi di crescita industriale fin dai primi anni del ‘900. È ad est, infatti, che, a partire dalla fine degli anni ’20, si è sviluppato un intenso tessuto di aree per la produzione industriale, definita e disegnata nel quadro di una strategia territoriale di ampia scala ideata da Luigi Piccinato con il suo piano regolatore degli anni ’30, e sostenuta dai disegni territoriali di Luigi Cosenza. Un tessuto industriale denso e contino ha occupato tutti gli spazi di margine della città compatta, interrompendo reti di continuità urbana, paesaggistica, ambientale che caratterizzavano un territorio di matrice rurale, fortemente connesso con i centri abitati della piana a Nord-Est di Napoli (come Volla, Casoria, e altri), con un sistema idrografico ricco e complesso, quale quello del bacino del Sebeto.
Attualmente la prospettiva produttiva è qui in profondo declino – anche per la concorrenza delle aree industriali cresciute negli ultimi decenni nella corona urbana più esterna, meglio accessibili sia dal punto di vista della mobilità che dei costi insediativi – e lo spazio urbano si presenta come un coacervo di degrado, marginalità dei luoghi, delle funzioni, delle condizioni generali di abitabilità. Un territorio intercluso, separato e frammentato dall’attraversamento di infrastrutture, un mosaico di wastescapes, solcato da impenetrabili recinti industriali che si alternano agli spazi della dismissione e dell’abbandono, in adiacenza ai grandi quartieri di edilizia popolare, carenti nel trasporto collettivo, nelle attrezzature pubbliche, nel verde urbano, nelle attrezzature per il tempo libero. Napoli Est come spazio “patologicamente contemporaneo”, è anche uno spazio fortemente potenziale. La sua riqualificazione è il caposaldo di una idea di città innovativa, in cui, a partire da una profonda rigenerazione urbanistica, si attui una radicale riconversione delle funzioni d’uso esistenti, ricostruendo un paradigma di accessibilità e di usi pubblici, rintracciando e rafforzando le potenzialità del sistema ecologico, in relazione alla bonifica dei siti e dei suoli inquinati, al sistema delle acque, degli spazi agricoli e interstiziali abbandonati (Fig. 1).

Il Piano Regolatore Generale della città di Napoli, approvato nel 2004, prevede per quest’area una trasformazione graduale delle aree produttive, attraverso l’immissione di funzioni miste costituite da nuova residenza, ma anche da produzione leggera, commercio e terziario. I Piani Urbanistici Attuativi in itinere stanno lavorando a tracciare nuove logiche insediative che privilegino insediamenti integrati, con una forte componente residenziale e con una impostazione strutturalmente ecologica. Tra questi, il caso studio del Piano Urbanistico Attuativo dell’Ambito 43 a Napoli, ex-Magazzini di Approvvigionamento Ferroviario, adottato dal Comune di Napoli nel gennaio 2017, ha consentito di misurarsi con il tema di una piattaforma produttiva dismessa (un ex-deposito ferroviario con officine) e con la sua rigenerazione improntata alla mixitè tra nuove funzioni produttive e abitative, recuperando i caratteri e le permanenze del vecchio paesaggio industriale, e progettando l’apertura del recinto industriale alla città (Fig 2.).

 

