Il rapporto tra Sostenibilità e Innovazione tecnologica nella progettazione dell’ambiente urbano a cura di Filippo Angelucci

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Vulnerabilità e resilienza dell’ambiente urbano
Marina Rigillo
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Abstract:

Il contributo descrive il lavoro di ricerca condotto negli ultimi cinque anni da ricercatori del DiARC e del CNR sui temi della vulnerabilità dell’ambiente urbano e della sua resilienza. L’articolo descrive il background scientifico della ricerca e il campo di interesse prescelto, con un focus sui concetti di vulnerabilità e resilienza riferiti all’ambiente urbano inteso come luogo di interazione tra sistema costruito, sistema naturale e sistema socio-economico. L’articolo approfondisce due esperienze di ricerca internazionali realizzate dal gruppo sul tema della vulnerabilità urbana: lo studio de la Amenaza Sísmica y Vulnerabilidad Física del Gran Santo Domingo - in partenariato con le Nazioni Unite – e l’iniziativa 41°// per la rigenerazione delle aree urbane costiere, con LOT-EK Studio, N.Y. e con N.Y. Waterfront Alliance.

 

Parole chiave ERC

Approccio ecologico
Progetto integrato
Vulnerabilità
Adattabilità
Governance

Dal concetto di sostenibilità a quello di resilienza
Nell’introdurre il lavoro realizzato dal gruppo formato da chi scrive e dai ricercatori dell’Irat-CNR1 Massimo Clemente e Gabriella Esposito, corre l’obbligo di una breve premessa per inquadrare i termini della collaborazione. Si evidenzia, infatti, la compresenza di due settori disciplinari apparentemente lontani – la tecnologia dell’architettura e la progettazione urbanistica – che hanno messo a sistema competenze e metodi di indagine per avviare un lavoro di riflessione sulle tematiche dello sviluppo sostenibile della città, spaziando da questioni connesse alla efficienza ecologica della forma urbana, a quelle del cambiamento climatico e della vulnerabilità dei beni esposti, alla resilienza dell’ambiente costruito e dei suoi abitanti.
Il focus concettuale è posto sulla descrizione dell’ambiente urbano nella sua accezione di sistema complesso, connotato da una molteplicità di fattori (storico-architettonico, ambientali, climatici, funzionali, economici, sociali) che ne definiscono identità e trasformabilità in una prospettiva integrata e trans-scalare. Una descrizione che si arricchisce di contenuti e nuovi valori in ragione della trasposizione del concetto di resilienza ai processi di adattamento e ri-progettazione dell’ambiente urbano. Non si tratta di mera analogia, o piuttosto della sostituzione della parola “sostenibilità” con altro termine meno inflazionato, ma di un rovesciamento del punto di vista: portare l’attenzione sulla capacità di risposta del sistema urbano, affermando il primato di un approccio fondato sulla previsione/ inclusione delle dinamiche di cambiamento piuttosto che sulla resistenza a queste stesse.
In questo quadro, l’introduzione del paradigma della resilienza nella progettazione dell’ambiente urbano sostenibile diventa un potente fattore di innovazione concettuale, avviando una riflessione sui metodi dell’intervento, sul processo di trasformazione e i suoi stessi obiettivi. Si afferma, infatti, la necessità di una conoscenza olistica dell’ambiente urbano, strutturata in modo sistemico e finalizzata alla governance dei processi in essere; un contributo teorico ed operativo che orienti concettualmente una nuova posizione per la valorizzazione delle risorse – siano esse naturali o antropiche – affermando la necessità di tornare a progettare l’ambiente urbano (e non solo) per sviluppare i requisiti di adattabilità del sistema rispetto alle dinamiche di cambiamento e della gestione pro-attiva delle del rischio potenziale (global warming, crisi economica, tecnologie digitali). Il progetto di trasformazione – e segnatamente il progetto ambientale – diventa così fulcro di una strategia per la sostenibilità che, per essere efficace, richiede l’integrazione dei processi decisionali, delle competenze specialistiche e delle diverse scale di intervento.
