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Suolo e progetto urbano: una nuova prospettiva
Rosario PaviaPDF




Il suolo è ancora al centro del progetto urbano, ma il suo ruolo va visto in una prospettiva del tutto nuova. Certo il suolo come valore immobiliare, che incorpora la rendita assoluta e differenziale, avrà ancora una funzione importante nei processi di trasformazione urbana. I progetti urbani migliori saranno ancora quelli in grado di trovare un equilibrio tra interessi pubblici e privati e di inserirsi positivamente in un quadro strategico di sviluppo e riconfigurazione della città. In questi progetti urbani il suolo resta il fattore centrale di produzione, la “merce” che sostiene il programma. A guardare bene il suolo urbano è sempre stato trattato con un’ottica mercantilistica. Ora questo procedimentonon reggepiù, di fronte ai grandi temi del cambiamento climatico, del degrado dell’ambiente, del rischio idrogeologico, occorre una diversa prospettiva. Forse dovremo assumere un orientamento fisiocratico, ponendo al centro il valore della terra, non semplicemente dal punto di vista agricolo, ma intendendo il suolo come un’infrastruttura ambientale, determinante per il ciclo del carbonio, dell’aria e dell’acqua.

Questo cambiamento di sguardo sposta l’attenzione dalla città costruita, dall’’urbanizzato, al suolo inedificato, a quello che fino a ieri era lo sfondo neutro della città. Il territorio “rurale” come riserva per l’espansione edilizia, diviene la base fondativa della nuova urbanistica. E’ in atto un cambiamento di sguardo e di prospettiva che fa considerare in termini nuovi il progetto di suolo di cui, dal 1986, ha iniziato a parlarci Bernardo Secchi ( Secchi, 1986). Il suolo non è solo lo spazio esterno agli edifici, lo spazio tra,  da qualificare attraverso un disegno tecnico appropriato, attento ai rapporti con il contesto. Va oggi inteso nel suo spessore di supporto, di infrastruttura che sostiene l’insediamento urbano, l’affermarsi dei processi produttivi, il dispiegamento delle reti materiali e immateriali. Il suolo è anche il deposito di ciò che resta dei processi di produzione e di consumo. Gli esiti di questi processi lasciano sul territorio una sterminata quantità di aree in abbandono e volumetrie dismesse, ma anche scarti, di residui, di discariche che degradano lo spazio e inquinano i suoli e le acque,  ponendo  con urgenza il tema della bonifica e del riciclo. Riciclare gli scarti della produzione industriale e riconvertire uno sterminato patrimonio immobiliare in abbandono è un processo complesso, difficile, troppo a lungo trascurato. In questa prospettiva il tema dei drosscapes posto da Alan Berger  si rivela sempre più un aspetto determinante, non solo per l’interpretazione delle trasformazioni territoriali, ma anche per le strategie progettuali d’intervento ( Berger, 2007) . Il suolo come risorsa limitata che metabolizza gli scarti organici da cui trae nuova vita, ma che nello stesso tempo, sottoposta a processi intensivi di utilizzazione, s’impoverisce, si degrada. Kevin Lynch ha utilizzato il termine wasting away (tradotto da Vincenzo Andriello con “deperire”) per indicare il processo di dissipazione che investe il territorio e gli oggetti, le cose, che vi insistono (Lynch 1992 ).

Con Lynch il suolo assume una dimensione che va oltre la superficie, il disegno delle pavimentazioni urbane. Il suolo comprende il costruito e l’inedificato, il sopra e il sotto. Il suo ruolo è quello  di una grande infrastruttura indispensabile per l’equilibrio dell’ambiente e della vita degli insediamenti umani (Pavia, 2012).  Con l’affermarsi della questione ambientale, l’intuizione di Lynch diviene sempre più netta all’interno della cultura urbanistica. Basti pensare alle elaborazioni per la consultazione per le Grand Paris ( Secchi, 2011), alla proposta di Mohsen Mostafavi  e di Gareth Doherty per un Ecological Urbanism e alle posizioni di un paesaggista come James Corner (Corner, 2006) o ancora più recentemente ai piani strategici adattivi di città come Londra, Copenhagen, Rotterdam. Che il suolo funzioni come un’infrastruttura ambientale è un dato acquisito per scienziati come James Lovelock ( Lovelock, 2011) o Stewart Brand (Brand, 2010). Per l’agronomo William Bryant Logan (Logan, 2011) il suolo, la crosta superficiale della Terra, è una “pelle”, un organismo vivente, un manto stratificato, composto da materiali inerti e materia organica. La ”pelle” respira, assorbe e respinge le radiazioni solari, incorpora carbonio, attiva processi chimici che decompongono e metabolizzano i residui organici di origine vegetale e animale. Il suolo contemporaneo non riesce più a metabolizzare tali scarti (ma potrebbe farlo se i rifiuti fossero trasformati in compost). Il suolo dell’Antropocene, come infrastruttura che lavora per l’equilibrio dell’ambiente, mostra segni di affaticamento, ha bisogno di essere protetto, potenziato, attraverso la tecnologia e le scienze  biologiche. La sua cura va sperimentata alla scala locale e di area vasta, con l’obiettivo di estenderla a tutto il territorio: in questo senso va inteso l’invito del paesaggista Gilles Clément ( Clément, 2008).