Accessibilità e continuità ecologica come criteri di progetto

Il precedente Piano Urbanistico Attuativo per l’Ambito 43, approvato nel 2011, pur se coerente con il Prg del 2004, che prevedeva per quest’area (a differenza che per la gran parte di Napoli Est) una prospettiva neo industrialista, rivelatasi anacronistica, è schematico e incapace di interpretare il carattere urbano e paesaggistico di Napoli Est. Inoltre, le previsioni di attività manifatturiere di media dimensione e l'inserimento dell'ennesimo centro commerciale a piastra della periferia di Napoli, non avevano attirato risorse economiche per l'attuazione del progetto. Il modello di retail regeneration, i business district dei centri urbani, sono componenti intrinseche dell'economia globale della città, secondo il modello delle Halles francesi o del Covent Garden londinese. Ma la crisi di questo modello di insediamenti commerciali interni al centro urbano, coincidente con l'aumento delle diffusione di centri commerciali sempre più grandi ed esterni al centro urbano, all'intersezione dei grandi assi di scorrimento viario, ha finito col riguardare non solo questi insediamenti, ma più in generale il modello di città sostenuto da questa collaborazione tra interesse pubblico e privato.
L’elaborazione di un Pua in variante, supera il paradigma monofunzionale di productive/consuming city, seguendo le tracce e i percorsi di una rigenerazione in grado di partire dal paesaggio e dall’ecologia, stimolando la trasformazione e lo sviluppo sociale ed economico col far leva sulle preesistenze territoriali e sulle relazioni tra l’area in trasformazione e la città.
Ripensare quest’area, anche in virtù delle varianti agli strumenti urbanistici resi possibili dalla Legge Regionale 1/2011 (legge del Piano Casa), consente esplorazioni progettuali nelle sue potenzialità trasformative molto interessanti anche per tornare a riflettere induttivamente sull’intera area est di Napoli. Il progetto, dunque, propone una rimodulazione funzionale del piano, nell’ipotesi di realizzare un quartiere integrato di residenze, commercio e produttivo, organizzato in un parco urbano che caratterizzerà la forma dello spazio e le relazioni dell’intero insediamento con la città.
L’area misura 25 ettari circa e interessa un sito storicamente utilizzato come Magazzini Ferroviari, un tempo di proprietà delle Ferrovie dello Stato, realizzato nei primi anni del ‘900 come deposito destinato alla manutenzione dei treni che provenivano dalla Stazione Centrale di Napoli. Il sedime attuale è stato ricavato dallo sbancamento di una collina tufacea, di cui permane una formazione che fa da quinta ai capannoni disposti linearmente per accogliere i treni. Una sequenza significativa di edifici degli anni ’20 in muratura di tufo e intonaco, con capriate metalliche, abbandonati ormai da più di trent’anni, costituisce un micro tessuto urbano attualmente invaso da una vegetazione che – proprio a partire dalla collina – fa di questo sito un frammento di terzo paesaggio.
Il progetto prevede di conservare e valorizzare alcune risorse che sono sembrate strategiche per affermare l’identità dei luoghi: da un lato la gran parte delle architetture novecentesche, testimonianza significativa di architettura industriale; dall’altro il patrimonio vegetazionale costituito dai residui di uno straordinario paesaggio minerale ed arboreo che, con la rete di spazi agricoli circostanti ed il sistema idrografico, rappresentano interessanti principi di relazione tra il sito e l’intero quartiere.
Il progetto nasce in continuità con le tracce del paesaggio esistente, intese come elementi di un sistema di nuove direttrici progettuali, che, salvaguardando il patrimonio architettonico dei manufatti esistenti, consente di assemblare nuove realizzazioni agli edifici dell'impianto insediativo esistente. In questo modo, viene a delinearsi uno spazio interstiziale che consente di rileggere il variegato paesaggio esistente: attraverso i volumi esistenti e quelli nuovi, la porosità dello spazio aperto diviene un sistema continuo e complementare con il patrimonio vegetale che si estende verso il salto di quota.
In questo modo vengono definiti tutti gli spazi aperti, pubblici e di pertinenza, come una rete di pieni nata dal negativo degli spazi vuoti tra gli edifici. Al loro interno questi spazi sono caratterizzati e restituiscono in particolare la complessità funzionale dell'insieme, con particolare riferimento al parco, a cui corrispondono i sentieri naturali; alle residenze, con le piastre/piazza e i percorsi alberati; al centro commerciale ed al terziario, funzioni private, ma di uso rigorosamente pubblico, a cui corrisponde infine un doppio asse di percorsi pedonali, mettendo in comunicazione le diverse funzioni da ovest ad est e conducendo i visitatori dalla piazza d'ingresso dell'area a sud, attraverso una serie di spazi e di edifici scambiatori, sino al grande parco urbano della collina a nord, al cui ingresso è realizzata una piazza per eventi (Fig. 3).

La logica delle connessioni ecologiche diviene principio di integrazione con la città esistente: una diffusa area di parco aperto e orizzontale, al cui interno sono disposte e collegate le diverse funzioni, individua e preserva le patches attualmente presenti attraverso un lavoro minuto di recupero della vegetazione e delle acque; con la prefigurazione di un sistema di drenaggio che consentirà di recuperare e di riutilizzare le risorse idriche raccolte nei laghetti e nei canali che attraversano il parco e il suo spazio; con una strategia di ricucitura tra la città e la natura che interessa le diverse scale del progetto. Il riciclo delle acque meteoriche e la fitodepurazione delle stesse per uso irriguo e di servizio, divengono essenziali per aumentare il potenziale biotico a sostegno della continuità ecologica e per promuovere i principi del risparmio energetico (Fig. 4)