A partire infatti dalla definizione di resilienza come «the capacity of a system to absorb disturbance and reorganize while undergoing change so as to still retain essentially the same function, structure, identity, and feedbacks» (Walker et al. 2004), si evidenzia un cambio di prospettiva che fa del progetto (e dell’innovazione ad esso connessa) lo strumento essenziale per valorizzare la capacità di carico dei luoghi urbani, adattando la forma e le prestazioni degli stessi ad una domanda di uso più sofisticata e moderna che integra - e differenzia - la richiesta prestazionale per lo spazio abitato. Il progetto si ri-organizza, secondo un approccio più pragmatico, finalizzato a dare risposte al mutare delle condizioni ambientali e delle esigenze dell’abitare, al sistema di valori culturali espresso dalla comunità residente, alla capacità di produrre opportunità di sviluppo e benessere. La conservazione dell’esistente esce dal dogmatismo e diventa obiettivo condiviso e ri- negoziato in ragione della specificità delle condizioni d’uso, dell’identità locale, della storia – anche naturale – del contesto di intervento. Si torna a riflettere sui termini del rapporto uomo-natura, declinando il termine “trasformabilità” attraverso nuovi e vecchi requisiti: la durabilità, intesa come capacità di rinnovare le prestazioni erogate secondo processi di auto-rigenerazione; l’adeguatezza delle forme in risposta alla ineluttabilità degli eventi di rischio; la flessibilità degli usi, anche nella prospettiva di integrare i cicli adattivi del sistema urbano: «Pour durer, un objet abritant une activité humaine aussi instable, doit être transformable: c’est l’enfance de la logique du durable [...] La transformabilité doit être incorporée visiblement aux formes d’architecture» (Kroll, 2011).
In questo senso, la nozione di resilienza arricchisce e in parte modifica i requisiti della forma urbana sostenibile così come acquisiti in letteratura (Jabareen, 2006). La nuova centralità del progetto come generatore di processi di adattamento e trasformazione riporta in primo piano la questione della forma dello spazio urbano e della sua architettura, ritrovando in una prospettiva non duale il senso del rapporto artificio-natura. Una prospettiva che valorizza l’approccio esigenziale-prestazionale della cultura tecnologica, attribuendo al progetto il compito di individuare una nuova serie di requisiti – da affiancare a quelli già in essere – per integrare in termini di capacità adattiva la richiesta di efficienza ecologica dell’habitat umano (Angelucci, Di Sivo & Ladiana, 2013).
Una prospettiva che invita a ripensare il concetto di performance, dando al termine un valore propositivo, attivo, tutto interno al progetto: performance come prodotto originale, adeguato al contesto e funzionale a mediare la condizione complessa dell’intervento (fattori ambientali, aspettative sociali, interessi politici ed economici, risorse e mezzi di intervento), rinnovando la nozione di “tecnologia appropriata” (Gangemi, 1988) come indicatore della resilienza interna dell’intervento2; performance come valore provvisorio, locale, funzionale agli scenari identificati come possibili e opportuni.
Uno scenario che, con anticipo visionario, Salvatore Dierna (1994) sintetizzò attraverso il concetto di “cultura del limite”, controllo “dal basso” della corrispondenza funzionale e semantica tra la scelta progettuale e le specificità delle condizioni operative. Una visione che fa della produzione di conoscenza un valore specifico del fare architettura, presupposto essenziale per sviluppare condizioni biunivoche di adattabilità tra spazio costruito e cicli naturali: «la condizione moderna come progetto potrebbe allora descrivere sistemi tecnologici intermedi, multivariati, quantitativamente e qualitativamente flessibili nel rapportarsi alla domanda reale, capaci di integrare, nell’uso delle risorse, il recupero di tecniche arcaiche con la potenza dei processi avanzati, e di coniugare, per sommatoria di azioni minori, di scelte parziali, per attenzione sistematica ai modelli socio-culturali locali, la possibilità delle tecniche al rispetto delle prerogative ambientali e comportamentali storicamente diffuse» (Dierna,1994).

