Letture/Reviews

torna su

IL RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2014.
Sostenere il progresso umano: ridurre le Vulnerabilità e costruire la Resilienza
Michele Manigrasso
PDF

'L’urbanistica ha forti, precise responsabilità nell’aggravarsi delle disuguaglianze. Siamo di fronte a una nuova questione urbana che è causa non secondaria della crisi che oggi attraversano le principali economie del pianeta.'
Bernardo Secchi, 2014


Se la città è prima di tutto dei suoi abitanti, essa rispecchia le condizioni di sviluppo della comunità che la abita. Sostenibilità ambientale e sociale sono strettamente legate; lì, dove la soglia della dignità umana è stata varcata, non ci può essere dignità urbana!

Secondo misuratori di povertà basati sul reddito, più di 1,2 miliardi di persone nel mondo vivono con meno di 1,25 dollari al giorno e quasi 1,5 miliardi di persone in 91 Paesi in via di sviluppo vivono in condizioni di povertà e di forte arretratezza, subendo privazioni che coinvolgono salute, istruzione e qualità della vita. Nonostante la povertà sia mediamente in calo, quasi 800 milioni di persone sono a rischio di ricadere in uno stato di estrema povertà per eventi calamitosi ai quali non si riesce a dare adeguata risposta. È il messaggio principale lanciato dal Rapporto 2014 sullo sviluppo umano dell’Undp (United Nations Development Programme)1, presentato il 24 luglio scorso a Tokyo e una settimana dopo alla Farnesina alla presenza del Vice Ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, del Direttore generale della Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Esteri, Giampaolo Cantini, del Direttore dello Human Development Report dell’Undp, Khalid Malik, e di Enrico Giovannini, professore ordinario in Statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata, ed ex Ministro del Lavoro. Il rapporto è l'annuale appuntamento che fotografa lo stato delle nazioni del pianeta confrontandole tra di loro con un Indicatore di Sviluppo Umano. Un indicatore macroeconomico, alternativo e 'meno freddo' del semplice PIL, inventato nel 1990 dall'economista pakistano Mahbub ul-Haq. Tale indicatore si basa su parametri relativi all'aspettativa di vita, alla nascita, alla scolarizzazione e sul reddito pro capite. Il rapporto fotografa dal 1990 (anno in cui fu pubblicato il primo report) la situazione del sistema mondo, indicandone tendenze e possibili scenari futuri.

Il rapporto introduce una tematica importante, sottolineando i fattori di vulnerabilità che rischiano di annullare i progressi conseguiti, tra cui gli shock esterni come le catastrofi naturali e le diseguaglianze crescenti. «Garantire il progresso dello sviluppo umano - si legge nel documento - è indispensabile per ridurre la vulnerabilità e rafforzare la resilienza delle popolazioni vulnerabili ai rischi derivanti dalle calamità naturali, da quelle indotte dall’uomo e dalle crisi».

Lo studio ha preso in esame, in particolare, le vulnerabilità strutturali che si sono confermate o aggravate nel corso del tempo a causa di discriminazioni e carenze istituzionali nei confronti di gruppi vulnerabili, tra cui i poveri, le donne, i migranti, le persone con disabilità, i gruppi indigeni e gli anziani. Il documento evidenzia anche un rallentamento della crescita dello sviluppo umano in tutte le aree del mondo, misurata attraverso l’Indice di sviluppo umano (Hdi), dovuto a minacce quali le crisi finanziarie, le fluttuazioni dei prezzi dei prodotti alimentari, i disastri naturali e i conflitti violenti che impediscono il progresso. Vengono analizzate nel dettaglio cause e risvolti di ogni situazione e le possibili azioni per ridurre le cause della vulnerabilità e più in generale della povertà. Il rapporto evidenzia come la sistematica violazione dei diritti umani, che frenano e bloccano lo sviluppo, è determinata da politiche che tendono ad ampliare la forbice tra ricchezza e povertà ed a creare grande disuguaglianze tra i popoli. Il rapporto identifica 49 nazioni a livello di sviluppo molto alto (erano 47 lo scorso anno), 52 ad alto livello di sviluppo, 41 a medio livello di sviluppo e infine 43 paesi a basso livello di sviluppo.

La classifica mondiale vede la Norvegia al primo posto (ovvero la posizione del Paese più sviluppato), seguita da Australia, Svizzera, Olanda, Stati Uniti, Germania, Nuova Zelanda, Canada, Singapore e Danimarca. Da segnalare che dal gruppo dei primi 10, rispetto al 2012, sono usciti Svezia, Irlanda e Giappone a favore di Canada, Singapore e Danimarca. L'Italia si colloca al 26° posto (lo scorso anno era 25°).
Solo in 16 paesi del mondo gli indicatori sono uguali per uomini e donne. Tra questi paesi c'è molto est europeo (Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Russia, Slovenia). Analizzando lo storico della classifica emerge con chiarezza che sono i paesi asiatici a crescere maggiormente nell'ultimo decennio, mentre altrettanto chiare risultano le difficoltà della vecchia Europa.

