Politiche e progetti della sostenibilità in Catalunya a cura di Francesc Muñoz con Massimo Angrilli

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Paisajes culturales y proyecto territorial
Joaquín Sabaté Bel
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In “La morfologia del Paesaggio” (1925) il professor Carl Sauer definisce il paesaggio culturale come il risultato dell’azione di un gruppo sociale su un paesaggio naturale. La cultura è l’agente, la natura il mezzo, il paesaggio culturale il risultato. Vale a dire che il paesaggio culturale è la traccia dell’uomo sul territorio: qualcosa di simile ad un testo che si può scrivere e interpretare, intendendo il territorio come costruzione umana. I suoi assunti derivano da una visione più descrittiva del paesaggio, in voga quasi fino alla conclusione del ventesimo secolo, quando con l'UNESCO la cura del paesaggio aveva una accezione più amministrativa e politica che scientifica e progettuale.

Nonostante goda di riconoscimenti ufficiali, oggi la locuzione Paesaggio Culturale costituisce un termine poco comune che indica un concetto piuttosto opaco. Si pensi alle definizioni alquanto complesse che propone l’UNESCO, con l’approvazione nel 1992 di uno strumento di riconoscimento e protezione del patrimonio culturale di valore universale. Tanto meno risultano chiare le categorie stabilite dal National Park Service, l’ente che ha promosso e protetto più paesaggi culturali al mondo.

Condividiamo una definizione più semplice: “paesaggio culturale è un ambito geografico associato ad un evento, una attività o un personaggio storico, che possegga valore estetico e culturale”. O, detto in una maniera meno ortodossa, ma più semplice e gradevole, “il paesaggio culturale è l’orma del lavoro dell’uomo sul territorio, come un memoriale al lavoratore ignoto”.

Ad ogni modo ciò che più interessa osservare è che gli sforzi per definire il concetto dipendono da una crescente preoccupazione per il patrimonio. Nel 1972 il National Park Service promuove il Parco Culturale del Carbone e, un anno dopo, si da inizia al processo di recupero del New Lanark in Scozia. Promosse dalle comunità locali, in poco tempo sorgono numerose iniziative per la gestione di ampie zone di territorio ricche di tracce culturali con una organizzazione simile a quella dei grandi parchi nazionali, anche se con una componente socio-culturale aggiunta.

Sulla scia di questo interesse, si sviluppa l’archeologia industriale in Inghilterra, Francia e Germania, intesa come scienza che studia il patrimonio industriale. Si comincia dai fabbricati industriali, che testimoniano di una fase gloriosa dell’industria ottocentesca, ma ben presto l’interesse si estende a manufatti meno grandiosi o singolari.

Allo stesso tempo sorgono diversi musei legati all’antropologia nei paesi nordici (Museo Popolare ad Oslo, Museo delle Tradizioni della Pesca nelle Isole Lofoten, Skansen o Bergsladen in Svezia, ecc...), eco‑musei in Francia, Norvegia e Svezia, i primi centri e programmi di interpretazione in Inghilterra. Più tardi si conierà il concetto di territorio-museo.

Ben presto queste iniziative si radicano in aree industriali dismesse, con una marcata volontà di riattivarle, di dare impulso non solo alla tutela del patrimonio, alla promozione dell’educazione e delle attività ricreative, ma anche di favorire un nuovo sviluppo economico. Si avvia il recupero di vasti paesaggi industriali (Lowell, Blackstone, Lackawanna, ecc...). Tutti questi progetti si basano sullo studio e la riabilitazione di elementi culturali, e sul loro sfruttamento per attrarre studiosi e turisti. Nascono i cosiddetti parchi patrimoniali come strategia di sviluppo del territorio1.

Si intraprende un processo abbastanza comune: l’inventario delle risorse, la loro gerarchizzazione ed interpretazione in funzione di un determinato percorso storico, e la costruzione di una struttura di supporto che, mediante itinerari, li colleghi fra loro e con centri di interpretazione, musei e servizi.

La maggior parte di questi progetti, e forse i più rilevanti, si trova negli Stati Uniti, ciò è dovuto non solo alla vastità del patrimonio industriale statunitense, ma anche ai notevoli investimenti fatti per la riqualificazione di tale patrimonio, al superamento del semplice atto di riconoscimento ufficiale ed al ruolo svolto da numerose istituzioni, come il National Park Service. Tutto questo ha permesso di perfezionare criteri abbastanza consolidati nel disegno dei parchi patrimoniali, nel riconoscimento legale di questi ambiti e nell'approvazione di programmi di sviluppo. Anche in Europa ci imbattiamo sempre più spesso in progetti di parchi industriali, minerari, fluviali, percorsi storici, paesaggi bellici, parchi archeologici o eco-musei...