L’approccio ecologico per il progetto dello spazio urbano

Sulla base del background descritto, l’unità di ricerca Diarc-CNR ha orientato il proprio lavoro verso il progetto di recupero ambientale secondo un approccio life cycle based. Oggetto di interesse è lo spazio urbano, essenziale tessuto connettivo della città3, luogo privilegiato in cui si rivela la stratigrafia del processo costitutivo della città stessa, memoria collettiva degli usi, della cultura, dell’economia e degli scambi, delle relazioni tra cittadini e ambiente fisico (Gregotti, 2011), un’essenziale riserva di naturalità e ambito di sperimentazione per l’innovazione tecnologica e la coesione sociale (Gehl, 1987; Carmona et al. 2003; Palazzo & Steiner, 2011).
L’attenzione verte, in particolare, sulle potenzialità “ecosistemiche” dello spazio urbano4 utilizzando la parola ecologia in un’accezione estesa del termine, significativa dei contenuti propri dell’etimo οίκος (l’insieme delle relazioni che legano insieme organismi viventi e fattori biotici e abiotici in un determinato spazio) e del carattere dinamico dei processi naturali e antropici generati all’interno del sistema - la ciclizzazione della materia, delle informazioni, dell’energia, dello spazio stesso (Odum, 1973)5. L’obiettivo è superare l’approccio duale tra artificio e natura per cercare di riconoscere – culturalmente, oltre che fisicamente – lo spazio urbano come il principale habitat umano, un approccio ampiamente legittimato dalla letteratura scientifica e dai dati statistici che registrano lo spostamento verso la città di sempre più massicci flussi di popolazione provenienti dalle aree rurali (UNDP, 2011) richiamati dalla forza di attrazione del luogo urbano che resta il principale motore di innovazione, sviluppo, creatività del mondo contemporaneo (Cities of Tomorrow, 2011).
In questo senso, l’approccio ecologico diventa strumento cognitivo attraverso cui provare a costruire una grammatica di forme coerenti con le specificità dei contesti di intervento, forme resilienti ed adattive per la capacità di risolvere problemi globali alla scala locale, guardando lo spazio urbano come sistema integrato per realizzare gli spazi più adeguati a rispondere ai cambiamenti in atto. Le risorse naturali – esistenti e/o potenziali - sono così parti essenziali del progetto urbano, elementi vitali e dinamici per dare vita a configurazioni più coerenti con la domanda d’uso proveniente dalla città e dai suoi abitanti, capaci di attivare processi di reciprocità con lo spazio costruito tali da ridurre gli impatti complessivi del sistema urbano. Analogamente la parte massiva, a-biotica della città, interviene nella costruzione dell’habitat urbano, provvedendo non solo alle funzioni proprie dell’abitare ma anche a quelle connesse con la tutela della biodiversità e delle risorse naturali. La città viene interpretata «as complex, adaptive socio- ecological systems in which the delivery of eco system services links society and ecosystems at multiple scales» (Grimm et al, 2008), una visione che ha le sue radici nelle ricerche di urban ecology (Douglas et al., 2011; Niemela, 2011; Marzluff, 2008) e che trova nelle teorie sulla sostenibilità della forma urbana (e in quelle ante litteram di Kevin Lynch) i presupposti per sviluppare in termini prestazionali il rapporto artificio-natura. Già nel 1981, infatti, Kevin Lynch descriveva il capitale di risorse naturale della città attraverso la dimensione della Vitality – «il grado con cui la forma supporta le funzioni vitali, i requisiti ecologici e la capacità di sostentamento degli esseri umani» (Lynch, 1981) – evidenziando la funzione sussidiaria degli spazi verdi urbani in termini di produzione, sicurezza e benessere. Una visione che anticipa gli avanzamenti del MEA (2005) sui servizi eco-sistemici prodotti in ambito urbano e gli studi di Robert Costanza (1997) sul valore economico degli stessi; una visione che rimanda alle più interessanti esperienze contemporanee di progettazione6, che fanno del paradigma della resilienza il motore di un nuovo approccio al progetto e la base di valutazione del valore economico del sistema natura delle città (TEEB 2010; De Groot, 2012).