Il rapporto non si limita alle analisi ma propone delle policies in modo coraggioso e, a volte provocatorio, sostenendo, ad esempio, la necessità di rafforzare gli elementi di resilience non solo all’interno dei sistemi sociali ed economici, ma anche tra gli individui. La pubblicazione del report è avvenuta peraltro in una fase cruciale dell’avvio dei negoziati in vista dell’Agenda di sviluppo post 2015, nell’ambito della quale temi come quello dello sviluppo inclusivo, della partecipazione dei cittadini, della riduzione delle ineguaglianze e della governance sono di estrema attualità. Sulla necessità di approfondire il ruolo svolto dai temi della good governance e dei diritti umani, durante la presentazione alla Farnesina, il Vice Ministro Pistelli ha sottolineato come lo stesso Rapporto indichi che il lavoro ad oggi è ancora in progress e quanto ancora ci sia da fare in questo senso. La classifica pubblicata sorprende per le posizioni alte ricoperte da Paesi problematici dal punto di vista dei diritti umani e conferma come sia così difficile combinare indicatori misurabili che mettano insieme aspetti economici ed altri più difficilmente misurabili. Tra le varie raccomandazioni, il Rapporto chiede l’accesso universale ai servizi sociali di base, in particolare la sanità e l’istruzione; una più forte protezione sociale; un impegno per la piena occupazione. Fornisce una nuova prospettiva sulla vulnerabilità dell’essere umano e propone modi per rafforzare la propria capacità di recupero.

La lettura di questo rapporto, è stimolo per architetti e urbanisti, non solo perché fornisce interessanti aggiornamenti sullo stato di salute della popolazione mondiale, ma anche perché fa riflettere sul rapporto di responsabilità, complesso e da sempre fondante, delle nostre discipline rispetto all'utilità pubblica; tra il progetto e la qualità del vivere uno spazio, un edificio, una città, il territorio; e su quanto l'apporto di alcuni paesi sviluppati potrebbe aiutare alcune realtà a risolvere le proprie difficoltà, aumentando il livello di benessere delle popolazioni. Alla luce dei cambiamenti climatici2 che stanno accrescendo l'esposizione al rischio di molte realtà, la questione è più aperta che mai. Quanto può incidere sullo stato di benessere (ambientale, sociale, economico) di una città, il progetto, la figura dell'architetto o dell'urbanista? Bisognerebbe chiederselo in maniera più consapevole e profonda e questo sottolineerebbe la possibilità dell'architettura di farsi strumento per la qualità del vivere, e di riduzione delle distanze e delle disuguaglianze: ad ogni livello, a tutte le scale, nel proprio condominio o nel proprio quartiere, in ogni comunità, in città e tra i paesi del mondo. Crisi climatica, sociale ed economica sono specifiche espressioni dell'acuto disagio umano dei nostri tempi, rispetto al quale le discipline dell'architettura e dell'urbanistica sono chiamate a dare risposta, anche rivedendo i paradgmi sui quali sono state fondate.

A tal proposito, appare utile riportare le parole di Bernardo Secchi che ci ha lasciato una riflessione lucidissima sulla “giustizia spaziale” iniziata quarant’anni fa con 'Squilibri territoriali e sviluppo economico'. e conclusa nel suo ultimo libro3 'La città dei ricchi e la città dei poveri'. Dalla quarta di copertina, questo il suo pensiero: 'Nelle culture occidentali la città è stata a lungo immaginata come spazio dell’integrazione sociale e culturale. Luogo sicuro, protetto dalla violenza della natura e degli uomini, produttore di nuove identità, sede privilegiata di ogni innovazione tecnica e scientifica, culturale e istituzionale. Nella città occidentale ricchi e poveri si sono da sempre incontrati e continuano a incontrarsi, ma sono anche sempre più resi visibilmente distanti. Oggi più che in passato, nelle grandi aree metropolitane, le disuguaglianze saltano agli occhi e strategie di distinzione ed esclusione sono state spesso favorite dallo stesso progetto urbanistico. Bisogna tornare a riflettere sulla struttura spaziale della città, riconoscere l’importanza che nel costruirla ha la forma del territorio. Tornare a conferire agli spazi urbani una maggiore e più diffusa porosità, permeabilità e accessibilità; disegnarli con ambizione, tenendo conto della qualità delle città che ci hanno preceduto e ragionare di nuovo sulle dimensioni del collettivo'.

Note

1Vedi http://www.undp.org/content/dam/undp/library/corporate/HDR/2014HDR/HDR-2014-English.pdf
2. Sul tema dei mutamenti climatici e della resilienza, l'autore ha scritto 'Città e clima. Verso una nuova cultura del progetto', Sala Editore, Pescara, 2013; 'A.R.M.I. Adattamento. Resilienza. Metabolismo. Intelligenza' (diM. Manigrasso e L. Mastrolonardo), EdicomEdizioni, Gorizia 2014.
3. B. Secchi, 'La città dei ricchi e la città dei poveri', Laterza Editore, Roma 2013.

IL RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2014