Dall’analisi dei progetti più significativi, possiamo trarre una prima conclusione: la gestione intelligente delle risorse patrimoniali costituisce in diversi territori uno dei fattori chiave per lo sviluppo economico, poiché attrae turismo ed investimenti, genera attività e occupazione, ma soprattutto rafforza la consapevolezza e l'autostima di una comunità. Questo ci porterebbe a pensare che gli stessi sintomi di debolezza di alcuni territori in crisi possano nascondere in sé le possibilità di una futura trasformazione. L'emblema della decadenza e le vestigia di un passato splendore possono essere percepite come una condanna, oppure come una opportunità per la costruzione di un nuovo futuro, o ancora come risorse da rivalutare e ristrutturare, con lo scopo di dare adeguate fondamenta allo sviluppo futuro.

Esiste oggi una certa esperienza di pianificazione territoriale incentrata sul patrimonio paesaggistico naturale e costruito, inteso nella sua accezione più ampia. Alcune iniziative recenti di gestione territoriale devono parte del loro buon esito all’attenzione verso questo nuovo approccio patrimoniale. Queste iniziative mostrano alcune comuni premesse di fondo: identificazione delle risorse di maggior interesse ed interpretazione coerente ed attraente; narrazione di una storia capace di attrarre visitatori ed investimenti; ricerca di opportunità dazione e aree di sviluppo economico.

Paesaggi culturali e parchi del patrimonio giocano un ruolo sempre più importante nella crescita del territorio. Si tratta di spazi di comunicazione che raccolgono e trasmettono informazioni. Possiamo considerare che, come le città hanno un ruolo chiave nell’era dell’informazione, questi spazi assumono ogni giorno un ruolo sempre più rilevante come luoghi della comunicazione, in cui si incontrano storie, messaggi, spazi e forme. Da qui l’interesse nell’approfondire lo studio dei casi pionieristici, nell’apprendere alcuni risultati di un’esperienza, seppur ancora molto recente: cosa che abbiamo fatto nel corso di una ricerca condotta con i colleghi del MIT.2.

Però, nostro interesse non è solo rivendicare il valore del patrimonio culturale e reclamare la sua salvaguardia. Nostro dovere, come professionisti coinvolti nel benessere delle persone e dell'ambiente in cui abitano, è valorizzare le risorse che costituiscono un paesaggio culturale, ponendole al servizio dello sviluppo locale, della promozione dell’istruzione e della qualità di vita degli abitanti di un determinato territorio. Nostro compito, nostro impegno, è aiutare a convertirli in luoghi dove le persone possano vivere dignitosamente.

Questo implica instaurare una determinata relazione tra il patrimonio e lo sviluppo locale. Delle numerose definizioni di sviluppo locale tre di esse possono essere più esplicative:

  1. La prima è quella più tipica del pensiero neoliberale. Affinché una economia locale possa vincere le sfide della contemporaneità occorre potenziare le sue capacità di competere ed inserirsi nel mercato globale, di attrarre investimenti e introdurre i suoi prodotti nel mercato nazionale ed internazionale.
  2. La seconda prevede un progetto inclusivo per il territorio: generare sinergie tra gli attori, produrre un ambiente innovatore e solidale, sostenere capacità endogene e risorse, consolidare l’identità locale. È ciò a cui possiamo aspirare come urbanisti, come persone impegnate nel miglioramento delle condizioni locali. Ma dobbiamo accettare il contesto globale come una condizione che non può essere cambiata attraverso l'intervento locale, una condizione alla quale dobbiamo adattarci “pragmaticamente”.
  3. La terza ci coinvolge come cittadini e come attori. Si tratta di promuovere un’economia alternativa e solidale. Dobbiamo auspicare lo sviluppo della società come unicum, agendo sulle azioni locali e quotidiane, sulle relazioni personali, su valori come la solidarietà.

In tutti i casi, una conclusione appare chiara. È strategico promuovere processi di sviluppo locale, in quanto essi implicano: l’incentivazione delle attività produttive; la creazione di posti di lavoro endogeni; la creazione di spirito d’identità e appartenenza alla comunità; attivazione di politiche di sviluppo sociale ed economico; partecipazione attiva all’organizzazione locale e al rafforzamento delle istituzioni.