Vulnerabilità e resilienza dell’ambiente urbano. Esperienze di ricerca

In questo quadro, il lavoro dell’unità di ricerca DiARC-CNR si posiziona sulla specificità dei curricula del gruppo e declina il rapporto vulnerabilità/ resilienza dell’ambiente urbano secondo diverse scale e ambiti tematici7. L’interesse va, in prima battuta, alla sostenibilità della città antica (2010-2012) con l’obiettivo di indagare la capacità adattiva dei nuclei urbani rispetto alle condizioni locali, con un focus sulla disponibilità di risorse e sull’esposizione al rischio ambientale8. Lo studio seleziona alcuni piccoli centri dell’Italia meridionale formatisi secondo processi spontanei, ambiti molto integrati nel paesaggio e riconoscibili per l’originalità dell’adattamento antropico e mesologico (Turri, 1979). Oggetto della ricerca è la corrispondenza tra le caratteristiche del contesto naturale e la forma dell'abitato, una sorta di simbiosi tra le necessità dei sistemi socio- economici locali e l’uso degli spazi, tra scelta tipologica e caratteristiche del microclima locale, tra sistema costruttivo (sempre coerente con la disponibilità di risorse locali) e il ciclo di vita dei materiali utilizzati (Fig.1.).

Lo studio è finalizzato a definire una metodologia di lettura dell’ambiente urbano per indagare il processo di costruzione della città storica a partire dalle caratteristiche morfologiche alle diverse scale di progetto: i pattern urbani, la forma degli isolati e degli edifici, il trattamento delle facciate, i sistemi costruttivi tradizionali, l’uso dei materiali (Fig. 2.). Le conclusioni prodotte dal lavoro di ricerca dimostrano (sebbene solo empiricamente) che esiste un originario e certamente implicito obiettivo di efficienza ecologica della forma urbana, funzionale alla produzione di prestazioni ambientali essenziali come la regolazione del microclima, la gestione delle acque piovane, la messa in sicurezza dal rischio ambientale e che ha garantito, nel tempo, la capacità di risposta dell’ambiente urbano alle diverse sollecitazioni (Rigillo et al. 2012). Il metodo è stato sperimentato su tre casi studio scelti nella provincia di Salerno (Giffoni Sei Casali, Cava de’ Tirreni, Vietri) (Fig. 3. e 4.) ed ha evidenziato che la storia morfologica del luogo, alle sue diverse scale, è elemento chiave per la valutazione della resilienza dell’ambiente urbano a livello locale. Una conoscenza da utilizzare come learnt lesson per declinare – e attualizzare, in termini tecnologici – la nozione di trasformabilità verso scelte progettuali coerenti con la natura del contesto, funzionali ai desiderata dei decision makers e idonee per ridurre la vulnerabilità complessiva del sistema9 (Fig. 5. e 6.).
Sulla scia dei risultati raggiunti, una seconda linea di ricerca è indirizzata verso l’attualizzazione del concetto di prestazione ambientale per l’ambiente urbano poiché non esistono, allo stato, riferimenti adeguati per una definizione in chiave ecosistemica di prestazione ambientale per gli spazi aperti10. La ricerca è stata quindi orientata verso quell’insieme di prestazioni ambientali sviluppate dai suoli urbani in condizioni di efficienza ecologica, con particolare attenzione per la regolazione del microclima e del run-off delle acque di pioggia. L’obiettivo è di pervenire a un approccio integrato al problema del global warming, utilizzando lo spazio aperto come elemento di mitigazione del microclima, sperimentando soluzioni progettuali tese ad implementare le aree verdi urbane in chiave resiliente, sviluppando prestazioni coerenti con la funzione dell’abitare e segnatamente con il rendimento energetico dell’edilizia esistente