Cosa significa questo richiamo alla cura del suolo per il progetto? In proposito va ricordato che nella modernità esiste una lunga tradizione che va reinterpretata. L’attenzione al territorio aperto, al valore della terra, allo spazio inedificato, al verde e al suolo agricolo, non è un fatto nuovo. La ritroviamo nella prima modernità con Olmsted, con l’ingegneria igienista, con Geddes che da biologo lega la pianificazione alla orografia e alla qualità dei terreni. E’ presente nei modelli di città giardino di Howard, in piani esemplari come quelli di Copenaghen (il piano delle cinque dita) o la Colonia di Rudolf Schwarz (la città paesaggio). Compare nel dibattito dei Ciam e ancora di più nelle posizioni della IFHTP (International Federation for Housing and Town Planning). Trova una straordinaria anticipazione nel piano per Chandigarh di Le Corbusier.

Alcuni recenti interventi progettuali e di ricerca ripropongono con evidenza il tema del suolo, cogliendone la complessità e il valore strategico. Si pensi ad esempio alla riorganizzazione di Valencia incentrata sulla deviazione del fiume Turìa e alla realizzazione sul suo letto di un grande parco urbano; oppure, ad una scala minore, la riqualificazione del Barranco de Santos di Santa Cruz a Tenerife; al recupero della grande discarica di Fresh Kills a Staten Island di fronte a Manhattan; al progetto Thames Gateway per la rigenerazione urbana e ambientale di Londra lungo la foce del fiume; al progetto Olympic Sculture Park sul waterfront di Seattle, che integra nello spazio del parco una molteplicità di infrastrutture di comunicazione; alla riconversione dei suoli artificiali  di infrastrutture portuali come ad Hafen City ad Amburgo o al quartiere Borneo ad Amsterdam; al ruolo dell’ High Line nella riqualificazione di Manhattan West Side, alle numerose proposte di urban farms nel cuore di città come Singapore, Los Angeles, Detroit, Parigi e all’innovativo modello urbano di Agronica di Andrea Branzi; al concorso per la riqualificazione del waterfront di Lower Manhattan, vinto da Bjarke Ingels con una soluzione paesaggistica che tiene conto del possibile innalzamento delle acque; alla ricerca Barcelona Multi Rambles che introduce nella maglia ortogonale del Piano Cerdà una mobilità sostenibile restituendo alla città nuovi spazi pubblici e percorsi pedonali; al progetto di Carlo Gasparrini per la bonifica e la rigenerazione urbana di Napoli Orientale su aree dismesse di una grande deposito di carburanti; a esperienze di mobilitazione e partecipazione sociale per l’agricoltura urbana e azioni come il depaving mouvement, il tactical urbanism, il guerrilla gardening; alle proposte di metabolizzare in città i rifiuti urbani (in particolare organici) come a New York , dove Present Studio ha previsto otto isole galleggianti nelle acque dell’Hudson; ai progetti di spazi pubblici di Jan Ghel, al recupero di centri minori abbandonati da parte di immigrati, come nel caso del comune di Riace in Calabria. Potremmo continuare, ma qui non interessa predisporre una rassegna, quanto piuttosto a far emergere dagli esempi citati alcuni temi rilevanti per la città contemporanea e futura. Sono in particolare i temi della fine della separazione tra città e campagna e l’esigenza di comprendere nel progetto urbano il suolo inedificato come principio di rigenerazione; la necessità di bonificare e riconvertire i suoli produttivi dismessi; la reintegrazione delle reti infrastrutturali come reti ambientali e paesaggistiche; la riqualificazione dell’edificato non solo dal punto di vista sismico ed energetico, ma anche attraverso la sua trasformazione in superfici green e sensibili biologicamente, in modo da fornire un servizio per il miglioramento delle condizioni ambientali (assorbimento polveri sottili e di anidride carbonica, riflessione delle radiazioni solari,…); il riciclo dei rifiuti nelle trame stesse del territorio metropolitano e la fertilizzazione e consolidamento dei terreni attraverso un impiego diffuso del compost organico; lo sviluppo della pedonalità e della mobilità dolce come principi per una città più vivibile. In questa direzione lo spazio pubblico va inteso non solo come rete della socializzazione, ma come rete infrastrutturale-ambientale in grado di contribuire al benessere e alla sicurezza urbana (dispositivi per contenere le ondate di calore, per la raccolta dei rifiuti, per ridurre il rischio inondazioni…); infine il recupero dei centri minori abbandonati e la manutenzione produttiva del territorio anche attraverso una politica d’inclusione dei migranti.