L’agricoltura e gli orti attraversano la rigida organizzazione delle strutture commerciali, offrendo la possibilità di costruire presidi di filiera corta, conferendo forma e carattere allo spazio aperto e al complessivo intervento di trasformazione, e collegando il futuro di quest’area alle potenzialità di trasformazione del territorio agricolo interstiziale adiacente, oltre il recinto, una corona di suoli peri-urbani tra loro in rete che attraversa l’intera conurbazione, attraverso queste aree, verso i comuni a Nord-Est e fino alla linea di costa1.
La prefigurazione di una nuova porosità è divenuta strumento per il riscatto di un'intera parte urbana: il quartiere di via Nazionale delle Puglie, densamente abitato e periferico, riconnesso alla parte bassa di Via Botteghelle e alla stazione esistente della Circumvesuviana attraverso un sistema di risalite meccanizzate. I binari dei treni, i capannoni abbandonati, e soprattutto il paesaggio scavato di una collina di tufo, di cui la natura si è man mano riappropriata, fino a costruire un vero e proprio bosco, hanno costituito il punto di avvio per un progetto di radicale conversione delle funzioni d’uso e del senso complessivo di questa parte di Napoli Est.
L’asse centrale di percorsi, è la spina portante del sistema di accessibilità pedonale, contribuendo a determinare una direzione preferenziale di attraversamento dell’area da sud a nord. Da sud, infatti, l'accesso è garantito dalla vicinanza con il sovrappasso che conduce alla fermata "Botteghelle" della linea Circumvesuviana. A nord, attraverso un percorso meccanizzato, l'asse centrale si collega direttamente con Via Nazionale delle Puglie.
Alla semplificazione della viabilità di nuovo impianto, fa riscontro il tentativo di un notevole arricchimento, in termini di consistenza e qualità degli spazi pubblici (e/o di uso pubblico) a prevalente o totale uso pedonale, ciclabile e podistico. Si è già segnalato, in particolare, il sistema di spazi pedonali “urbani” basati su una croce di percorsi: un asse nord-sud che, utilizzando il viale esistente tra i Magazzini, collega la stazione della circumvesuviana con la Via Nazionale delle Puglie; sull’asse est-ovest costruisce la spina di integrazione tra le funzioni produttive e quelle residenziali, da insediare nell’area del vecchio parco-binari. Parallelo a questo percorso, si propone un percorso che entra direttamente nel cluster commerciale, per poi ricongiungersi con il parco urbano della collina a nord.
Questo sistema di percorsi pedonali è integrato con il sistema di accessibilità e di percorribilità carrabile, e con i parcheggi pubblici e pertinenziali dedicati alle singole funzioni. La maggior parte dei flussi carrabili è distribuita lungo l'anello di viabilità intorno all'area; due strade est-ovest attraversano l'area e collegano tra loro le diverse funzioni.
L'insieme delle scelte restituisce il concept di progetto attraverso la sovrapposizione di matrici progettuali che riflettono i criteri guida della continuità ecologica e dell'accessibilità. In particolare, questi criteri sono riconducibili alla sovrapposizione di tre layer principali del progetto di paesaggio, tra loro sovrapponibili, e interagenti: l’ecological landscape, il layer del verde e dell'acqua; l’open spaces landscape, il layer della porosità e dello spazio aperto; l’infrastructural landscape, il layer dell'accessibilità e della percorribilità.

 