Nello studio realizzato, il focus è rivolto all’uso e alla copertura del suolo in ambiente urbano e peri- urbano, considerando questo un indicatore empirico della quantità di prestazioni ambientali erogate in termini di produzione, sicurezza e benessere (Fig. 7.). Dal suolo – e in particolare dal suolo evapotraspirante – dipendono infatti servizi ecolosistemici essenziali (MEA 2005) quali la produzione di cibo e ossigeno, la regolazione del microclima, lo stoccaggio di CO2, la biodiversità di flora e fauna, ma anche importanti funzioni dell’ambiente urbano come il controllo dell’idrologia superficiale, la riduzione del rischio frane e la prevenzione del rischio incendio in area urbana, il benessere psico-fisico dei cittadini, la riduzione dell’impatto acustico (Fig. 8.)
La ricerca – nella sua seconda fase – punta così ad approfondire la relazione tra cicli ecologici e le caratteristiche dell’ambiente urbano con l’obiettivo di ampliare la nozione di prestazione ambientale all’insieme dei servizi erogati dal “sistema natura” della città, rileggendo lo spazio urbano in chiave eco-sistemica, luogo dell’interazione dinamica tra media naturali (aria, acqua, suolo), spazio costruito e contesto socio-economico: «The metabolism of cities is largely the result of the concentration of people and economic processes. It is also related to the urban form» (Pauleit & Breuste, 2011 pp.19).
In questa prospettiva il tema dell’innovazione tecnologica è sviluppato attraverso il recupero delle superfici impermeabili in nuovo suolo, artificiale ed evapotraspirante, progettato per valorizzare le qualità ambientali del luogo e definire assetti spaziali più resilienti (Fig. 9.). Un approccio che consente di sperimentare soluzioni tecnologiche focalizzate sulla domanda di prestazioni ambientali e calibrate sulla capacità di risposta dell’ambiente urbano nel suo complesso, anche valutandone le dinamiche di gestione e di rendimento economico (Rigillo & Majello, 2014).
La terza linea di ricerca si attesta sui sistemi per il supporto alla decisione e si avvale del progetto di cooperazione internazionale per la mitigazione del rischio sismico della città di Santo Domingo in Repubblica Dominicana sviluppato in partenariato con le Nazioni Unite e l’Unione Europea. Obiettivo del lavoro è la definizione di interventi per rafforzare la resilienza del sistema urbano e ridurne la vulnerabilità specifica in caso di eventi sismici12. La Repubblica Dominicana occupa, infatti, l’altra metà dell’isola Hispaniola, sconvolta dal terribile terremoto che distrusse Haiti, nel 2010, ed ha registrato, nel passato, alcuni dei più violenti terremoti della storia (1946, magnitudine 8.1). La città è inoltre oggetto di immigrazione con massicci flussi provenienti dalle aree rurali e dalla Repubblica di Haiti. L’aumento della popolazione ha determinato l’aumento di consumo di suolo e lo scadimento dello stock edilizio, sia nelle tipologie abitative – che si modificano crescendo in altezza – sia per la qualità edilizia dei manufatti, realizzate da maestranze non adeguate e spesso in regime di autocostruzione13. In questo contesto, il contributo dell’unità di ricerca è stato, in prima battuta, quello di produrre un inventario GIS progettato per la valutazione della Urban Comprehensive Vulnerability, un sistema informativo strutturato su tre ambiti di analisi: la vulnerabilità dei beni esposti, la vulnerabilità morfologica dell’ambiente urbano, la vulnerabilità sociale. Per ognuno di questi è stato strutturato un albero di indicatori corrispondenti alle diverse componenti del sistema che attraverso la spazializzazione dei dati ha consentito di visualizzare gli ambiti urbani secondo differenti livelli di vulnerabilità (Rigillo & Cervelli, 2014). L’overlay delle mappe e il confronto a coppie dei dati (pairwise comparision, Saaty 2005) ha consentito di elaborare una mappa dei cluster di vulnerabilità, all’interno dei quali sono stati selezionati 23 edifici speciali (ospedali, caserme, sedi governative, ecc.) a loro volta oggetto di uno studio qualitativo di vulnerabilità14. I risultati rappresentano sono la base conoscitiva essenziale per produrre un Action Plan per la resilienza urbana, oggetto della seconda fase della ricerca (Figg. 10a/b).