Il patrimonio culturale è una costruzione sociale, un insieme di simboli sacralizzati, di reliquie legittimate non per la loro autenticità, bensì per il loro riconoscimento collettivo. Il patrimonio esiste solo in astratto, fino al momento in cui qualcuno non attivi e valorizzi determinate risorse, conformando un ragionamento creativo. Da semplice concezione estetica e limitata a monumento architettonico, il patrimonio inizia ad essere concepito in maniera più ampia, come un luogo di memoria. Smette di rinchiudersi in un recinto ed esige un riconoscimento vincolato all’ambito dove è sorto, che rafforza la sua identità. Si inizia a prender coscienza del suo valore come eredità comune e del suo legame indissolubile col territorio.

Ciò apre nuove prospettive nella valorizzazione delle risorse culturali per lo sviluppo territoriale. La visione tradizionale portava a riconoscere e catalogare le risorse, a stabilire la corrispondente tutela e a stabilire le condizioni per il suo riutilizzo, basandosi essenzialmente sul turismo e sullo svago. Ma questa visione allontanava le risorse dal loro territorio.

Oggi difendiamo una visione più ampia e complessa del patrimonio culturale. Spostiamo l'attenzione della salvaguardia alla valorizzazione. Si tratta di vincolare al territorio il funzionamento delle risorse naturali e culturali, passando dalla protezione alla valorizzazione sostenibile.

E questo ci porta al rapporto tra patrimonio e sviluppo locale.

Dalla conferenza di Rio de Janeiro del 1992, concepiamo la protezione ambientale estremamente vincolata allo sviluppo delle comunità. Allo stesso modo, la valorizzazione delle risorse culturali deve relazionarsi con il conseguimento del livello di benessere appropriato della popolazione e del territorio dove sono rinvenute.

Però si deve andar oltre ai luoghi comuni ed imparare ad articolare entrambe le dimensioni: patrimonio e sviluppo locale, mettendo in pratica i concetti, non in modo astratti, ma applicandoli ad un territorio e ad un patrimonio concreto.

In pochi anni siamo passati dal considerare il patrimonio come una fonte di spesa pubblica con scarso ritorno sociale, ad eleggerlo elemento portante delle principali iniziative di rinnovamento socio‑economico e dell'immagine di tale rinnovamento. Si è prodotta una riformulazione del concetto di patrimonio, non solo nelle sue basi teoriche, bensì nel suo significato territoriale e nella definizione di politiche vincolate alla sua gestione. Il patrimonio, inizialmente solo monumentale e ora gamma molto più ampia di risorse (percorsi, siti, parchi, ecc...), è oggi alla base delle attività turistico‑culturale ed educativa. Da ciò derivano molti aspetti positivi, tra i quali annoveriamo il consolidarsi di un’identità e la creazione di un capitale sociale.

Allo stesso tempo ci si deve domandare se tutti gli effetti risultino positivi e contribuiscano a promuovere processi reali di sviluppo locale. Sappiamo che l’uso del patrimonio come risorsa non sempre ha favorito il mantenimento della sua autenticità. Sappiamo anche che non sempre, o non tutto il patrimonio, deve essere necessariamente coinvolto in processi economici di sviluppo mediante l'attrattività turistica.

La nostra attuale sfida -alla stregua di ciò che producemmo un decennio or sono analizzando i cardini del buon funzionamento dei parchi patrimoniali- è analizzare un numero sufficiente di casi per scoprire buone pratiche di promozione dello sviluppo locale valorizzando le risorse culturali. Invito tutti a proseguire le ricerche definendo alcune ipotesi, a partire dai risultati analitici dei casi studio effettuati.

  1. È importante identificare in ciascun territorio ciò che risulta utile alla società che lo abita, ciò in cui la società si riconosce, essendo coscienti che il patrimonio è alla base dell'identità e della cooperazione di un popolo.
  2. È imprescindibile valorizzare il territorio in maniera sostenibile, evitando di ledere l'autenticità e l'integrità delle risorse.
  3. Lo sviluppo è un processo, non una meta. Per tale ragione i modelli e le politiche di sfruttamento del territorio devono essere continuamente riformulati.
  4. Sono necessari nuovi strumenti di gestione, più completi e maggiormente relazionati alle politiche pubbliche.
  5. Bisogna coinvolgere la popolazione nei processi di riconoscimento e valorizzazione del patrimonio.
  6. Per ottimizzare il rendimento degli investimenti sul patrimonio, si deve far leva sulle sinergie individuali e collettive, locali e regionali.
  7. È essenziale implementare strategie che racchiudano beni e benefici in un contesto pubblico che riaffermi i valori e le risorse pubbliche di una società.