Siamo all’inizio di una fase in cui il suolo come risorsa limitata, indispensabile per l’equilibrio ambientale, diverrà un tema centrale del piano e del progetto. L’attenzione dovrà essere allora più profonda ed estesa, legandosi alla consapevolezza della gravità di una crisi ambientale che minaccia l’equilibrio del pianeta e di un mondo sempre più popolato e urbanizzato. La percezione di un futuro incerto, a rischio, politicamente e socialmente instabile, verosimilmente più povero, con minori risorse da destinare a investimenti per la riqualificazione urbana e ambientale, introduce una nozione di tempo diversa rispetto alla modernità. Intervenire oggi sulla città significa misurarsi con il presente e nello stesso tempo avviare in modo flessibile e adattivo processi di medio e lungo periodo. In questo tempo lungo, la pianificazione dovrà assumere un carattere strategico senza rinunciare a intervenire nell’immediato, con opere e programmi che possano migliorare le condizioni di vita della città esistente e avviare un processo di manutenzione e bonifica dei territori aperti e inedificati. Occorreranno interventi puntuali e interventi a sistema, legati alla riqualificazione delle reti naturali e infrastrutturali. In realtà non c’è tra loro una separazione netta, da tempo artificio e natura ibridano l’insieme delle reti. Oggi dobbiamo operare affinché quelle naturali siano potenziate dalla tecnologia e  quelle artificiali incorporino l’elemento naturale (Pavia, 2015). Queste reti, che attraversano lo spazio urbano e soprattutto il territorio non ancora edificato, devono funzionare come infrastrutture al servizio dell’equilibrio dell’ambiente (attraverso la produzione di energia rinnovabile, la riduzione delle emissioni di gas serra, la difesa dal rischio idrogeologico…), e primo telaio per dare forma e identità ai territori attraversati. E’ in questa prospettiva che il suolo inedificato diviene il nuovo paradigma (Gasparrini, 2014), il cardine di una profonda revisione delle politiche urbane e ambientali, il bene comune da cui ripartire. In un certo senso occorrerà invertire il nostro sguardo, il nostro modo di intendere il piano urbanistico: l’attenzione dovrà concentrarsi sul territorio periurbano, sullo spazio aperto, sul suolo agricolo e non, e da questo muovere verso la città costruita. La riqualificazione urbana e ambientale partirà sempre più dall’esterno. Risanare e valorizzare il vuoto e l’inedificato per penetrare nella città costruita e rinnovarla. In fondo il progetto di suolo comprende oggi entrambi gli ambiti: quello artificiale e quello naturale.
Se per suolo intendiamo il terriccio, il terreno, il territorio, la Terra, non possiamo non cogliere come tutti questi termini abbiano in comune la radice della parola latina terra. La stessa radice per abiti diversi. E’ come dire che il progetto di suolo non può che attraversare tutte le scale. Una prospettiva che rivoluzionerà nel profondo anche il progetto urbano.


Riferimenti bibliografici

Berger A., 2007, Drosscape. Wasting land in urban America, Princeton architectural
Brand S., 2010, Una cura per la Terra. Manifesto per un’eco pragmatista, Codice, Torino
Clément G., 2008, Il giardiniere planetario, 22 Publishing, Milano
Corner J., 2006, Terra Fluxus, in Charles Waldheim, Landscape urbanism reader, Princeton Architectural
Gasparrini C., 2014, In the city, on the city, List, Trento
Logan W.B., 2011, La pelle del pianeta. Storia della terra che calpestiamo, Bollati Boringhieri, Torino
Lovelock J., 2011, Gaia. Nuove idee per l’ecologia, Bollati Boringhieri, Torino
Lynch K., 1992, Deperire. Rifiuti e spreco, CUEN, Napoli
Pavia R., 2012, Eco-Logiche in “Piano Progetto Città”n.25-26
Pavia R., 2015, Il passo della città. Temi per la metropoli del futuro, Donzelli, Roma
Secchi B., 1986, Progetto di suolo, in “Casabella” n. 520
Secchi B., Viganò P., 2011, La Ville poreuse. Un projet  pour le grand Paris, et la métropole  après-Kioto, Metispresses