Conclusioni

Sulla base delle considerazioni svolte, la ricerca del gruppo Dirc-CNR prova a declinare un’idea di innovazione tecnologica secondo una prospettiva goal-oriented, rivolta cioè a soddisfare una domanda specifica di forme, prodotti e funzioni articolata secondo requisiti di sostenibilità più complessi rispetto al passato e misurabile attraverso l’utilizzo di indicatori specifici, rappresentativi delle condizioni del contesto, degli obiettivi di progetto e delle problematiche in essere. Indicatori interdisciplinari, interni al programma di lavoro, costruiti per fornire una descrizione del sito e delle azioni proposte, per monitorare nel tempo gli effetti degli interventi realizzati (sia quelli materiali che quelli immateriali), per misurare l’efficacia delle azioni in un tempo dato, per comunicare in modo efficiente i contenuti del programma e le sue ricadute sul territorio. Un set di dati e di informazioni a servizio del progetto e dei suoi utenti che danno oggettività al processo creativo e supportano la decisione (tecnica e politica); che accompagnano l’iter attuativo, ne valutano i risultati e consentono di sviluppare comparazioni oggettive con altri interventi.
La sfida è articolare scenari di intervento multiscalari, lavorando sul progetto (come si è detto) ma anche sul meta-progetto dell’ambiente urbano e sulle opportunità che tale strumento offre per implementare processi di governance integrata, sensibile alla condizione complessa, trans-scalare e multidisciplinare del progetto ambientale. Una governance innovativa, in cui la “produzione” del progetto si lega inscindibilmente con la “produzione” della decisione attraverso percorsi scientificamente oggettivati ma non univocamente determinati, che consentono di ripensare il progetto dello spazio urbano secondo approcci integrati, in grado di far convergere le esperienze e le conoscenze settoriali su obiettivi di sviluppo multidimensionali, sostenibili economicamente e socialmente condivisi (Schiaffonati, Mussinelli, Gambaro, 2011)15.
Sul fronte culturale, infine, ragionare sulle implicazioni di una progettazione goal-oriented significa accettare la complessità sottesa all’intervento ambientale per lavorare – in termini di governance - sul processo creativo e sul prodotto che ne deriva, legittimando l’utilizzo di modelli empirici – il progetto, e segnatamente il progetto dimostrativo - per valutare a scala locale fenomeni globali, adattando volta per volta gli strumenti concettuali e tecnici al principio di opportunità e alla disponibilità delle informazioni.
In questa prospettiva le linee di ricerca aperte dal gruppo si orientano oggi verso la vulnerabilità e resilienza delle aree urbane costiere, con un focus sul progetto integrato di recupero ambientale che orienta l’interesse verso i partenariati pubblico/ privato come fattore di innovazione interno al processo decisionale. Su questa tema è stata definita una collaborazione scientifica con la Waterfront Alliance di New York e con lo studio di architettura Lot-Ek, sempre di New York che ha visto, ad oggi, la realizzazione di un workshop di ricerca (Napoli, 20-30 giugno 2014) e un workshop post-graduate (Napoli, 24-28 ottobre 2014), finalizzati ad individuare un set di casi studio sulla costa metropolitana di Napoli a cui agganciare un insieme di strategie per la gestione del progetto.
Le linee aperte dalla ricerca portano dunque a definire per il 2015-2016 obiettivi di visiting tra Italia e Stati Uniti e di avviare un lavoro esplorativo con le amministrazioni locali per realizzare in una delle aree già selezionate un progetto di recupero ambientale funzionale ai requisiti di resilienza sopra descritti.

Ringraziamenti

Si ringrazia il gruppo di ricerca del CNR per avere consentito la pubblicazione delle seguenti immagini: Figg. 10a/b/c.
Si ringraziano inoltre gli architetti Anna Rita Giordano, Gaetano Gravagnuolo, Antonio Miranda, Rosa Staiano per avere consentito la pubblicazioni di fotografie e disegni tratti dalla loro tesi di laurea.

Note

1. Oggi IRISS-CNR

2. «Una acquisizione della nostra età post-industriale è senza dubbio rappresentata dall’aver compreso che la tecnologia deve essere considerata un mezzo molto flessibile, che serve per contribuire a produrre condizioni di vita differenziate, strettamente legate ad un luogo, ed alla sua momentanea condizione, per cui il concetto di qualità che a tale status corrisponde non è un bene astratto, né assoluto, ma relativo, legato al contingente ed alle richieste che vengono espresse in un determinato momento» (Gangemi, 1988, pp. 59).

3. «Qualcuno ha scritto che chi progetta gli spazi tra le cose (che vuoti certo non sono) è oggi uno scrivente senza destinatario, senza un pubblico che si misuri con la città. Forse un nuovo tipo di utopista; oppure tanto realista da pensare ad essi come l’autentico tessuto connettivo della città» (Gregotti, 2011 pp. 62).

4. L’approccio ecologico al progetto dello spazio urbano ha le sue radici l’idea di “ecologia dell’artificiale” sviluppata da Ezio Manzini che guarda alla cultura tecnologica come «un enorme bacino di risorse e potenzialità» attraverso cui governare la produzione del «sistema artificiale, oggi più che mai una seconda natura, complessa come la prima e altrettanto difficile da conoscere e prevedere» (Manzini, 1990 pp.38). In questa accezione il termine “ecologico” trova la sua applicazione più originale nella ri-lettura dei processi produttivi (in edilizia, ma non solo) secondo logiche ispirate al ciclo di vita dei prodotti e delle risorse (Manzini 1998).