Lo spazio pubblico e l’uso pubblico

In definitiva il progetto consente la realizzazione di un mix di funzioni che rendono l’investimento molto più remunerativo rispetto ad un assetto monofunzionale legato alla destinazione produttiva e industriale: tuttavia il volano del potenziale investimento privato è orientato all’incremento locale delle esternalità positive per la città e per i cittadini, con un incremento dei valori comuni dell’ambito 43 che possono essere misurati in termini quantitativi e monetari (cessione ERS), ma anche in termini di qualità e di miglioramento complessivo dell’abitabilità della struttura urbana.
Infatti, il progetto prevede un sistema di standard urbanistici di grande utilità non solo per coloro che abiteranno le nuove funzioni insediate ma anche per gli abitanti e le strutture della città esistente: gli standard sono progettati come spazi pubblici continui e interconnessi e strettamente legati alle qualità spaziali del progetto; inoltre il valore monetario stesso delle aree a standard risulta fortemente eccedente gli oneri di urbanizzazione e diventa la costruzione di un piccolo capitale comune ad uso pubblico.  E’ previsto un nuovo e intenso collegamento con i quartieri contermini: il recinto industriale si trasforma in un luogo aperto, ricco e attrattivo e facilmente accessibile, in grado di polarizzare i flussi provenienti dalla città attorno alle centralità del progetto; la conservazione e la valorizzazione di elementi contribuisce inoltre a definire la storia e l’identità di questo sito, in termini di patrimonio architettonico, paesaggistico ed ecologico. Viene massimizzata la funzione del parco come contesto entro cui far sviluppare il quartiere: un parco che non si limita al perimetro delle aree in cessione poiché gran parte delle aree private sono previste ad uso pubblico, e tutto lo spazio di relazione tra gli edifici recuperati e di progetto avrà il carattere pedonale di un sistema pubblico disegnato con i materiali del paesaggio e dell’ecologia.
Nell’orizzonte italiano le norme e le politiche in atto per fronteggiare la sfida delle dotazioni territoriali e della qualità degli spazi pubblici, testimoniano un grave scollamento tra previsioni e regole a garanzia dei beni di valenza collettiva e la realtà di un orizzonte distratto di attività pianificatorie incompiute. Ripensare a 60 anni di distanza al tema delle dotazioni territoriali, pur non negandone la forza di conquista culturale, significa superare un meccanismo di mera individuazione quantificativa, troppo legato al vecchio paradigma della città in espansione del Novecento. La determinazione degli usi collettivi dovrà oggi confrontarsi più attentamente col tema della rigenerazione della città esistente, dell’adattamento al rischio ambientale e sociale, della mobilità sostenibile e dell’efficienza delle risorse, anche andando ad individuare spazi e condizioni di limite tra uso collettivo e spazio privato, lavorando sugli usi pubblici nelle aree private o promuovendo la qualità e funzionalità degli spazi, più che la quantità e la prestazione.
La prossima sfida su cui lavorare è proprio l'attuazione del Piano urbanistico, mediante forme integrate di collaborazione tra attori/arbitri pubblici e risorse private, ricercando un nuovo equilibrio tra spazi e soggetti, dalla differente natura giuridica e con obiettivi in parte diversi e conflittuali. Il progetto di un grande sistema di spazi e attrezzature pubbliche, deve al contempo garantire apertura del nuovo quartiere alla città, ma anche adeguati ricavi, necessari alla rigenerazione fisica dell’insediamento e all’avvio della riconversione. Sullo sfondo, l’importanza di promuovere forme di abitare convenzionato così come usi pubblici e attività aperte alla co-gestione tra pubblico e associazioni e attori locali, in una riflessione ampia sulle forme di partecipazione, cooperazione e condivisione come materiali ineludibili per il progetto urbanistico e paesaggistico contemporaneo e per dare forma agli spazi nuovi della città.

 

Conclusioni

A partire dai primi anni ’80, il tema delle aree dismesse ha rappresentato uno sfondo di opportunità offerte dalla progressiva ritrazione delle funzioni produttive, nelle grandi aree industriali consolidate del Novecento fordista. La dismissione non riguarda più e solo la grande industria: è un fenomeno più complesso che vede la città attraversata da flussi e cambiamenti che investono parti discrete e differenti del territorio. Alla macroscala, i fenomeni di shrinkage producono obsolescenza di intere parti di città, residenziali e terziarie, commerciali e produttive. Altre funzioni costellano il territorio di vuoti da riempire di un nuovo senso progettuale: aree militari, infrastrutture lineari, mall e centri per la grande distribuzione; ma anche aree agricole, paesaggi dello scarto e spazi di risulta nelle aree urbane più dense.
Il progetto dell’Ambito 43 consente di riguardare alla trasformazione di questi territori come ad un’occasione di riscatto per le discipline del progetto urbanistico, per ridisegnare valori, intensificare connessioni e reti, rifondare un senso dell’uso pubblico delle nostre città, attraverso azioni quali:
- razionalizzazione e integrazione dei sistemi a rete e forme di mobilità integrate, seguendo lo stesso approccio delle aree urbane centrali;
- arresto del consumo di suolo, ed attenzione ad una nuova ecologia del progetto della città e delle sue strutture, che vuol dire al contempo sensibilità per i valori storico-paesaggistici, per i temi del riciclo e dell'adattamento;
- infine, la diversificazione delle componenti sociali e culturali, che passa necessariamente attraverso la costruzione di ambiti urbani che favoriscano un'ampia mixitè sociale e di usi.
In questo senso, la rigenerazione urbana attraverso la riconversione della città della contrazione post-fordista, in un mix innovativo e socialmente dinamico, si ricollega ad un più ampio concetto di dinamiche culturali e sociali e di coesistenza di contrasti, rafforzando infine un concetto di comunità che, produce vivacità democratica ed influisce sull’identità dei luoghi così come sul loro sviluppo potenziale.

 

 

 

Note
1 Cfr. D5.1 Handbook for PULLS (REPAiR Project, Unina Team)

2 Cfr. Relazione Illustrativa del PUA per l’Ambito 43 “Ex Magazzini di Approvvigionamento Ferroviario”.

3 Cfr. M. Russo, Aree dismesse. Forma e risorsa della città esistente, Esi 1998.


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