In un testo recente è stata esaminata l'evoluzione degli ultimi trent'anni nella gestione dei paesaggi culturali ed il contesto nel quale si sono svolti i principali interventi su tali paesaggi.3Essenzialmente si è verificato come in pochi anni, siamo riusciti a sviluppare strumenti attuativi sempre più complessi, radicati e di ampia scala: dai primi inventari, cataloghi e lavori di documentazione; a interventi isolati, di recupero e riutilizzo di singoli edifici; a piani e programmi in cui si integra il patrimonio in proposte di coordinamento di maggiore ambizione; finalmente, arriviamo a progetti territoriali in cui il patrimonio costituisce asse portante dell'intervento e tenta di trasformarsi in motore di sviluppo locale.

In conclusione, ci si auspica che il patrimonio lavorativo acquisisca un ruolo equivalente in ogni progetto o piano territoriale, e che eguagli l'importanza che è stata data alle risorse naturali; che cultura e natura diventino spunti di riflessione e strumenti di intervento sul territorio.

Paesaggi culturali e parchi patrimoniali stanno assumendo un'importanza crescente nello sviluppo economico regionale di base locale. Ma non dobbiamo considerarlo un punto di arrivo. La maggior parte dei piani regolatori del ventesimo secolo enfatizzarò le dinamiche demografiche e lo sviluppo industriale, ed utilizzarono la zonizzazione e i grandi progetti infrastrutturali come strumenti fondamentali.

Oggi, invece, alcune proposte di pianificazione territoriale di notevole interesse iniziano a tener conto di un nuovo binomio: natura e cultura. Natura e cultura come parte di un concetto unico: il patrimonio. I paesaggi culturali possono costituire strumento di costruzione ambientale diversificata ed identitaria.

Dobbiamo incanalare i nostri sforzi in questo solco: porre il paesaggio al centro degli strumenti attuativi e dei piani di regolatori, paesaggio inteso nelle sue varie accezioni, naturale e culturale.

Paesaggio non come risultato ultimo di una civiltà, ma come realtà in continua evoluzione. L'eredità culturale non si deve solo preservare. Abbiamo appurato come si possano creare opportunità di crescita dove coesistano valori storici e nuovi valori territoriali. Si tratta di superare una posizione meramente conservativa del patrimonio e lavorare con le risorse dentro i processi di trasformazione. Le azioni di oggi possono anche generare le identità e il patrimonio del domani.

Paesaggio e territorio non come semplice supporto, ma come elementi conduttori di ogni trasformazione.

Su questi principi, i paesaggi sono chiamati a giocare un ruolo rilevante, in quanto espressione della memoria, espressione dell'identità locale, e progettualità aperta che si arricchisce progressivamente.

Note
1 Anni dopo, la Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze nel 2000, avvalora la dimensione culturale, ecologica, ambientale e sociale del paesaggio, e riconosce che costituisce una risorsa favorevole per l'attività economica, e per il rafforzamento dell'identità di un territorio.
2 Si veda: J. Sabaté e M. Schuster, Designing the Llobregat Corridor. Cultural Landscape and Regional Development. Projectant l’eix del Llobregat. Paisatge cultural i desenvolupament regional. Universidad Politécnica de Cataluña e Massachusetts Institute of Technology. Barcelona, 2001. Altri riferimenti di questo tipo di progetti si possono trovare “Designing cultural landscapes”, in Restaurare il paessaggio: politiche per un nuovo progetto territoriale sostenibile. Indide btb, Ferrara, 2002 o Patrimonio y desarrollo territorial. Colonias, Sèquia de Manresa y Delta del Llobregat. Diputación de Barcelona, 2004.
3Si veda “Paisajes culturales y proyecto territorial: un balance de treinta años de experiencia”, in Identidades. Territorio, Cultura, Patrimonio nº 2 (pp. 7-26), Barcelona, dicembre 2010 e "Cuarenta años de paisajes culturales europeos: alcance, tipologías, y modelos de intervención”, in Patrimonio Industrial y Paisajes Culturales (pp. 23). Incuna, Gijón, ottobre 2012.