5. Tra i riferimenti culturali utilizzati è molto rilevante l’intuizione lynchiana della città come combinazione di “magical, machine and organism”, da cui deriva l’idea del luogo urbano come spazio interconnesso dove le componenti fisiche dialogano con i processi sociali ed economici, generando relazioni spaziali ed emozionali tra gli utenti della città ed i luoghi che essi abitano (Lynch, 1981). Il testo di Lynch stabilisce il termine a quo della riflessione disciplinare sulla sostenibilità della forma urbana e su i requisiti ambientali del sistema costruito (Jabareen, 2006).

6. Esempio emblematico è l’esperienza di New York, USA, che ha avviato un’opera sistematica di ri-progettazione delle aree urbane costiere, integrando in un unico programma attuativo (FEMA's flood hazard mapping program) sia gli strumenti di previsione del rischio inondazione, sia quelli per la mitigazione dello stesso, sia le misure finanziarie e di condivisione sociale indispensabili alla buona riuscita degli interventi (Aerts and Botzen, 2011). Molto importante è il peso assegnato al progetto di architettura, considerato fattore strategico del programma: i due concorsi banditi dalla Hurrican Sandy Task Force (FAR ROC Competition, 2013 e ReBuilt by Design, 2014) raccolgono contributi per la produzione di un ambiente urbano flood-resistant che sia al tempo stesso anche attrattivo ed economicamente efficiente, selezionando proposte in cui la sostenibilità delle scelte di intervento sia oggettivata da un sistema di prestazioni funzionale alla implementazione dei servizi eco-sistemici per l’abitare. Vedi a riguardo i siti: www.farroc.com e www.rebuildbydesign.org.

7. Nel costituirsi come gruppo di lavoro, i ricercatori del DiARC e del CNR hanno mantenuto distinta la responsabilità scientifica delle linee di ricerca, integrando però in una logica interdisciplinare sia il background di riferimento, sia gli esiti raggiunti. Il team di ricerca si avvale dell’esperienza maturata nell’ambito della progettazione ambientale, con gli approfondimenti sulla sostenibilità degli insediamenti storici e sulla progettazione LC-oriented (Rigillo); delle competenze sui waterfront e sul recupero delle aree industriali (Clemente); del lavoro realizzato sulla rigenerazione urbana, con particolare attenzione per le partnership publico/ privato (Esposito).

8. Questa prima linea di studio si incardina nell’ambito del Dottorato di ricerca in Recupero edilizio ed ambientale, di cui hanno fatto parte chi scrive, Massimo Clemente e Gabriella Esposito (in qualità di tutor).

9. Gli esiti della ricerca si attestano su due fronti principali: da un lato un contributo di conoscenza rivolto sostanzialmente al dibattito interno alla comunità scientifica; dall’altro canto, un supporto metodologico - operativo per la gestione sostenibile dei centri storici. In particolare, lo studio ha approfondito gli interventi per il recupero e la manutenzione delle superfici verticali ed orizzontali dello spazio urbano, definendo alcuni principi guida da trasferire negli strumenti di piano e nei regolamenti edilizi allo scopo di garantire, insieme alle prestazioni già normalizzate, anche il mantenimento delle funzioni ambientali originarie.

10. Riguardo la definizione di prestazione ambientale i riferimenti normativi rimandando alle norme per la certificazione ambientale (ISO 14001, ISO 14015, ISO 14031) e a quelle per la certificazione dei siti produttivi (Reg.CE n.761-2001, e s.m.).

11. Su questo tema si strutturano i workshop internazionali organizzati dall’unità di ricerca nel quadro delle iniziative della DG Energy per la settimana europea dell’energia sostenibile (EUropean Sustainable Energy Week - EUSEW): la giornata di studio “Climate Change, City Chance”, tenutasi a Bruxelles il 14 aprile 2011 (Key Note: Arch. Lucien Kroll, Atelier Kroll, BG; Ian Smith and Robert Atkinson, University of West England, Bristol, Angel Borrego Cubero, Escuela Tecnica Superior de Madrid, Spain); il workshop per il Dottorato di Recupero Edilizio ed Ambientale del Prof. Angel Borrego Cubero dal titolo “Less by More” (Napoli, 26-29 Settembre 2011) ed il workshop destinato agli studenti del DiARC “Energy Round. Design the Holistic Approach to Energy Efficiency”, Napoli 23-26 giugno 2012 (comitato scientifico composto dai professori del DiARC V. D’Ambrosio , A. Di Luggo, P. Giardiello, R. Lafratta, M. Losasso, M. Rigillo, S. Russo Ermolli, M. R.Santangelo, M. Smith).

12. Il lavoro vede la partecipazione di due centri di ricerca internazionali di geologia (Bureau de Recherches Géologiques et Minières – BRGM – e Instituto Geológico y Minero de España – IGME) per la parte relativa alla definizione della pericolosità degli eventi ed il CNR-Irat per la valutazione della vulnerabilità dell’ambiente urbano e per le misure di mitigazione del rischio.

13. Studi condotti sulla vulnerabilità del sistema edificato di Santo Domingo dimostrano che solo il 30% degli edifici è adatto a resistere ad eventi sismici o altri fenomeni calamitosi (Pelling, 2003).

14. Il lavoro è stato presentato ufficialmente nel corso del convegno organizzato dalle Nazioni Unite dal titolo: Constuyamos Juntos la Resiliencia de la Ciudad, Santo Domingo, RD, 20 maggio 2014.

15. «È su questa prospettiva che si innesta la peculiarità della progettazione ambientale, che raccoglie l’eredità dalla cultura normativa prestazionale dell’Area – la norma – e la rideclina nelle dimensioni multiscalari della governance di processi decisionali complessi, anche alla luce di un rinnovato quadro legislativo a livello comunitario e nazionale e degli avanzati obiettivi ambientali ad esso correlati. Piani strategici, marketing territoriali e ambientali, agende e piani d’azione, distretti culturali, ecomusei, valutazioni ambientali riferite al ciclo di vita del piano/programma, del progetto e del prodotto,

verifiche in ordine alla prefattibilità ambientale delle opere pubbliche, management di modelli procedurali condivisi e partecipati, costituiscono oggi realtà sperimentali e innovative, alle quali la ricerca d’Area Tecnologica ha apportato e apporta contributi di indubbia rilevanza e originalità» (Schiaffonati, Mussinelli, Gambaro, 2011, pp.52).

L’autore

Marina Rigillo è professore associato presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, PhD in Tecnologia dell’architettura. I suoi interessi scientifici si collocano nel settore della progettazione ambientale, con riferimento ai processi ed alle tecnologie per la riqualificazione urbana e per la messa in sicurezza del territorio. E’ membro dell’unità di ricerca SITE (Sustainable and Innovative Technologies for the Environment), del LARP (Landscape and Rural Planning Research Unit), del Consiglio scientifico del Centro Interdipartimentale di Ricerca Ambientale (CIRAM). Dal 2011 è ricercatore associato del CNR-Iriss.

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Fig. 1. Approccio ecologico. Struttura cognitiva della metodologia di lavoro per la valutazione della sostenibilità dei centri antichi. Fig. 2. Analisi dell’impianto urbano e del contesto. Relazione tra prestazioni ambientali e caratteri del territorio. Fig. 3. Analisi dell’impianto urbano. Relazione tra l’orientamento dei volumi urbani e le prestazioni ambientali. Fig. 4. Analisi dell’impianto urbano. Relazione tra la forma dell’isolato e le prestazioni ambientali. Fig. 5. Analisi del ciclo produttivo dell’intonaco. Localizzazione e disponibilità delle risorse. Fig. 6. Analisi del ciclo produttivo dell’intonaco a calce. Fig. 7. Schema di analisi dei suoli urbani. Fig. 8. Relazione tra suoli evapotraspiranti e prestazioni ambientali. Fig. 9. Studio per una metodologia di selezione dei potenziali suoli agricoli in area urbana. Fig. 10a. Struttura logica dell’analisi della vulnerabilità urbana per la città di Santo Domingo, Repubblica Dominicana. Fig. 10b. Schema ad albero per l’organizzazione del sistema di indicatori dell’inventario GIS.